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C’è un «Falco» che vola sul vuoto zen dell’Italia

di Stenio Solinas - 20/12/2009


 
«Il poeta è stanco» dice Valerio Zecchini parlando ironicamente di sé in terza persona. È reduce da un reading in Campania che aveva come titolo «Una Napoli peggiore è possibile» e tra aforismi, musiche e massime si è esibito anche lì nella declamazione ginnica. La cosa funziona così: l’artista stende sul palco un tappetino da preghiera tibetano e recita, facendo flessioni, Alla sera di Foscolo, La giornata di un nevrastenico di Campana, l’apocrifa Canzone delle Guardie Svizzere resa celebre da Céline... «La “declamazione ginnica” è un omaggio riservato ai grandi» spiega. «Il culto della parola coniugato con il culto del corpo. Solo che quest’anno ho compiuto cinquant’anni... ».
Zecchini è un ragazzone che supera il metro e ottanta, ha un fisico asciutto e un volto che sembra la prua di una nave, con il naso a fare da rostro e le orecchie da vela maestra. A Bologna, dove è nato e dove vive, è conosciuto anche come «Il Falco»: è nottambulo, solitario, trasgressivo. Franco Berardi, in arte Bifo, già teorico del ’77 bolognese, e il filosofo Stefano Bonaga, già pigmalione di Alba Parietti, sono fra i suoi estimatori, ma c’è anche chi lo guarda con sospetto e ancora gli dà del «fascista». Lui alza le spalle: «La risposta più idonea all’accusa di fascismo è la seguente: “Me ne frego!”. Qualsiasi altra legittima l’accusa e induce quindi a giocare in difesa».
Il suo nuovo libro si chiama Patriottismo psichedelico (Pendragon, pagg. 96, euro 12) e contiene racconti, slogan, ricette, haiku. «È curioso come la parola “patriottismo” metta a disagio e continui a essere associata alla Destra. Eppure, il presidente Obama la usa spesso nei suoi discorsi, per non parlare del celebre “Patria o muerte” con cui il Che chiuse il suo intervento alle Nazioni Unite... Io sono per il sincretismo: pensare simultaneamente ciò che finora è stato pensato contradditoriamente. Dio, patria e famiglia, ma anche sex, drugs and avant-garde. “La strada dell’eccesso porta al palazzo della saggezza”, diceva William Blake, ma Jim Morrison lo avrebbe sottoscritto... Fosse per me organizzerei il Family Day al Cocoricò di Riccione e il Gay Pride nei conventi. Penso che l’onnagata, ossia l’arte giapponese del travestimento, sia virilissima».
Nelle ultime puntate del Chiambretti Night, i telespettatori hanno potuto ammirare un pazzo che dal chiuso di una stanza declamava versi e lanciava proclami. Cose tipo: «Pantofolai di tutte le latitudini / non è forse giunta l’ora di indossare gli anfibi?». «Ognuno ha da battere il suo metro di marciapiede, avanti e indietro, per tutta la vita». «Quando è al potere, il comunismo è una tragedia; quando è all’opposizione, una perdita di tempo». «Essere un pagliaccio è l’unica professione rispettabile di questo mondo». «La maniera migliore di vivere in comunione con gli altri è non frequentarli. Comunione e liberazione». «I bolognesi sono dei romagnoli imperfetti». Quel pazzo era Zecchini, alias ZeKKini, ovvero Il Falco. «Dovremmo riprendere a registrare dopo le feste di Natale. Chiambretti mi piace, è uno veloce, senza paraocchi. Non che mi faccia illusioni. Da un decennio a questa parte io ho inventato formule artistiche che poi ho vissuto; vissuto, non rappresentato: la letteratura da ballo, la poesia ginnica, l’aforisma danzato, il conservatorismo libertino, il nazi-buddismo... Ho creato ambientazioni, non spettacoli. Qualcuno ha detto che il mescolare stili di vita fra loro contrapposti fa di me un personaggio pericoloso, oppure ridicolo. Può darsi. Quello che è certo è che tentare di scardinare i recinti delle etichette e delle categorie entro cui pascolano e ruminano i filistei ha un prezzo. Il fraintendimento e la miseria ne fanno parte, ma la vita in fondo è un grande ballo in maschera e mentre nella deriva dell’oceano liberale si muore di noia l’ufficiale giudiziario cosparge il mio corpo indifeso di petali di rosa e di cambiali in protesto». Il Falco è figlio unico, vive in un mansarda nel centro di Bologna, ha un gatto persiano, una moglie malese. Ha vissuto a lungo in Spagna, ha soggiornato a lungo in Estremo Oriente, una dozzina d’anni fa ha fondato il gruppo musicale Post Contemporary Corporation, il suo ultimo cd si intitola Eroismo e pagliaccismo. «A vivere la post-contemporaneità mi ha aiutato la pratica Zen: meditare sul nulla senza fine e riappropriarsi dell’essenza dell’essere. L’uomo occidentale ha un’identità esausta, svuotata di tutto il divino. Soltanto guardando in faccia il nulla senza fine, soltanto attraverso quello che gli induisti chiamano “contemplazione del vuoto” si può pervenire a un’illuminazione spirituale. Rilanciare la spiritualità più arcaica nell’ultra-modernità, innestare la filosofia Zen nell’individualismo occidentale, promuovere la sperimentazione del quarto sesso: questa è l’essenza del pensiero post-contemporaneo».
I suoi ammiratori-critici dicono che Zecchini si butta via. Fa troppo e insieme troppo poco. «Antonio Franchini, editor della narrativa Mondadori, vorrebbe che scrivessi un romanzo. “Senza un romanzo non vai da nessuna parte”, mi dice. Ma la mia ambizione è la letteratura totale. Anche le performance musicali ne fanno parte, così come le mostre personali di quadri e sculture... La vita è una grande sinfonia in cui si possono suonare tutti, o quasi, gli strumenti. Io do tutto a me stesso. Agli altri mi concedo solo in prestito. E poi, vivere è una vergogna».
Per quanto post-moderno, Zecchini è la negazione della modernità. Non usa il computer, pasticcia con il cellulare, non naviga in internet. «Il dinamismo non ha niente a che fare con la frettolosità o con la tecnica. Come diceva Pound: “Lentezza è Bellezza”. Trovo fastidioso l’onanismo verbale dei blogger: li manderei in palestra... Amare eccessivamente la tecnologia e i suoi derivati è un’attitudine decisamente plebea e io sono un aristocratico oscurantista lucido».