Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Facebook? I politici non sanno di cosa parlano

Facebook? I politici non sanno di cosa parlano

di Nicola Bruno - 15/12/2009

  
 
«Facebook che istiga all'odio? Mi sembra solo un'esagerazione che dimostra una totale mancanza di cultura digitale. Quello che succede online non è altro che la fotocopia della vita politica di un paese. Ci possono essere espressioni forti, ma per lo più più si tratta di semplice condivisione estemporanea di opinioni, come nelle chiacchiere da bar. Non c'è bisogno di nessun oscuramento». Così Corinna De Gennaro, ricercatrice all'Oxford Internet Institute in Gran Bretagna e autrice di un recente studio sul legame tra Internet e proteste politiche in Italia, commenta la crociata anti-Facebook lanciata dal centro-destra dopo che sul social network sono nati gruppi di sostegno a Tartaglia.

Ci risiamo. Appena un fatto di cronaca prende piede online, si torna a parlare di oscurare Facebook e togliere l'anomimato in rete...

Non ha alcun senso affermare che Facebook possa istigare alla violenza. Le dinamiche scaturite con i gruppi pro-Tartaglia non rappresentano nulla di nuovo. Semplicemente, quando c'è un forte evento politico, gli utenti si riversano online per commentarlo. C'è bisogno di scambiare idee perché magari, per mancanza di tempo, non si riesce a farlo più nella vita reale. E poi è bene ricordare che sui social-network spesso si ha un tipo di partecipazione politica ad elastico: è più forte quando accade un evento e poi va lentamente scemando. 

Le dichiarazioni di Maroni e degli altri esponenti del centrodestra sono quindi del tutto fuori luogo?

Certamente. A dimostrazione del fatto che non sia colpa di Facebook, ieri sono subito nati gruppi pro-Silvio in cui una parte degli utenti utilizzava espressioni altrettanto violente nei confronti dei fan di Tartaglia. Il problema dell'Italia è che molti politici non conoscono affatto i fenomeni che vorrebbero regolamentare. Da altri studi che ho condotto su gruppi «violenti» online (come quelli pro-anoressia) è sempre emerso che, ad un certo punto, scatta una forma di autoregolamentazione. Dopo l'escalation iniziale, i toni si fanno più pacati e si tende ad isolare chi prende posizioni fuori luogo.

C'è chi sostiene, però, che in Italia il dibattito politico online sia molto più acceso rispetto ad altri paesi...

Non penso proprio. Chiunque abbia seguito l'ultima campagna presidenziale statunitense sa bene il picco di violenza verbale che si è raggiunta. E ancora adesso, su tanti blog molto schierati si continua ad utilizzare toni violenti nei confronti di Obama. Internet non fa altro che rispecchiare la cultura politica di un paese in un determinato momento. Con la differenza, rispetto agli media tradizionali, che qui c'è spazio per tutti.

Ma una particolarità in Italia c'è: in nessun altro paese le tv sono così controllate...

Questo dato certamente influisce sul modo in cui viene condotto il dibattito politico in rete. Dallo studio sui Vaffa-Day di Beppe Grillo che abbiamo appena pubblicato su First Monday (nota rivista di cultura digitale, ndr), è emerso con chiarezza una scollatura tra i media tradizionali (che hanno del tutto oscurato l'evento, sia prima che dopo) e quelli online. Questa contesto mediatico poco libero porta molti utenti ad utilizzare internet per discutere di politica e provare a cambiare l'agenda del paese. Su Facebook e i blog traspaiono idee che non avrebbero mai spazio sui grandi media italiani. 

Il successo del recente No-B Day è stata una riprova di come Internet sia una potente piattaforma di organizzazione politica. Perché questo successo in Italia?

Sebbene l'Italia sia uno dei paesi con la più bassa penetrazione di internet in Europa, c'è un forte utilizzo della rete per socializzare le proprie idee politiche. E in alcuni casi passare anche all'azione, organizzando proteste come i Vaffa-Day e il No-B Day. In entrambi i casi, comunque, non si può parlare di semplici manifestazioni nate online. Non si costruisce nulla di duraturo se non c'è anche un forte nucleo organizzativo, capace di tenere le fila fuori dalla rete. 

Ma al di là delle proteste una tantum, la rete può davvero cambiare la politica?

Internet certamente facilita la partecipazione civile, ma di qui a dire che può rivoluzionare la politica il passo è ancora lungo. Servono anche altre istituzioni (i partiti, ad esempio), in grado di intercettare questi movimenti e trasformarli in qualcosa di concreto.