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Il dilemma turco dell’Europa comunitaria

di Jean Dufourcq - 06/01/2010

  
Il dilemma turco dell’Europa comunitaria

 

Si sviluppa facilmente il  paradosso seguente: gli europei non desiderano l’adesione della Turchia all’Unione europea ma la giudicano inevitabile; i Turchi vogliono l’adesione ma  la ritengono impossibile.

Magia della formula ma approssimazione politica che  maschera una dinamica decisiva, quella di un’Unione Europea che dispone di un considerevole potere d’integrazione per trasformare gli stati candidati. La realtà è infatti semplice, la chiave dell’adesione risiede inizialmente e soprattutto nella capacità dei Turchi di adattare sufficientemente la Turchia alle esigenze dell’acquis comunitario degli altri 27 stati dell’Unione Europea.

Non dipende, come alcuni pensano, dalla capacità degli europei di adattare i criteri d’adesione alla necessità strategica di integrare la Turchia nell’Unione europea.

D’altronde, quale necessità? Se ne vedono gli inconvenienti ma furbo è quello che saprà enumerare i vantaggi, politici, economici e sociali di integrare la Turchia nell’Unione. 75 milioni di Turchi non sono già dei partner a pieno titolo di 500 milioni di europei? Difficile anche pretendere che la Turchia sia il margine ultimo, la porta orientale politica e geografica dell’Europa allorché la sua diplomazia rivela brillantemente tutti i giorni la vera natura geostrategica della Turchia: tappo e perno regionale, centro di gravità e di arbitrato intercontinentale collegato a Mosca, Kiev, Tbilisi, Erevan, Damasco, Gerusalemme…

Allora dove è il vero paradosso dell’adesione turca? Di fatto i negoziati di adesione hanno aperto in  Turchia molti cantieri politici, economici, giuridici e sociali che agiscono  come potenti fattori d’ammodernamento. Ma c’è certamente un limite politico  alla trasformazione della Turchia in uno Stato europeo standard, un limite che  il presidente B. Obama nella sua visione strategica non ha visto volendo  forzare i negoziati, un limite che le parti ed i sindacati turchi hanno ben valutato e che spiega il pessimismo dell’ambiente. C’è certamente anche un limite nell’indefinitezza delle frontiere dell’Europa comunitaria, un limite  che infastidisce meno le potenze marittime come il Regno Unito o gli Stati  Uniti delle potenze continentali come la Francia, la Germania o la Russia, che  hanno familiarità con i rischi delle frontiere terrestri.

Da tutto ciò origina una  tensione che non si allevia attorno all’adesione turca. Il vero paradosso è  che il meccanismo di adesione ha delegato al popolo turco il compito di  definire il formato geopolitico dell’Unione europea.

La costruzione europea che  non ha saputo rafforzarsi sufficientemente prima di allargarsi con la  precipitazione della fine della guerra fredda è oggi messa dinanzi ad un dilemma che non domina, non avendone dominato tempestivamente il processo. O il  popolo turco accetta, bene o male, l’ammodernamento che i suoi dirigenti gli  impongono e questo, tanto più che sotto la pressione anglo-americana i criteri  pertinenti sono stati riadattati. O i dirigenti turchi gettano progressivamente  la spugna e scelgono un’altra via, una via di potenza regionale di equilibrio  tra Asia ed Europa. La storia non è scritta e nessuno può predire verso quale  lato tenderà la Turchia. Ciò che è sicuro, è che dalla scelta turca dipenderà  per molto tempo il profilo dell’Unione europea. Ma qui si manifesta un altro  paradosso che potrà disturbare nelle sue convinzioni più di un europeo,  l’analisi che queste due vie disegnano senza dubbio tipi di Unione europea  ugualmente percorribili, certamente molto diversi, ma analogamente stabili e  prosperi.

Due possibili avatar
Tentiamo di descrivere questi due possibili avatar dell’Unione europea. Dopo una Turchia che avrà saputo integrarsi, verrà  automaticamente un’Ucraina che il negoziato d’adesione consoliderà e salverà  dalla divisione, con essa, la Moldavia che potrà normalizzarsi, e la  Transcaucasia seguirà naturalmente. L’insieme così formato, avendo ritrovato la  sua omogeneità geografica, dovrà, per riunificarsi, strutturarsi in profondità  con la Federazione della Russia e con tutti i vicini slavi realizzando questo  club europeo dall’Atlantico agli Urali al quale faceva riferimento il Generale  de Gaulle. Inoltre la  nuova polarità turca dell’Unione Europea darà una nuova  chance all’integrazione mediterranea e particolarmente a quella dell’Africa del  Nord che potrà beneficiare di un partenariato avanzato con l’Unione europea.  Chi non vede il vantaggio di una tale dinamica d’integrazione flessibile di  circa uno miliardo di abitanti in un pianeta mondializzato di 9 miliardi di  umani?

Una Turchia costretta a fermarsi al limite politico accettabile dello  sforzo di integrazione resterebbe nella corte dell’Unione Europea. Un’Unione  Europea che si stabilizzerebbe quindi su un insieme omogeneo di 500 milioni di  abitanti legati dalla continuità territoriale, storica e culturale, un’Europa  costituita come una famiglia allargata. Un’Unione Europea dalle frontiere  arretrate che dovrebbe costituire partenariati di vicinato strategico con i  mondi slavi ed arabo-musulmani, vicinato che il perno turca permetterebbe di  articolare tra loro. Chi non vede che questa versione permette un’integrazione  più profonda, politica, economica e sociale e crea le condizioni di un solido  polo occidentale europeo?

La storia resta da scrivere ed il dilemma turco dell’Unione europea è solo un incubo di cui parliamo.

Traduzione a cura di Giovanni Petrosillo

Fonte: http://www.diploweb.com/Le-dilemme-turc-de-l-Europe.html 25 dicembr