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Macchia nera

di Riccardo Ianniciello - 27/12/2009

Il capobranco, un vecchio lupo con cicatrici sparse su tutto il corpo a testimoniare la dura lotta per la sopravvivenza, si ferma ad annusare l’aria, ora in una direzione, ora nell’altra. A breve distanza il resto del branco attende una sua decisione. Solo un cucciolone, con una vistosa macchia nera sul dorso che risalta sull’uniforme mantello grigio chiaro, è impaziente e scalpita più di un puledro: gira e rigira su stesso in modo frenetico, fiutando la terra presso una siepe di biancospini e ciliegi selvatici, per poi correre dai suoi compagni come per avvertirli di qualcosa che ha scoperto.
   Il vecchio lupo spazientito e forse ferito nell’orgoglio da tanta audacia, lo scaraventa a terra con un colpo improvviso delle possenti spalle. Il giovane lupo sente le mascelle che si serrano sul suo collo, l’aria che gli manca, ma è solo per un istante, poi è di nuovo libero. Con la coda tra le zampe e le orecchie schiacciate sul capo, Macchia nera lecca ripetutamente il muso del lupo adulto per farsi perdonare, sebbene ignori la sua colpa. Ma il maschio dominante non è stupido, sa che quel giovane lupo, un po’ esuberante, ha forse fiutato una buona pista e così si avvicina alla siepe, dopo aver fatto un ampio giro, per non tradire un’eccessiva importanza alla cosa.
   Macchia nera ha fiutato bene: alcuni cervi sono passati proprio là e da poco tempo a giudicare dal forte odore di muschio.
   Il branco si mette subito all’inseguimento, scivolando silenzioso nella foresta di latifoglie, il cui fondo è ancora coperto dalla neve caduta alcuni giorni prima e che permette ai lupi di seguire anche visivamente le tracce lasciate dai cervi. Una lepre è colta di sorpresa e divorata da due lupi dopo un breve e fulmineo inseguimento.  Macchia nera in uno slancio di entusiasmo si accosta al capobranco per correre al suo fianco, ma è accolto da un feroce ringhio, mentre contemporaneamente si sente mordere alle zampe posteriori dai suoi compagni. Piagnucolando per il dolore e la delusione fugge in coda al gruppo.
  
   Intanto in una piccola radura sgombra dalla neve, un grosso cervo strappa nervosamente l’erba, facendo continue pause e osservando con sguardo vigile il suo branco al pascolo: le femmine che ruminano incessantemente, i piccoli che giocano spensierati ed infine alcuni giovani maschi che ad una certa distanza gli lanciano occhiate di sfida. Non raccoglie però quelle provocazioni, non adesso almeno, perché avverte nell’aria qualcosa che lo preoccupa. E’ il suo istinto a dirglielo e l’esperienza di tanti anni. E’ un’alba insolitamente fredda e silenziosa. Il cervo dominante si porta più appresso al suo branco, con gli zoccoli anteriori batte ripetutamente in terra, poi agita il capo e le imponenti corna e trotterellando si porta vicino alla cortina scura della foresta, avvolta dalla foschia mattutina. Il resto dei cervi lo segue, un po’ riluttante a lasciare quel pascolo. Inoltrandosi nella boscaglia, il capobranco è ben conscio del pericolo che lui stesso e gli altri cervi corrono, quello di impigliarsi con le corna nella vegetazione, che significa per il malcapitato una morte per agonia o venir sbranati dai lupi o da un orso, ma questo è l’unico modo per raggiungere la montagna e mettersi così in salvo.
    Dopo circa mezz’ora di trotto sostenuto, i cervi esausti ma incolumi escono dalla foresta, investiti dal sole e dall’azzurro del cielo. Ora il branco deve solo attraversare quel corso d’acqua davanti a loro e poi quel prato per portarsi alle prime pendici della montagna, le cui ripide pareti rocciose costituiscono un terreno infido per qualsiasi lupo. Ed è quello che fanno.

   I lupi irrompono nella radura fiutando eccitati le tracce odorose dei cervi ed è ancora il giovane lupo dalla macchia nera sul dorso ad essere il più lesto a scovare la pista giusta e questa volta il vecchio maschio non lo rimprovera, ma anzi gli permette di proseguire al suo fianco, un modo per fargli capire che apprezza la sua abilità. Questa improvvisa concessione suscita il malcontento degli altri maschi, che brontolano vistosamente.
   Nella foresta, al loro passaggio i cervi hanno lasciato più di un segno: rami spezzati, tronchi marci spaccati dagli zoccoli, impronte sulla neve. Per i lupi è un invito a nozze. Quando i predatori escono dal buio della boscaglia, si dirigono decisi verso il fiume e dopo averlo guadato, risalgono il breve argine che li separa dai cervi.  Essi sono proprio là, davanti a loro a brucare l’erba bruciata dal gelo, apparentemente tranquilli.
 Il lupo dominante esita ad attaccare, poiché si rende conto che appena alle spalle delle loro prede, si erge una scoscesa scarpata, che una volta raggiunta, li metterebbe in salvo. Mentre il vecchio lupo sembra formulare questi pensieri, si avvede che Macchia nera da solo si è portato verso i cervi, strisciando a ridosso di grossi cespugli che gli fanno da schermo; poi, dopo aver guadato un piccolo stagno, giunge alle spalle di questi, frapponendosi fra loro e la montagna. Il vecchio lupo non attende oltre, e insieme al branco scatta in un attacco a ventaglio, così da impedire ai cervi ogni via di fuga.
   Il grosso cervo è il primo ad accorgersi del sopraggiungere dei predatori e avverte gli altri correndo nella direzione opposta, verso l’erta parete rocciosa. Ma fatta qualche decina di metri, i cervi trovano un lupo, con una vistosa macchia nera sul dorso a sbarrargli la strada. Il branco allora è preso dal panico. Alcuni tentano la fuga verso i radi boschetti circostanti, ma anche lì ci sono lupi ad attenderli. Un cervo molto vecchio viene circondato e sopraffatto, poiché i lupi prendono di mira solo gli individui più deboli. Quando i lupi affamati iniziano a divorare la preda, a Macchia nera accade un fatto insolito: avvicinatosi prudentemente alla carcassa, con la remota speranza di accaparrarsi qualche brandello di carne, si accorge, con suo grande stupore, che nessuno dei lupi adulti lo scaccia, ma due giovani lupi, al suo avanzare, si allontanano, cedendogli il posto. Incoraggiato da questi eventi, Macchia nera, con fare sospettoso, si avvicina ancor di più alla carcassa del cervo, fino a trovarsi a pochi centimetri dal muso e quindi dalle mascelle dei maschi più grossi. Poi, tenendo sempre d’occhio i suoi compagni, timidamente addenta un pezzo di carne.