Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Yemen nuovo fronte, ma della lotta all'Iran

Yemen nuovo fronte, ma della lotta all'Iran

di Christian Elia - 06/01/2010





La rete di al-Qaeda nel Paese è nota da tempo agli Usa, che da tempo si mobilitano militarmente

Dopo le ore di tensione di ieri, riapre oggi a Sanaa, capitale dello Yemen, l'ambasciata Usa. Lo rende noto la stessa sede diplomatica con un comunicato pubblicato sulla home page del sito.

"Operazioni efficaci contro il terrorismo condotte dalle forze di sicurezza del governo dello Yemen il 4 gennaio a nord della capitale hanno colpito una specifica minaccia, contribuendo così alla decisione dell'ambasciata di riprendere la propria attività. Il governo degli Stati Uniti si congratula con il governo dello Yemen per i suoi sforzi tesi a sradicare la rete di Al-Qaeda nella Penisola Arabica (Aqap) e ribadisce il proprio impegno a continuare a sostenere questi sforzi da parte dello Yemen - recita la nota della sede diplomatica Usa in Yemen - Tuttavia, la minaccia di attacchi terroristici contro gli interessi statunitensi resta elevata e l'ambasciata continua a mettere in guardia i cittadini americani nello Yemen a essere vigili e a prendere misure prudenti per la loro sicurezza". Poco dopo anche le ambasciate di Gran Bretagna e Francia riaprono i battenti e, nelle prossime ore, dovrebbero fare lo stesso quelle di Germania, Repubblica Ceca, Spagna e Giappone.
L'operazione alla quale fa riferimento l'ambasciata Usa è quella condotta ieri dai corpi speciali yemeniti, nella quale due presunti militanti di al-Qaeda sono stati uccisi in uno scontro a fuoco nella zona di Arhab, a nord di Sanaa. Secondo fonti tribali, le forze di sicurezza erano sulle tracce di un certo Mohammad al-Hang, che è riuscito a fuggire. Il gruppo, secondo le informazioni d'intelligence di Sanaa, si era impadronito di un carico di esplosivo da utilizzare in un attentato contro obiettivi occidentali.

La situazione in Yemen, però, non è meno tesa e complessa di quanto fosse ieri. Il presidente yemenita Ali Abdallah Saleh, sempre più sotto pressione, ieri ha visitato alcune reclute nelle caserme dell'esercito nella capitale, rinnovando l'immagine di uomo forte e deciso che ha sempre amato dare di sé.
"Siamo pronti a rispondere a tutti coloro che pensano di danneggiare la sicurezza, la stabilità e l'unità della patria", ha tuonato Saleh. "L'esercito e la sicurezza sono riusciti nel corso degli anni a spezzare ogni forma di complotto da parte dei latori dell'imamismo e della secessione, ma anche dei terroristi di al-Qaeda che indossano le cinture esplosive". Saleh è il comandante supremo delle forze armate e ha voluto ricordare come quello dello Yemen sia "un esercito dotato di tutte le armi e le apparecchiature militari più moderne e sviluppate e questo gli permette di svolgere il suo compito in modo efficiente e capace e di far fronte a tutte le sfide. In queste parole, Saleh ha sintetizzato la situazione esplosiva del Paese che guida dal 1990, dopo la riunificazione tra Yemen del Nord (che guidava già dal 1978) e Yemen del Sud. I fronti interni sono tre: la ribellione della setta sciita (da lui definiti imamiti) degli zaiditi fedeli alle predicazioni dell'imam al-Houti nel nord, le tendenze secessioniste del sud del Paese e la presenza di al-Qaeda nella regione, per la precisione il gruppo Aqap, nato nel gennaio dello scorso anno dalla fusione del ramo saudita e di quello yemenita dell'organizzazione che si richiama ad Osama bin Laden.

Tutti elementi noti, da anni, a tutti coloro che si interessano di politica internazionale e che, invece, la stampa generalista ha scoperto solo all'indomani del fallito attentato del 24 dicembre scorso sul volo Amsterdam - Detroit da parte di un giovane nigeriano addestrato in Yemen.
L'amministrazione Usa ha puntato, il 2 gennaio scorso il dito contro al-Qaeda nella Penisola Arabica, in base alle prime dichiarazioni dell'attentatore, Umar Farouk Abdulmutallab. Il presidente statunitense Barack Obama, parlando attraverso il sito della Casa Bianca ha dichiarato:
"Sappiamo che ha viaggiato nello Yemen, ha raggiunto un affiliato di al-Qaeda, e questo gruppo di al-Qaeda nella penisola araba lo ha addestrato, equipaggiato con esplosivi e diretto verso l'attacco dell'aereo diretto in America. Non è la prima volta che al-Qaeda nella penisola arabica ha preso di mira obiettivi americani, ha affermato il presidente, spiegando di aver posto fra le sue priorità il rafforzamento della nostra partnership con il governo yemenita, addestrando ed equipaggiando le sue forze di sicurezza, condividendo le informazioni d'intelligence e lavorando assieme per colpire i terroristi di al-Qaeda. Anche prima di Natale ne abbiamo visto i risultati: i campi di addestramento sono stati colpiti, leader sono stati eliminati, complotti sono stati sventati. Tutte le persone coinvolte nel tentato atto di terrorismo di Natale devono sapere che ne dovranno rispondere". Una strategia che verrà messa a punto, con ogni probabilità, dal vertice convocato da Obama oggi a Washington con tutte le agenzie della sicurezza Usa". Una delle voci che Obama ascolterà è quella di John Brennan, consigliere antiterrorismo della Casa Bianca. Brennan, intervistato dalla Abc, rispondendo ad una domanda sulla futura forza di polizia antiterrorismo che Usa e Gb contribuiranno a formare, in Yemen, ha dichiarato che non si può parlare di un nuovo fronte visto che azioni sono già state realizzate in passato. "Soltanto il mese scorso noi e i yemeniti siamo stati in grado di identificare l'ubicazione di alcuni di questi responsabili e comandanti di Al Qaida", ha ricordato Brennan aggiungendo che "sono state realizzate con successo diverse operazioni, e diversi membri di al Qaeda, tra cui leader primo piano ed elementi operativi, sono morti".

Quello che né Obama né Brennan hanno detto, però, è che l'utilizzo di droni (aerei senza pilota) per colpire obiettivi strategici in Yemen è parte di una strategia di supporto militare che è iniziata a ottobre 2000, quando il cacciatorpediniere USS Cole della marina militare statunitense fu attaccato da un commando suicida, causando la morte di 17 marinai e il ferimento di altre 39 persone. Da quel momento, il governo di Saleh riceve fondi e ospita esperti Usa incaricati di formare l'esercito e l'intelligence di Sanaa. Il motivo è uno solo: lo Yemen, come l'Arabia Saudita, è un santuario dove hanno trovato rifugio molti dei mujahiddin addestrati e finanziati dagli Usa e che avevano combattuto in Afghanistan contro i sovietici negli anni Ottanta. Il Washington Post, nell'edizione del 3 gennaio scorso, ha pubblicato un'inchiesta che ricostruisce l'impegno Usa in Yemen nell'ultimo decennio e il bilancio è disarmante. L'anno scorso il Pentagono ha stanziato 67 milioni di dollari per lo Yemen, quest'anno sono arrivati a 90. L'impegno è giustificato dalla posizione strategica dello Yemen, punto di raccordo tra l'Arabia Saudita e la Somalia, altro santuario di milizie fuori controllo. Ieri il ministro della Difesa di Mogadiscio, Youssef Mohammed Adde, ha dichiarato che i ribelli somali ricevono armi dallo Yemen.

Le tensioni separatiste del sud e la presenza di al-Qaeda in Yemen non sono una novità, anzi sono note da anni a Washington. Possibile che solo il fallito attentato di Natale abbia riportato al centro dell'agenda Usa la questione? Difficile crederlo, almeno se si ritiene di non dover cavalcare l'onda dei media mainstream. L'aspetto più importante della vicenda, che vede coinvolti gli Usa e l'Arabia Saudita in prima linea, è a ribellione sciita nel nord del Paese. E' molto più facile usare il logo di al-Qaeda per spiegare a congressisti, contribuenti e giornalisti che bisogna intensificare la presenza statunitense nella regione che spiegare come il vero obiettivo sia invece l'Iran. Il governo yemenita e, meno direttamente, quello saudita, accusano proprio Teheran di essere dietro la rivolta degli sciiti in Yemen e in altri stati della Penisola Arabica. Gli attacchi che Brennan dice essere stati indirizzati contro obiettivi strategici, come quello del 17 dicembre scorso, sono invece avvenuti in zone tribali dove si combatte da anni tra i ribelli sciiti e il governo di Sanaa. Alcuni capi tribali della zona, dove gli Usa sostenevano di aver colpito 23 miliziani di al-Qaeda, hanno invece denunciato il massacro di un villaggio di civili, così come è accaduto in due occasioni per l'aviazione saudita. La possibilità di rendere accettabile all'opinione pubblica il dislocamento di nuove unità militari o d'intelligence Usa nella regione è più facile se si parla di al-Qaeda. Ma l'obiettivo, sempre più, è accerchiare l'Iran. Come dimostrato, il 2 gennaio scorso, la visita del generale Petraeus, comandante delle forze americane in Iraq e Afghanistan. Perché non è arrivato lo stesso Brennan, visto che di antiterrorismo si tratta? Per certi versi, anche la crisi finanziaria di Dubai hanno letto uno strumento di pressione su Teheran. Sono anni che in tutti gli ambienti finanziari del mondo si conosce il finanziamento in debito dell'emirato, ma le banche occidentali si sono mostrate all'improvviso più intransigenti con Dubai. Gli Emirati Arabi Uniti, in questo momento storico, assieme e India, Russia e Cina, sono la linfa vitale economica dell'Iran, stretto nella morsa dell'embargo. Ma di questo non c'è traccia nei discorsi di Obama e di Brennan come nella stampa internazionale.