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Iran, Italia, Usa

di Gianni Petrosillo - 29/12/2009

Fonte: conflittiestrategie

In Iran è ripresa la “risacca” verde che ha approfittato della morte dell’ayatollah moderato
Montazeri e delle celebrazioni per l’Ashura (che ricordano un’altra morte, quella dell’imam
Hussein ucciso in battaglia nel 680 d.c. a Karbala) per creare disordine nelle principali città della
repubblica islamica.
Inutile riaffermare il nostro giudizio su quanto accade in queste ore in quel paese, il rinfocolamento
delle proteste viene ancora sospinto da forze esterne collegate con una parte del potere ufficiale
iraniano in collisione con Khamenei, guida suprema della rivoluzione, e con i suoi fedelissimi.
I media internazionali gettano benzina sul fuoco parlando di inaudita repressione e di violenze
gratuite contro i manifestanti, scesi pacificamente in piazza in nome della libertà e di uno stile di
vita simil-occidentale, di cui gli studenti persiani sono strenui sostenitori.
Che il Politically Correct dei mezzi d’informazione si butti sulla rivolta con tutto lo sciacallaggio di
cui è capace non ci sorprende affatto, ciò che ci lascia interdetti è, invece, l’adesione alla linea prooccidentale
della stampa e delle televisioni da parte di chi professa un antiamericanismo ad oltranza
quando si tratta di criticare le ingerenze statunitensi in Sud America ma poi si fa prendere dai palpiti
del cuore allorché arrivano le meritatissime randellate sui contestatori, i quali se pur ignari di essere
eterodiretti da forze estranee alla loro cultura e agenti contro gli interessi del loro paese, sono
ancora più meritevoli di repressione.
Da qualche parte ho anche letto che quando la piazza viene bastonata non ci possono più essere
dubbi sul come schierarsi, perché la ragione alligna sempre, ed in ogni caso, nella sollevazione e nei
suoi interpreti, i quali solo per questo sono bagnati dal giusto e dal bene. Baggianate sesquipedali
uscite dalla bocca di finti socialisti e “agitatori” di buone intenzioni perennemente tendenti al
terzomondismo i quali, tuttavia, prendendo certe posizioni denudano la loro vera natura servile
lasciando finalmente in vista la solida sostanza reazionaria che li anima.
In realtà, in questo frangente, i rivoltosi verdi meriterebbero molte più percosse e violenze di quelle
che stanno subendo perché consentono la destabilizzazione dello Stato in nome e per conto di
aggressori stranieri.
Tuttavia, non è dell’Iran che oggi voglio parlare per quanto, mutatis mutandis, esistono dei forti
collegamenti tra la cosiddetta rivoluzione verde iraniana e quella viola tentata, con diversa intensità
e prospettive, anche in Italia. Su tutto ciò mi riservo comunque di scrivere più articolatamente nei
prossimi giorni, sperando che nel frattempo la situazione evolva a favore dei militari e dei chierici
fedeli alla indipendenza della Repubblica Islamica e nient’affatto disposti ad entrare nella sfera
egemonica Usa.
Si può dire che il nostro paese ha già avuto la sua soft revolution, con gli inevitabili moti
“spontanei” di piazza del ‘92-‘93, allorquando fu affossata un’intera classe dirigente che aveva la
sola colpa di essere divenuta anacronistica rispetto alla visione globale statunitense e non
abbastanza supina ai diktat di quest’ultima.
Di queste faccende, in maniera splendidamente chiara e diretta, tratta l’ultimo articolo di
Gianfranco La Grassa, disponibile in serata su questo blog.
Frattanto, vorrei segnalarvi l’intervista apparsa sul quotidiano La Stampa a Rino Formica (la riporto
alla fine del mio pezzo), ex ministro socialista e tra gli sfortunati protagonisti di quella stagione
giustizialista (Formica è stato però assolto dalle accuse mossegli nei processi nati con tangentopoli)
che conferma le nostre supposizioni e congetture sui veri sponsor e artefici del repulisti di Mani
Pulite.
Formica non è sempre esplicito nelle sue affermazioni, nondimeno ci sono dei passaggi
dell’intervista che occorre incorniciare, per evitare di ricadere negli stessi errori del passato,
stroncando sul nascere le intenzioni forcaiole dipietriste e quelle di certa sinistra, sempre disponibile
ad attuare un nuovo colpo di mano in Italia seguendo qualsiasi scorciatoia.
Dice Formica: “[quella di Tangentopoli]…non era una rivoluzione perché le rivoluzioni
cambiano l’ordine sociale (anche il più improvvisato lettore delle opere minori di Marx conosce
questa verità). All’inizio degli anni ’90 l’ordine sociale era da restaurare [e secondo voi perché
occorreva una restaurazione? Ma soprattutto chi aveva urgenza di imporre una restaurazione?] e
infatti quella fu soltanto una rivolta di palazzo per restaurare l’ordine”.
Per tali motivazioni non si può parlare di un passaggio dalla prima alla Seconda Repubblica,
passaggio che per definizione avrebbe dovuto comportare almeno due transizioni, una politicosociale
e l’altra istituzionale con la scrittura di nuove regole, anche costituzionali. Ma in quel
sovvertimento imposto dalla magistratura a forza di avvisi di garanzia e di reclusioni, spesso
ingiustificate, si è solo fatta fuori una classe politica non pienamente disponibile a sottomettersi
agli Usa e al loro programma di privatizzazioni scriteriate e di limitazioni alle forze economiche più
vive dell’Italia. Va da sé che quando la politica abdica al suo ruolo di faro nelle scelte
internazionali, finanziarie, economiche il corpo della nazione resta senza corazza divenendo preda
degli appetiti di Stati ben più attrezzati. E, difatti, così continua l’ex Ministro socialista: “La sua [di
Craxi, ma anche di tutto il Psi come partito del potere insieme alla DC] fu una liquidazione
necessaria. Craxi era il punto debole di un ressemblement che sarebbe nato dalla crisi di direzione
politica della DC e di direzione sociale del PCI [il quale stava già contrattando con gli Usa il suo
ruolo di “prestigio” nella nascente forma repubblicana più consona ai piani statunitensi]. Vedemmo
arrivare personaggi dall’America , vedemmo alcuni magistrati che non avevano progetti politici,
ma che furono spalleggiati da forze interne [GF & ID e piccisti] ed esterne [angloamericane].
Ancora, Formica rimarca le ragioni concrete di quella caduta repentina che non possono essere
individuate nelle corruzione e degenerazione partitocratica (fatti incontestabili) in quanto: “Se fosse
vero che la crisi fu determinata da quel problema, negli ultimi 15 anni e ancora oggi il
finanziamento degenerato e l’uso personale di finanziamenti illegali avrebbe dovuto portare alla
distruzione del sistema non una, ma mille volte”.
Infine c’è quel personaggio, un po’ goffo ma non per questo meno “tragicatore”, che ieri come
oggi si muove nella morta gora politica nazionale con grande maestria perché è nella sua natura
sguazzare nel fango, egli è il tipico essere nato nelle acque paludose dei complotti e della melma
giustizialista, fuori dalle quali non potrebbe sopravvivere ma finché vi resta dentro può agire come
una sentinella per la grande bestia pronta a divorarsi l’Italia. Di lui Formica dice: “Ho sempre
pensato che lui [Di Pietro] sia un “utilizzato” e che non sia mai stato un “generatore” degli eventi
di cui è stato protagonista. Ogni tanto emerge. Ora per esempio è attivissimo e si potrebbe
immaginare che questo stia a cuore a chi lo muove in qualunque parte del mondo esso si trovi [non
in qualunque parte…]”.