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Violenze e censure

di Fabio Mazza - 16/12/2009

    



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È di ieri la notizia dell’aggressione al presidente del consiglio Berlusconi da parte di uno “squilibrato” (ma già qui ci sarebbe da domandarsi, se si avesse il gusto per il paradosso e l’assurdo, chi è il pazzo e chi il sano, tra chi sposa senza riflessione lo stile di vita dell’uomo di Arcore, e chi, magari esasperato lo prende a sassate).
Sta di fatto che, dal nostro punto di vista, la condanna per questo gesto è netta. Si badi bene non per motivi di “politcaly correct”, di equilibrio istituzionale o di “solidarietà umana”. Semplicemente per il fatto che, come la meritava il povero Silvio la sassata, la meriterebbero anche i suoi epigoni di sinistra e di centro, colpevoli di portare avanti le più sordide nefandezze ai danni del popolo italiano, di occultare costantemente la verità, di celare dietro a problemi ridicoli e marginali, i veri crimini contro l’umanità moderni, in primis l’usura bancaria e il lavoro interinale o cosiddetto "flessibile".
Ma siccome è lungi da noi qualsiasi solidarietà a frange di imbecilli pseudo-ribelli, che vorrebbero “sovvertire” questo stato, per sostituirvi non si sa bene cosa, se non altri uomini mediocri, o altra instabilità figlia del materialismo moderno, l’analisi del evento che vogliamo fare è ben più sottile, e diciamo cosi, indiretta.
A parte la sinistra puntualità con cui, in piena bagarre giudiziaria e mediatica sul presidente, accade questo spiacevole fatto (che qualche spirito malevolo potrebbe vedere come giustificazione autocostruita per dimostrarsi perseguitato e vittima di una campagna di odio), le reazioni più sconcertanti -ma prevedibili- che abbiamo avuto modo di osservare, sono state quelle di chi ha sostenuto la necessità di “chiudere i siti e i gruppi di facebook che inneggiano all’odio politico”. Ed ecco che la “democrazia” ci ricasca.
Si dà il caso che, in una vera democrazia, ove vigono, secondo i suoi apologeti, gli “immortali principi” della libertà di espressione, della giustizia e dell’uguaglianza, un cittadino possa esprimere qualunque opinione. Unico limite invalicabile deve essere il fatto che non si sostengano queste opinioni con azioni violente o con atti contrari alla legge.
Posto questo inderogabile limite, noi potremmo, legittimamente (sempre considerando questa una democrazia vera e non presunta tale) dichiararci antisemiti, nazisti o omofobi, dichiarare di odiare i neri o di disprezzare lo stato democratico, per citare esempi estremi ovviamente, con buona pace delle “polizie” che controllano il web, per il semplice motivo, che mentre sostengo un’opinione, non sto automaticamente commettendo un reato. Cosa ben diversa è, ad esempio, se dopo aver dichiarato un mio eventuale odio per gli omossessuali (si badi bene che qui si sta andando sempre per esempi, citando ovviamente i più vicini al limite), andassi per strada a malmenarne qualcuno. E lì giustamente dovrei venire arrestato e processato, e, vivaddio, anche condannato.
Un esempio di questa volontà di omologazione culturale ed ideale, ed anche di “discriminazione alla rovescia”, è l’ultima trovata del ministro per le pari opportunità (sic). In questo “meraviglioso” spot pubblicitario si sostiene che nella vita le differenze sessuali non contano, al grido di: “Ti interessa forse sapere se il chirurgo che ti opera è eterosessuale o omosessuale?”- e fin qui la pubblicità potrebbe avere un suo senso, perché è molto meglio dividere il mondo in due categorie, le persone intelligenti e gli imbecilli. Ma il clou arriva nel finale, laddove si intima al malcapitato spettatore, che cova forse, latente nel suo animo, il germe dell’omofobia: “rifiuta l’omofobia, non essere tu ad essere diverso!”. Eh certo! Cittadino! Stai bene attento a non distinguerti mai dalla massa di pecoroni che ti circondano! Fino a dieci anni fa se ti dichiaravi gay ti prendevano a sassate e se ne difendevi uno passavi per debosciato. Adesso, magia del progresso culturale, deve dimostrarti favorevole a coppie gay, matrimoni gay, adozioni gay e via dicendo, pena il rischio di essere emarginato dal nuovo “coro” che si è sostituito al vecchio: siamo tutti uguali, tutti parimenti meritevoli, tutti abbiamo dei “diritti”, sulla scia del vomitevole egualitarismo moderno.
Ma nulla può e deve impedirci di sostenere le nostre idee, di uscire da quel coro di “anime belle” che ci vuole tutti allineati su una posizione aperta, tollerante, pacifista e baciapile, come polli da batteria, buoni solo per consumare e non dare troppo fastidio. Del resto perché scannarsi in annosi dibattiti sul senso delle cose, o sulla visione del mondo? Ci sono tanti bei canali di “intrattenimento” e tanti bei centri commerciali dove perdere queste polemiche velleità.
Quindi ancora una volta la democrazia dimostra la sua ignominiosa mascherata, la sua irriducibile falsità. “Noi siamo liberali e in democrazia il confronto è libero e aperto!”-sostengono questi araldi della rappresentanza popolare. Peccato che si dimentichino di aggiungere, con malcelata malizia: “a patto che le idee di cui si discute siano tutte democratiche!”. Che apertura mentale, che splendidi orizzonti di dialogo, che “democratica” tolleranza!
Noi crediamo che ormai sia chiaro che questo sistema politico e sociale, ben lungi dall’assicurare a tutti la libertà di espressione, lo faccia in realtà solo con quelle idee e quelle persone che accettano le sue regole e i suoi diktat, condannando invece chi non contesta i dettagli, ma le regole del gioco stesso come “terrorista”, “criminale”, “canaglia”, “talebano” e chi più ne ha più ne metta.
Il precedente di una chiusura in massa di pagine facebook e di siti che contestano, anche in maniera di dubbio gusto lo ammettiamo, un politico o un istituzione, sarebbe un pericoloso precedente, che vedrebbe passare sotto la lente dell’ “istigazione a delinquere” ogni comportamento ideologicamente o socialmente “deviante” (e quindi in molti casi sano e sacrosanto). Con buona pace della “libertà di espressione” che lo stesso premier sbandierava dal palco contro i suoi contestatori.