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L’Europa ed i tagli alle emissioni di CO2

di Matteo Pistilli - 16/12/2009

  
L’Europa ed i tagli alle emissioni di CO2
Il vertice sul clima di Copenhagen ha riportato il tema dell’inquinamento alla ribalta. Forse però è utile chiarire brevemente alcuni aspetti che spesso rimangono in secondo piano.

L’Europa si è già impegnata a ridurre le proprie emissioni cospicuamente tramite il protocollo di Kyoto. Inoltre si è impegnata a ridurre le emissioni del 20% entro il 2020.

La stessa Europa si è detta disponibile a ridurre ulteriormente le emissioni del 30% nel caso si riuscisse a portare a termine un trattato internazionale fra tutti gli inquinatori. Le Ong “ambientaliste” hanno anche proposto al nostro Continente di applicare a prescindere le ulteriori riduzioni senza badare al comportamento degli altri.

Questa sarebbe una scelta sbagliata e pericolosa. L’Europa ha già fatto e sta facendo moltissimo per ridurre l’inquinamento mondiale; sta facendo addirittura troppo, pagando di tasca propria e dei propri cittadini questa scelta di responsabilità.

Infatti i maggiori inquinatori del mondo, gli Stati Uniti, che da soli spargono il 20% delle emissioni mondiali avendo soltanto il 4% della popolazione del globo, non si impegnano che per riduzioni del 4%! (Da sottolineare che la situazione degli Usa è ben diversa da quella della Cina, che emette all’incirca la stessa quantità di CO2, ma raccoglie il 20% della popolazione mondiale).

Gli Stati Uniti inoltre non hanno ratificato neanche il protocollo di Kyoto. Ovviamente gli Usa sanno bene che approntare così drastiche riduzioni delle emissioni comporta l’impoverimento della propria potenza, sia in termini di bilancio pubblico, sia per quanto riguarda il livello di vita dei cittadini. Rimanendo fuori da ogni accordo adeguato al proprio ruolo, riescono non solo a non modificare nulla, ma al contrario, a sfruttare l’indebolimento economico ed industriale di altre aree del pianeta che invece spendono molto per ridurre le emissioni. Avrebbero accettato Kyoto soltanto obbligando i paesi emergenti a frenare la propria crescita, così da salvaguardare ogni margine di potenza.

Ma chiaramente non si può pensare di bloccare la crescita dei cosiddetti “paesi in via di sviluppo” ponendo asfissianti paletti alla loro industriosità: non solo questi rivendicano giustamente il diritto di giungere a quel livello di sviluppo che “l’occidente” ha potuto raggiungere indisturbato e senza porsi problemi sull’inquinamento (inoltre l’attuale degrado ambientale ha carattere storico, è pregresso all’oggi quindi da addebitare del tutto al cosiddetto occidente), ma di più c’è da dire che l’attuale crescita economica dei paesi emergenti è di certo più salubre di quanto non sia stata quella dei paesi sviluppati nel passato.

Ancora, i livelli di inquinamento pro capite sono decisamente inferiori: un cinese oggi inquina sei volte meno di un abitante degli Stati Uniti.

In definitiva è il tempo delle responsabilità e della chiarezza.

Se l’amministrazione Usa vuole salvaguardare il pianeta dall’inquinamento, deve impegnarsi in prima persona, ora e più degli altri, semplicemente perché inquina più degli altri.

Chiunque chiede sforzi alle altre aree del pianeta, in particolare all’Europa, o sbaglia o più pericolosamente vuole mantenere la supremazia di Washington. I cittadini e i governanti del nostro continente, dovrebbero essere più esigenti, per il bene proprio e dei loro figli.

Invece un’Europa già debole e in crisi, se si impegna ulteriormente a tagliare le emissioni (fra l’altro, e non è da poco, sui livelli del 2005, quindi per forza più alte, compresi i grandi sforzi fatti, da quelle del 1990), sarà ancora più povera, conterà ancora di meno a livello internazionale e nulla avrà risolto per quanto riguarda l’inquinamento, visto che i principali inquinatori mondiali, gli Usa, non si impegnano che per percentuali marginali e sui dati di inquinamento degli anni novanta (dove dal 1990 ad oggi hanno invece aumentato le proprie emissioni del 14,4%). Praticamente lo sbandierato 17% di diminuzione proposto da Obama sui dati del 1990, corrisponde, appunto, al 4% su quelle dei livelli del 2005, livelli per i quali, ripetiamo, l’Europa si impegna per il 20%!

Un’ultima parola merita l’Italia. Fra gli Stati europei è stato senza dubbio uno dei meno virtuosi, criticata dalla stampa italiana perché nel report annuale della Ong “German Watch”, il Climate change performance index 2009, figura al 44 posto in classifica, per quanto riguarda gli sforzi nel combattere le emissioni. Ebbene chiunque abbia letto questi articoli, avrà notato che fra i vari Paesi citati, ne manca uno: gli Usa, che in classifica sono guarda caso al posto 54, inoltre seguiti praticamente da tutti i propri rami (Canada, Australia, Nuova Zelanda…). Perché l’Italia scandalizza così tanto ed i maggiori inquinatori del mondo no?