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Obama e il tramonto del principio dell’autodeterminazione dei popoli.

di Lorenzo Borré - 28/12/2009

Sta per concludersi il primo anno della presidenza Obama e non può non rilevarsi che le ottimistiche aspettative riposte nel cambio di rotta della politica estera della Casa Bianca sono state fortemente deluse: a cominciare dalla mancata chiusura del carcere di Guantanamo.
L’annunciata smobilitazione di questo orrore concentrazionario è rimasta infatti nell’alveo delle petizioni di principio; al contrario, Obama ha puntualmente mantenuto la promessa di inviare nuove truppe in Afghanistan.
E invero il nuovo inquilino della Casa Bianca, accogliendo ecumenicamente le esortazioni dei neocon e i peana dei guerrafondai del partito democratico,  ha prontamente rafforzato la presenza militare in Afghanistan, benedicendo i contingenti in partenza con proclami dai toni millenaristici.
Non solo: i nuovo reparti schierati sullo scacchiere afgano continueranno a godere anch’essi del salvacondotto che li esonera dal rispondere di eventuali crimini di guerra davanti ad una Corte internazionale; Barak Obama, come i suoi predecessori, si è infatti ben guardato dall’aderire alla convenzione sui tribunali internazionali di guerra.
Insomma: c’è crimine e crimine.
Peraltro, il discorso pronunciato da Barak Obama in occasione del ritiro del premio Nobel per la pace, rappresenta bene questa convinzione, propria della concetto di guerra umanitaria sposato dal nuovo Kennedy afroamericano. 
Gli enunciati di Obama echeggiano infatti quelli esposti da Woodrow Wilson nella dichiarazione di guerra alla Germania dell’aprile 1917, allorché gli USA abbandonarono la loro posizione di neutralità “per combattere i nemici dell’Umanità e garantire una pace duratura nel mondo e la libertà dei popoli” (nel cui novero erano però esclusi quelli delle nazioni soggiogate dagli imperi coloniali europei e dalla politica del big stick statunitense).
Non è dunque un caso che nel suo discorso  Obama abbia citato proprio Wilson (altro premio Nobel per la pace “per meriti di guerra”): la dottrina della guerra umanitaria costituisce ancora, a distanza di un secolo, il feticcio ideologico con cui gli Stati Uniti giustificano il loro progetto egemonico mondiale.
Così come non è un caso che nel suo discorso Obama abbia glissato sulla tragedia umanitaria che si consuma a Gaza, tacendo qualsiasi riferimento ai soprusi che, quotidianamente, quasi mezzo milione di esseri umani (per la maggior parte donne, vecchi e bambini) devono sopportare: gli omicidi preventivi, la detenzione amministrativa, l’espropriazione coatta di territori, la contaminazione dell’acqua, l’embargo alimentare e commerciale, la morte per inedia e quella per impossibilità di cure mediche).
Per questi orrori, per queste violazioni dei diritti fondamentali della persona, il Dipartimento di Stato americano prova solo “disappunto”.
Meglio, molto meglio, per Obama,  puntare il dito contro l’Iran, dove gli USA, per mezzo di fondazioni non governative, hanno “ispirato” l’ennesima sommossa “colorata”, pronti a sostituire al soft power dei social network l’hard power del police bombing, laddove l’”interesse illuminato” degli Stati Uniti d’America lo richieda.
Insomma: c’è crimine e crimine e ci sono diritti umani e diritti umani; l’importante è non trovarsi dalla parte sbagliata della linea discriminatoria posta da Obama.