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Copenhagen: emarginata l'Europa

di Federico Rampini - 20/12/2009




Le ragioni della vittoria politica di "Cindia" al vertice sul cambiamento climatico? Il responsabile Onu per l´ambiente Yvo de Boer le riassume così: «In India 400 milioni di persone vivono senza accesso alla corrente elettrica. Come gli dici di spegnere una lampadina che non hanno?» È ciò che il premier indiano Manmohan Singh aveva in mente quando ha detto: «Ogni accordo sul clima deve considerare i bisogni di crescita delle nazioni in via di sviluppo». Se a qualcosa è servito Copenaghen, forse è proprio questo. Mai più l´Occidente potrà dettare tempi e regole per far fronte all´emergenza ambientale, ignorando che il saccheggio dell´ambiente visto dai paesi emergenti è anzitutto un lascito nostro.
«Tutto il mondo dovrebbe essere felice per i risultati del vertice», ha detto raggiante Xie Zhenhua, il capodelegazione cinese, nel riprendere l´aereo per Pechino. La sua esultanza non lasciava dubbi sull´esito. «Noi cinesi - ha aggiunto Xie - abbiamo preservato il nostro interesse nazionale e la nostra sovranità». Non è proprio così che Barack Obama ha cercato di vendere agli americani l´accordo finale. Un punto qualificante dell´intesa raggiunta in extremis è la concessione cinese che gli impegni a ridurre le emissioni di CO2 andranno verificati nella trasparenza, con un monitoraggio internazionale. Ma quanto la Cina sarà davvero aperta a forme di ispezioni straniere, alla fine lo decideranno a Pechino, valutando di volta in volta i propri interessi.
Se ci fosse bisogno di una conferma del successo politico di Pechino e Delhi, l´ha data un autorevole consigliere di Obama rivelando i retroscena del vertice ai giornalisti di ritorno a Washington sull´Air Force One. Le ultime ore convulse di trattative per salvare Copenaghen dal fiasco totale, Obama le ha passate a rincorrere il premier cinese («Datemi il primo ministro Wen, dov´è finito Wen?»). Wen si nascondeva in albergo. E a negoziare con il presidente degli Stati Uniti mandava un sottosegretario agli Esteri. In quanto a Singh, la delegazione Usa è stata presa dal panico quando a vertice ancora aperto è giunto l´annuncio: «Gli indiani sono già all´aeroporto, hanno deciso che non serve rimanere e stanno imbarcando sull´aereo di Stato per tornare a casa». Alla fine Obama ha dovuto, letteralmente, imbucarsi a una riunione in cui nessuno lo aveva invitato: un meeting tra i dirigenti di Cina, India, Brasile e Sudafrica, cioè il nuovo gruppo "Basic". Obama aveva capito che se voleva salvare una parvenza di risultato al vertice, le cose si decidevano lì dentro.
È uno choc per due aree del mondo che avrebbero potuto contare molto di più: l´Unione europea e il Giappone, spesso all´avanguardia nelle normative sull´ambiente, ma ininfluenti a Copenaghen. Mai Obama ha cercato una sponda con loro. Dando prova di senso tattico, il presidente americano ha "marcato" solo i giocatori che contavano. Perché la chiave dei nuovi equilibri politici mondiali, è nella capacità di Cina e India di giocare su due sponde. Sono superpotenze economiche in competizione con l´Occidente (anche nella quantità di gas carbonici). Al tempo stesso conservano la capacità di rappresentare paesi emergenti ben più poveri di loro.
Un esempio è proprio la difesa che la Repubblica Popolare ha fatto della propria sovranità nazionale, contro la "trasparenza". Perché questa campagna cinese ha trovato comprensione in molti paesi dell´Asia, dell´Africa e dell´America latina? In parte perché si tratta di governi-clienti di Pechino, avvinghiati in robuste reti di relazioni commerciali, finanziarie, militari. Ma c´è una ragione più nobile, l´ha spiegata il presidente brasiliano Lula da Silva: «L´Occidente deve stare attento alle interferenze. Quando i cinesi si battono contro le ingerenze, ad altri paesi in via di sviluppo vengono in mente i tempi in cui mandavate i vostri diktat attraverso il Fondo monetario e la Banca mondiale».
Mark Levine, scienziato ambientalista al Lawrence Berkeley National Laboratory, che in qualità di esperto ha accompagnato Barack Obama sia in Cina che a Copenaghen, è convinto che i leader di Pechino non sottovalutino affatto i danni del cambiamento climatico: «Stanno investendo molto nelle energie alternative. E sull´auto elettrica, vogliono arrivare prima loro di noi. Ma al tempo stesso vogliono affermare il principio che su questo terreno non tocca a noi dare lezioni».