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Rifkin: Occasione sprecata questo patto nasce vecchio

di Antonio Cianciullo - 20/12/2009

  
 
«Hanno accettato questo accordo per evitare il collasso delle trattative? Ma il collasso è quello che abbiamo di fronte: niente target, niente impegni veri…» Jeremy Rifkin, il teorico della terza rivoluzione industriale, dal suo ufficio di Washington si è tenuto costantemente aggiornato sugli sviluppi della conferenza di Copenaghen. Ora, a pochi minuti dalle conclusioni del summit, ascolta con stupore le motivazioni che hanno spinto Bruxelles ad accettare un´intesa lontana da quella auspicata dai leader dei maggiori paesi europei.

La possibilità di un´interruzione del processo negoziale era però molto concreta.

«L´Europa è la maggiore economia mondiale. È chiamata ad assumersi la responsabilità della leadership: deve guidare il processo, non aggregarsi a scelte esterne. E ha la possibilità di farlo perché dispone di leader capaci di visione e di settori economici avanzati: sprecare questa occasione sarebbe un errore gravissimo».

Che significa in pratica assumere la leadership economica?

«Guidare la terza rivoluzione industriale, quella basata sull´efficienza energetica e sulle rinnovabili, sull´idrogeno e sugli edifici che producono più energia di quella che consumano. Su questo progetto si può saldare un fronte che comprende paesi a tecnologia avanzata e paesi in via di sviluppo offrendo gli strumenti più avanzati a chi non ha ancora sviluppato la seconda rivoluzione industriale. In questo modo è possibile saltare una fase di sviluppo portando ad esempio le rinnovabili a chi non è nemmeno connesso alla rete elettrica e tenendo assieme crescita economica e tagli alle emissioni».

L´effetto Obama, caricato di attese, non ha invece prodotto il risultato sperato.

«Per Obama non è stato un completo fallimento. Ha compiuto un passo calibrato sulle esigenze politiche degli Stati Uniti. Anche il trasferimento dei fondi di cui si è parlato a Copenaghen, che sono significativi, è una scelta che suscita molte controversie negli Usa: per evitare i sospetti che i soldi vengano spesi male bisogna avere garanzie sui controlli».

Che prospettive ci sono dopo Copenaghen?

«Non esiste un piano B. Non c´è un´alternativa al contenimento dei gas serra perché non abbiamo un pianeta di riserva: dobbiamo difendere la vivibilità di quello su cui abitiamo. E quindi bisogna evitare di perdere altro tempo. Non possiamo permetterci di fallire il prossimo appuntamento: il summit sul clima del 2010 a Città del Messico. Bisogna arrivare ad accordi forti, vincolanti e misurabili».

Resterà tutto fermo per 12 mesi?

«Assolutamente no. La terza rivoluzione industriale progredisce sia dall´alto che dal basso. Ci sono gli accordi quadro che forniscono la cornice per le grandi strategie, ma ci sono anche le scelte dei singoli e delle amministrazioni locali: noi abbiamo fatto progetti molto interessanti in Grecia e in Spagna come a Roma e in Sicilia. Immaginare il cambiamento di cui abbiamo bisogno come un processo che cala dall´alto vuol dire non averne capito l´essenza. Il punto centrale è il passaggio da un modello centralizzato, verticale, basato sul potere di oligopoli, a un modello decentrato in cui l´energia viene prodotta dagli impianti rinnovabili. L´energia viaggerà nella rete come le informazioni su Internet».

Cosa manca alla politica per intercettare queste possibilità e questi umori? Cosa rallenta le conclusioni dei vertici mondiali?

«Sono fermi alla geopolitica, guardano indietro. Quello che conta invece è il passaggio alla politica della biosfera, alle scelte industriali che utilizzano le risorse rinnovabili degli ecosistemi lasciando intatte le basi della produzione anziché consumarle con l´inquinamento».