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La nobiltà del cobra

di Luciano Fuschini - 30/12/2009

    



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Recentemente è circolato su You Tube il video di un cormorano che inghiotte un piccione. Più di tre minuti di una lotta spietata e di un’agonia terrificante. Il piccione che si dibatteva disperatamente nell’ apparato digerente del suo predatore, il quale era scosso dai movimenti convulsi della preda. Il lungo collo e lo stomaco del cormorano erano deformati in modo grottesco, il che faceva sghignazzare i due commentatori, beatamente inconsapevoli di trovarsi di fronte a una scena di una tragicità sconvolgente. C’era più intensità drammatica in quella lotta disperata che in tutta l’opera di Sofocle o di Shakespeare. Se i due stupidotti che ridacchiavano avessero riflettuto, avrebbero compreso che quella scena ci richiamava a una terribile verità che vogliamo rimuovere: se questo mondo è stato creato, è uscito dalle mani del Creatore già profondamente segnato dal dolore, dalla sofferenza, dalla morte. La creazione è marchiata dal Male, nella natura tutto è dolore e pena. Lo aveva compreso già Qohelet, in quella parte della Bibbia in cui è già contenuto tutto il meglio della letteratura universale. Lo ribadirono Leopardi e Schopenhauer, riecheggiando saggezze antiche. La pretesa biblica di spiegare la morte e il dolore nella natura col peccato dell’uomo, che avrebbe contaminato l’intera creazione, è una pietosa favoletta. Milioni di anni prima dell’avvento dell’uomo e del suo peccato, la polvere del mondo era impregnata del sangue delle prede sgozzate e sventrate. Il mondo è uscito dalle mani del suo Creatore già segnato dal Male. Tremenda verità che vogliamo esorcizzare invano. E la condizione umana, scaraventata in questo quadro di dolore, è ancora più tragica, perché aggravata dai tormenti della coscienza e del rimorso, dall’assillo della memoria, dal rimpianto per ciò che fu, dall’ansia per ciò che sarà e dalla consapevolezza di dover morire.
Perché queste considerazioni esistenzial-teologiche in un sito che si occupa di temi culturali strettamente connessi a quelli politici? La risposta ci riconduce alla nostra polemica verso la Modernità. Dopo i lunghi secoli dell’attesa di “nuovi cieli e una nuova terra” promessi da Gesù, la Modernità ha preteso di realizzare la felicità confidando nella ragione e nella scienza. Ha voluto dimenticare la fondamentale e ineliminabile tragicità della condizione umana. Così la Costituzione degli USA proclama il diritto di ogni individuo alla propria felicità, una delle asserzioni più dementi e nefaste della storia del Diritto. Così si è fatta balenare l’idea di un paradiso in terra eliminando la borghesia e instaurando una società di uguali. Così si è ritenuto di marciare verso domani luminosi attraverso la selezione razziale. Così la scienza promette di guarire tutte le malattie, farci prolungare indefinitamente la vita e dotarla di tutti i beni strumentali più appetibili. Un delirio allucinante che ha generato soltanto mostruosità.
Anche chi come noi denuncia le cause profonde dell’orrore che stiamo vivendo, non deve dimenticare la grande ombra che si proietta dalle origini e che ci seguirà fino alla fine. Non illudiamoci su paradisi futuri dopo l’impiccagione dei banchieri e l’eliminazione del Signoraggio. E la Decrescita non sarà felice. Dobbiamo essere ben consapevoli che anche nel nuovo comunitarismo  in cui far rinascere gli antichi valori, quelli dell’assunzione piena e consapevole della responsabilità del proprio ruolo, quelli di una socialità radicata nelle linfe vitali di una storia, quelli di una spiritualità che rinasca dalle risanate condizioni del vivere civile, resta la realtà della tragicità della condizione umana. Questa consapevolezza ci accompagni nell’imminenza di grandi e drammatici sconvolgimenti, perché è il migliore antidoto ai fanatismi.
Queste riflessioni sono nate dalla visione di un pellicano e di un piccione. Sia dunque consentito concluderle, a proposito delle dure prove che attendono l’umanità a una svolta cruciale, con un’altra immagine zoologica. Qualche anno fa si verificò un incidente insolito durante un Gran Premio motociclistico nella Malesia. Un cobra, uscito dalla boscaglia, si avventurò sulla pista. Quando avvertì il rombo delle moto, ancora raggruppate dopo la partenza, il suo istinto non fu quello di fuggire ma si erse nella posizione di attacco. In questo atteggiamento fu fatto a brandelli. Quando il Rombo che incombe si abbatterà su di noi, sapremo essere pari alla nobiltà del cobra?