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La voce degli Dèi. Musica e religione nel rito giapponese del «kagura»

di Daniele Sestili - 28/12/2009

     La voce degli dèi. Musica e religione nel rito giapponese del «kagura»
 
 

    Musica ed esperienza religiosa in Giappone: il caso del kagura
di Daniele Sestili
In ricordo di Honda Yasuji (1908-2001),
demologo e pioniere nello studio del kagura

Introduzione

Questo intervento si propone di illustrare brevemente la presenza della musica nella vita religiosa dei giapponesi, tramite l'esempio della cerimonia folklorica del kagura. Con tale termine si individuano una grande varietà di riti coreutico-musicali - cioè caratterizzati da musica e danza - diffusi su tutto il territorio del Giappone propriamente detto. In queste azioni rituali si fondono sincreticamente, su un sostrato sciamanico, shintoismo (la fede autoctona), buddhismo, taoismo e confucianesimo(1).
Con il vocabolo kagura oggi viene indicato, nell'uso comune, una varietà di spettacoli, sovente caratterizzati dall'impiego di maschere, collegati ai matsuri, le feste comunitarie dei sacrari shintoisti. Gli specialisti riconoscono invece specificamente come kagura ogni azione rituale, messa in atto in ambito popolare, costituita da un'invocazione del dio e da un vero e proprio spettacolo imperniato su musica e danza. La specificità del kagura è però rappresentata dalla finalità prettamente religiosa: il suo scopo precipuo è infatti quello di rinvigorire l'energia dei partecipanti. Va inoltre precisato che definire il kagura rito popolare (o folklorico), significa alludere innanzitutto a un comportamento espressivo proprio di "dilettanti" (e raramente di semiprofessionisti), sottintendendo nel contempo una natura prettamente locale dei singoli esempi.
Il vocabolo kagura è attestato già nell'antologia poetica Man'youshuu (VIII secolo) e compare in altri documenti ufficiali di poco successivi. Sarebbe la contrazione, secondo la teoria più accreditata, di kami + kura, "residenza degli dèi". Un'altra interpretazione vede invece il vocabolo come contrazione di kamigakari, "possessione". Comunque sia, entrambe le teorie rimandano a un rito in cui la divinità è considerata esser presente.
Ancora oggi i giapponesi fanno tradizionalmente risalire l'origine del kagura alla danza di possessione eseguita dalla dea Uzume di fronte alla "Caverna celeste" (cfr. di seguito La presenza della musica nel rito). Tale episodio mitologico è narrato in due cronache pseudo-storiche dell'VIII secolo, il Kojiki e il Nihonshoki (anche chiamato Nihongi). Più verosimilmente, in ambito accademico si propone quale epoca della nascita del kagura il periodo che va dal III al VI secolo, cioè quello in cui si avvia l'unificazione del Giappone sotto il clan Yamato.
Oggi riti coreutico-musicali identificati come kagura sono celebrati in tre delle quattro isole principali: Honshuu, Shikoku e Kyuushuu. Le due estremità opposte dell'arcipelago, Hokkaidou a nord-est e le isole Ryuukyuu a sud-ovest, non presentano esempi di kagura, essendo queste storicamente sede di civiltà altre, Ainu e Okinawana(2).
Il rito coreutico-musicale del kagura presenta attualmente una grande varietà di forme, determinate dal forte localismo della cultura popolare (a cui prima si è già fatto cenno). La genesi e la pratica di tutti questi riti è però strettamente collegata alle due figure sciamaniche attive nelle pratiche religiose popolari. Una è quella delle medium, specializzate nella possessione oracolare (quella durante la quale la divinità incarnata parla tramite la bocca della posseduta). Queste donne, quasi sempre cieche, sono ora concentrate nel Nord-est dell'isola principale. Tali figure vengono chiamate con termini quali kuchiyose, itako o, più frequentemente in ambito accademico, miko popolari. L'altro specialista è lo yamabushi, un asceta il cui operato si collega, pur essendo questi affiliato a sette buddhiste, a fenomeni classicamente sciamanici: estasi (volo extracorporeo), esorcismo, induzione della possessione vicaria, chiamata da parte di una figura extra-umana, ordalia iniziatoria e pratiche ascetiche nei ritiri in montagna.

La presenza della musica nel rito

La musica dei kagura costituisce probabilmente uno dei casi più significativi per esemplificare l'interrelazione di religione e comportamenti sonori in Giappone. E' noto che le differenti religioni non sono mai indifferenti alla musica nella maggior parte delle culture tradizionali, siano esse semplici o complesse. Tale relazione è di sicuro estremamente varia: i comportamenti musicali sono interpretati come la più alta espressione di spiritualità in una parte del mondo e come fonte di depravazione in un'altra(3).
Il Giappone appartiene senza dubbio alla prima categoria. La spiccata natura sonoro dei riti shintoisti risulta subito chiaro a chiunque possa assistervi: impiego di tamburi per segnalare l'inizio e la fine delle cerimonie, il doppio battito delle mani degli officianti, l'andamento salmodiato della preghiera norito. Da parte sua, anche il buddhismo ha contribuito a rafforzare la presenza dell'espressione sonora nelle azioni rituali. Il Mahâyâna diede infatti al buddhismo giapponese un carattere emozionale e immediato, che ha favorito la manifestazione della devozione anche tramite la musica. Il kagura, come tutte le espressioni popolari giapponesi, non è esente dal sincretismo shintoismo-buddhismo.
E' possibile intuire l'antichità del comportamento musicale nell'esperienza religiosa giapponese grazie alla descrizione di riti sciamanici proiettati nella mitologia. Episodio fondante di tale tradizione è quello, già citato, della "Caverna celeste". La dea solare Amaterasu, adirata per le malefatte del fratello Susanoo si rinchiude nella cosiddetta "Caverna del cielo", facendo piombare il mondo nell'oscurità. Le altre divinità si riuniscono in consiglio ed escogitano un piano per stanare Amaterasu, che culminerà con una danza della dea Uzume. La danza viene descritta come eseguita in stato di trance su un recipiente capovolto, fatto risuonare con i piedi(4). L'episodio si presenta pertanto come un archetipo di cerimonia volta a rinvigorire l'energia vitale dell'astro, in cui danza e musica (il recipiente capovolto usato a mo' di strumento a percussione) svolgono un ruolo centrale.

Gli strumenti musicali

Gli studi svolti negli ultimi decenni hanno ampiamente dimostrato che gli aspetti musicali dei kagura sono contrassegnati da un forte regionalismo, tipico peraltro di tutta la musica folklorica giapponese: differenti sono, per esempio, le scale impiegate, l'organizzazione ritmico-formale e altro ancora a seconda dell'area in cui si celebra il rito. Tuttavia una significativa omogeneità si riscontra nell'ambito organologico e interessa tutto il territorio giapponese. E' dunque sugli strumenti musicali che concentreremo la nostra attenzione.
Gli strumenti impiegati nei diversi spettacoli rituali folklorici - e non solo nei kagura - sono principalmente tamburi, flauti, cimbali o piccoli gong; non è escluso però l'uso di altre percussioni, nonché di strumenti melodici differenti dal flauto traverso, quali il liuto shamisen o il flauto dritto shakuhachi. Nel caso specifico del kagura l'insieme è più rigorosamente limitato a un massimo di tre specifiche tipologie organologiche: tamburo, piatti e flauto traverso. Alla musica strumentale si può aggiungere il canto, o la recitazione salmodiata dei danzatori-attori. Tuttavia la presenza della voce non è costante: in alcuni esempi infatti, pur essendo lo spettacolo sicuramente in forma di teatro-danza, l'azione degli attori è esclusivamente mimica.
Le tre tipologie organologiche sono: tamburo, cimbali, flauto traverso.
  • I tamburi impiegati nei kagura attuali sono sostanzialmente riconducibili a due tipologie, entrambi bipelli e percossi con una coppia di bacchette: tamburi cilindrici (ovvero quelli la cui cassa è caratterizzata da tale forma) e tamburi a barile (così denominati dalla forma bombata della cassa).
  • I cimbali (dobyoushi) hanno un diametro al massimo di 20 cm e producono un timbro acuto e penetrante. Scandiscono il ritmo di base, costituendo così il punto di riferimento per gli altri strumenti. Collegati in origine alla tradizione buddhista, i dobyoushi devono essere stati introdotti nei riti autoctoni velocemente. In alcuni kagura i piatti sono scomparsi, a causa di successivi rimaneggiamenti dell'organico.
  • Il flauto traverso (fue) è normalmente l'unico strumento melodico impiegato nei kagura. Il più usato, fornito di sei o sette fori digitali, è il cosiddetto shinobue, "flauto di shino", una varietà di bambù. Altri tipi di flauti, caratteristici di repertori professionali (nou e gagaku), sono però penetrati in alcuni kagura(5).
Gli esecutori

Si è già detto che il ruolo di esecutori del kagura è stato assunto, fin dalla creazione della cerimonia stessa, da due particolari operatori rituali: gli asceti yamabushi e le medium miko. Furono i primi, in particolare, grazie alla loro attività itinerante, a diffondere il rito nel paese. Le medium, in modo analogo, avevano tra le funzioni la celebrazione di kagura incentrati sulla possessione di una di loro. Il compito di eseguire il rito iniziò però a passare, a partire dal XVII secolo, ai fedeli o ai semiprofessionisti locali, perché gli asceti cominciarono a stanziarsi nei villaggi. Pertanto le tipologie attuali degli "attori" del kagura variano grandemente da luogo a luogo. Gli interpreti, contemporaneamente sia musicisti che danzatori-attori, possono essere i fedeli locali (e allora, spesso, questi sono affiancati da religiosi), i sacerdoti scintoisti, le miko, e, ormai solo raramente, gli yamabushi. Tratto comune a tutte queste figure è costituito dall'appartenenza al gruppo umano i cui componenti si ritengono "figli del dio" (ujiko) evocato e intrattenuto con il kagura(6).

Conclusioni

Cifra comune a tutto il territorio del Giappone storico sembra dunque essere la netta preferenza per alcuni strumenti musicali da utilizzare nel kagura. E' vero che tale preferenza è riscontrabile anche nei gruppi che intervengono negli altri spettacoli rituali, ma nel caso del kagura tale primato pare radicarsi profondamente nella specifica natura del rito: in altri termini, una tendenza conservatrice nella scelta degli strumenti risulta derivare dalle specifiche valenze magico-religiose attribuite ai singoli strumenti.
In particolare, la predominanza e l'onnipresenza del tamburo crea un'innegabile analogia con la centralità del tamburo nello sciamanesimo "classico", quello dell'Asia settentrionale e centrale. Di conseguenza viene da supporre che l'impiego del tamburo nei kagura, e più in generale in gran parte delle pratiche rituali folkloriche giapponesi, trovi le sue radici proprio nello sciamanesimo. Tale affermazione non presuppone però un rapporto esclusivo tra questo tipo di membranofono e lo sciamanesimo: l'etnomusicologo francese Gilbert Rouget, in un suo studio ormai classico (Rouget 1980), ha dimostrato come praticamente ogni tipo di strumento possa essere impiegato per l'esecuzione di musica sia sciamanica in senso stretto che di possessione. Resta il fatto che, nel caso del Giappone, il tamburo è significativamente legato, sin nei racconti mitologici, alle pratiche sciamaniche: l'episodio della "Caverna celeste" può infatti essere interpretato come pratica per il recupero dell'anima - quella della dea solare Amaterasu, "morta" nella caverna - in cui un tamburo sui generis, il recipiente capovolto, svolge una funzione determinante. Peraltro, nel Giappone contemporaneo il tamburo, di norma insieme al canto, si presenta come elemento immancabile nello scatenamento, nello sviluppo e nella risoluzione della trance di possessione che caratterizza alcuni rari casi di kagura.
Anche i cimbali, pure scomparsi da talune forme contemporanee di kagura, risultano profondamente radicati nella cultura sciamanica giapponese, come appare in particolar modo dalle ricostruzioni di riti di possessione celebrati in passato dalle medium miko. La musicologa Kojima ha giustamente evidenziato - sulla base anche dei dati forniti dall'etnografia musicale coreana - come, ancora oggi, la coppia tamburo a clessidra-cimbali costituisca il cuore dello strumentario impiegato durante i riti delle sciamane coreane, le mudang. Per inciso, va detto che analogo discorso vale per la sonagliera giapponese suzu, che trova un corrispondente, il pang'ul, nella cultura sciamanica coreana, e più in generale nei sonagli appesi al costume di molte figure sciamaniche dell'Asia continentale(7).
Analogamente, le valenze religiose del flauto traverso sono complesse e significative. Nello yamabushi kagura, sottogenere tipico dell'area nord-orientale dell'isola principale, il dio evocato si manifesta, secondo la credenza locale, tramite il suono del flauto. Così lo strumento, che è la "voce degli dèi", viene suonato spesso fuori scena per marcare il momento in cui la divinità-attore entra in scena. Immoos (1969) interpreta questo simbolismo come una delle forme più arcaiche di teofania, definendo il suono "maschera sonora".
Altrettanto interessanti sono gli esempi di flauti "trattati", propri dello yamabushi kagura della regione di Shimokita (prefettura di Aomori): qui una pallina di carta di riso viene inserita nel primo foro digitale dello strumento. Tale pratica potrebbe essere, secondo Kojima, un tentativo di imitare il timbro "aspro" degli antichi flauti di pietra, ancora oggi impiegati in alcuni santuari per evocare il dio. Va peraltro ricordato che nelle antiche cronache, in particolare nel Nihonshoki, il flauto è citato come strumento suonato nelle cerimonie funebri(8). Dato il carattere marcatamente sciamanico di tali cerimonie, atte al recupero dell'anima, pure questo aerofono si può inserire nella gamma di strumenti di antico impiego sciamanico.
Anche la voce umana, in molti esempi sparsi su tutto il territorio del Giappone, svolge un ruolo predominante, e è spesso accompagnata dal solo tamburo. Resta tuttavia il fatto - a cui già si è accennato - che se in molti kagura il canto può scomparire, non avviene mai che il tamburo sia assente. Più in generale, non può essere sottovalutata l'esistenza di repertori esclusivamente strumentali, in cui il canto cede totalmente il passo.
Ciò permette di formulare un'ipotesi con cui intendo chiudere queste brevi note. E' ipotizzabile che il puro suono, avulso da un testo verbale, sia tuttora considerato mezzo privilegiato nella comunicazione con il divino dalla mentalità giapponese tradizionale, di cui il kagura è espressione preminente. La musica del kagura, analogamente alle altre componenti del rito, ha senza dubbio subìto alcune modificazioni nel corso dei secoli. Tuttavia i comportamenti musicali attuati nel suo ambito mantengono salde connessioni con le concezioni religiose sottostanti il rito. Il valore di utensili rituali attribuito a tamburo, flauto e cimbali, mai negato attraverso la storia del kagura, ha reso questi strumenti indispensabili per il corretto svolgimento della cerimonia, perpetuandone fino ai giorni nostri un uso non accessorio.

Note

1. Riguardo alla religione giapponese, che fonde sincreticamente fede autoctona con dottrine di importazione, si veda, per esempio, Raveri (1993).
2. Va precisato che, unica deroga, un kagura è praticato anche in Hokkaidou, nell'area di Matsumae (sulla costa rivolta verso lo Honshuu). In questa zona fu introdotto durante il periodo Edo (1600-1867), dopo la fondazione di un feudo, estremo baluardo nord-orientale del potere centrale.
3. A tale proposito si veda l'illuminante voce enciclopedica Music and Religion di Ellingson (1987).
4. Una traduzione italiana dell'episodio è inclusa in Pettazzoni (1929, pp. 60-64).
5. Con il termine gagaku si indica la musica e la danza di corte imperiale giapponese. Il nou è invece un teatro coreutico-musicale codificato tra XIV e XV secolo e ispirato ai valori spirituali ed estetici della classe dei guerrieri.
6. A questo punto della relazione è stata proposta la visione di due video realizzati sul campo dall'autore: Shishi mai, "Danza del leone" (eseguita da un gruppo di Yagiyama, provincia di Akita); Kiri tachi, "Spade taglienti", (eseguita dai sacerdoti del sacrario di Mitake, Oome, provincia di Tokyo).
7. Il suzu (o kagura suzu o, ancora, miko rei) è impiegato ampiamente nei kagura, dove è impugnato dai danzatori. E' costituito da un manico a cui sono fissati i sonagli su tre ordini. La funzione del suzu è quella di attirare la divinità, perché si ritiene che sia oggetto a loro gradito: è pertanto considerato un ottimo catalizzatore per la discesa divina. Verosimilmente nell'antichità il prototipo della sonagliera serviva per segnalare la possessione dell'esecutore, grazie al movimento indotto allo strumento dal tremore del corpo.
8. Cfr. Sestili, Daniele. Le cronache storico-mitologiche come fonti per l'indagine sugli strumenti musicali del Giappone protostorico (2000, pp. 256-257).

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