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Il mito di Federico II tra storia e leggenda

di Agostino Paravicini Bagliani - 06/01/2010




I suoi nemici lo dipinsero come l´Anticristo, essere demoniaco e maledetto. I sostenitori crearono un´immagine perfetta: principe onnipotente e amico della pace

Con soltanto la cultura politica contemporanea, anche il Medioevo conobbe i toni sferzanti della polemica, in particolare quando erano in gioco le grandi sovranità, il papato e l´impero. «E vidi salir dal mare una bestia che aveva sulle teste nomi di bestemmia»: iniziava così con le parole dell´Apocalisse un testo scritto da un cardinale, Raniero da Viterbo, destinato a demonizzare l´imperatore svevo Federico II (1194-1250). Il quale fu sovente dipinto come l´Anticristo, un essere fra il soprannaturale e il demoniaco e al quale si attribuivano gli epiteti biblici più terribili, quali "dragone", "scorpione" o "martello del mondo". Lo si accusò di avere affermato che Cristo, Mosé e Maometto erano tre impostori che avevano ingannato il mondo. Più di trent´anni dopo la sua morte, il francescano Salimbene non esiterà a demonizzare la memoria di «un uomo pestifero e maledetto, scismatico, eretico ed epicureo, corruttore di tutta la terra, giacché seminò il seme della divisione e della discordia nelle città d´Italia». Persino la sua nascita, a Iesi, fu motivo di sospetti, per il fatto che sua madre, Costanza d´Altavilla (figlia di Ruggero II di Sicilia) «era molto anziana quando l´imperatore Enrico VI la sposò» e per questo motivo «si sparse la voce che, dopo aver simulato la gravidanza, se lo pose sotto le vesti per farlo credere partorito da lei».
Nessun altro imperatore medievale fu scomunicato due volte (1227, 1239) e deposto da un concilio presieduto da papa Innocenzo IV (Lione, 1245). Come spiega Wolfgang Stürner, autore di un´ampia e chiara biografia di Federico II ora disponibile in traduzione italiana (Federico II e l´apogeo dell´Impero, presentazione di Ortensio Zecchino, Salerno Editrice, euro 84), le ragioni di tale accanimento erano anzitutto di ordine politico: Federico II si era reso colpevole di avere riunito nella sua persona la dignità di imperatore e quella di re di Sicilia, accerchiando così lo Stato della Chiesa a nord con le terre dell´Impero e a sud con il Regno. Ma la Chiesa gli rinfacciava ben altre colpe. Invece di combattere la crociata in Terra Santa, egli «fece pace con i Saraceni senza alcun vantaggio per i Cristiani. E per di più fece invocare il nome di Maometto pubblicamente nel tempio dei Signore» (Salimbene). Di qui anche l´accusa secondo cui l´imperatore aveva un harem. Accuse che, sempre secondo Salimbene, lo resero «inasprito d´animo, come un´orsa inferocita nel bosco perché le hanno rapito i cuccioli».
A questa visione demoniaca dell´imperatore, i suoi sostenitori riuscirono a contrapporre un´immagine quanto mai positiva, facendo ad esempio nascere alla sua morte la leggenda di un Federico che "vive e non vive", riprendendo il detto della Sibilla. Morto solo in apparenza, continuava a vivere di nascosto, forse nell´Etna, per tornare un giorno a mostrarsi. Anche in vita Federico II era stato avvicinato a Cristo. Per Pier delle Vigne, egli era «il principe onnipotente descritto da Ezechiele e Geremia, il signore del mondo, amico della pace, fondatore del diritto, quintessenza del bene e di tutte le virtù, dominatore degli elementi».
All´immagine storica di Federico II quale sovrano ideale contribuì molto la sua curiosità intellettuale. Ed è vero che ai misteri della natura Federico II rivolse un´attenzione senza pari, intrattenendo contatti con il più grande matematico dell´epoca, Leonardo Fibonacci da Pisa, e ponendo domande insolite al filosofo arabo Ibn Sab´in o al suo astrologo di corte Michele Scoto: se si poteva localizzare la residenza di Dio, il paradiso, il purgatorio e l´inferno; come comprendere l´origine delle acque dolci e di quelle salate, i vulcani e così via. Non aveva limiti il suo amore per la caccia con i falconi - una delle tante debolezze che gli verranno rinfacciate dal papato - che lo indusse a far tradurre dal suo filosofo di corte, Teodoro, un trattato arabo di falconeria, il Moamin, che rielaborò nel suo libro di falconeria rimasto celebre. La natura cosmopolita della Palermo della sua gioventù lo aveva avvicinato ai poeti della celebre scuola siciliana e gli aveva permesso di circondarsi anche di intellettuali ebrei (Giacobbe Anatoli). Verso gli ebrei manifestò una certa apertura mentale quando (1236) chiese delle prove - una domanda veramente insolita per l´epoca - a coloro che avevano accusato gli ebrei di Fulda di avere ucciso dei ragazzi cristiani.