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Pietà, il dibattito teologico su Verdone risparmiatecelo

di Stenio Solinas - 10/01/2010

 

L’idea che il nuovo film di Carlo Verdone, Io, loro e Lara, possa turbare le coscienze religiose dei credenti, oppure rafforzarle, fa un po’ sorridere e un po’ fa riflettere sullo strano Paese che è diventato l'Italia, dove ormai si prende sul serio solo il «cazzeggio» e si mandano in vacca le cose serie. Verdone è un bravissimo attore comico, un bravo regista, un distinto signore di mezz’età che da alcuni anni si ingegna a fare film diversi da quelli che nei decenni passati lo lanciarono e ne fecero una maschera della risata. Nella fattispecie, in Io, loro e Lara veste i panni di don Carlo, un prete missionario in crisi che torna in Italia per cercare di capire e di capirsi. Trova il padre, generale in pensione e vedovo, che si è risposato con la sua badante moldava e inalbera una parrucchino color carota, la sorella psicologa che è divorziata, non ascolta nessuno e ha una figlia «sciroccata» di cui nemmeno si rende conto, il fratello minore agente di borsa, erotomane e cocainomane, tutti che pensano solo ai soldi... La civiltà, insomma, gli sembra peggio dell’Africa nera da cui è fuggito proprio perché non era «civile» e i missionari, invece di stare al passo con i tempi (il preservativo al posto della castità, per dirne solo una) continuavano nel loro apostolato intemporale...
Da queste premesse, il film potrebbe svilupparsi come una sorta di commedia nera all’italiana e forse un Risi o un Monicelli l’avrebbero «virata» e girata così. Verdone però è un’altra cosa: è ironico ma non è cinico, è di buoni sentimenti e non è pessimista, è a suo modo un uomo d’ordine e non un distruttore di valori. Così, Io, loro e Lara si risolve in un volemose bene. La civiltà, leggi l’Occidente consumista ed egoista, non è poi così carogna: la figlia della badante moldava, intanto passata a miglior vita, verrà accolta in famiglia, il suo bambino diverrà il nipotino intorno a cui riunirsi a Natale, don Carlo se ne tornerà in Africa con la sua fede non così incerta dall’averlo fatto desistere e con tre prostitute di colore strappate dalle strade capitoline...
Definire tutto ciò «nichilista», come Vittorio Messori ha scritto sul Corriere della sera, ovvero «rassegnato», senza «l’afflato di Speranza che deve animare il credente», sembra eccessivo e, cinematograficamente parlando, la via che egli stesso sembra suggerire sarebbe stata ancora più catastrofica. Seguendone il ragionamento, il fratello cocainomane avrebbe dovuto disintossicarsi, il vecchio generale non correre più la cavallina, la sorella magari farsi suora e don Carlo martire... Se «il credente non può che allarmarsi per una conclusione di impotenza e di fallimento» gli si dia insomma un finale edificante. Sarà... Probabilmente, il fastidio di Messori nasce anche dal fatto che la Cei ha espresso invece un giudizio positivo sul film: «Ci hai fatto una carezza» hanno fatto sapere da quella sede al regista e insomma dove uno vede il nichilismo altri vedono la speranza...
Semplici spettatori, noi vediamo un film riuscito a metà, comunque gradevole, ben recitato. Usciti dal quale l’idea che don Carlo sia la Chiesa non ci passa nemmeno per la testa, né che le badanti moldave siano, di per sé stesse, migliori delle defunte mogli legittime, né che le famiglie siano nidi di vipere nel primo tempo, pascoli per agnelli nel secondo. Non ci riuniremo insomma intorno a un tavolo per parlarne.
No, il dibattito teologico su Io, loro e Lara, no. Abbiate pietà.