Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Un Verdone nichilista? Ma va là...

Un Verdone nichilista? Ma va là...

di Paolo D'Andrea - 10/01/2010


 

Volano parole grosse, sul nuovo film di Carlo Verdone. Il talentuoso autore di veri e propri cult movie come Un sacco bello e Compagni di scuola pensava probabilmente di aver scodellato un altro lavoro dignitoso, una valida alternativa semiseria allo squallore dei cinepanettoni, sintonizzata su quel tono commediale che, vuoi o non vuoi, con tutte le eccezioni del mondo, è quello più vicino ai chiaroscuri delle vite di tutti noi. Il protagonista del film Io, loro e Lara è un missionario in crisi, che torna in Italia per prendersi una pausa di riflessione e cercare conforto nel proprio ambiente familiare, e invece viene travolto dalle angosce, dalle fisime e dai problemi reali o artificiali dei suoi: l'anziano padre soggiogato dalla badante moldava, la sorella nevrotica, il fratello cocainomane. Equilibri familiari precari, e sullo sfondo una società assediata da nuove pulsioni barbariche, che accentuano il vertiginoso spaesamento del protagonista, che alla fine, per non soccombere, se ne scappa di nuovo in Africa.
Il buon Verdone forse aveva temuto che la storia scelta avrebbe rischiato di irritare qualche coscienza ipersensibile: per questo l'aveva trattata con delicatezza, senza ammiccamenti macchiettistici e sottraendosi a facili moralismi sulle incoerenze e sulle debolezze del clero. Probabilmente, era stato rassicurato dai moderati apprezzamenti raccolti da una serie di monsignori e prelati che avevano potuto vedere il film in una strategica visione privata riservata in anteprima alla Conferenza episcopale italiana (la Cei).
Ma ieri, a non fargliela passar liscia, è sceso in campo sul Corriere nientemeno che Vittorio Messori. L'intervistatore ufficiale di Papi ha indossato i panni del fustigatore cinematografico per conto della corretta dottrina cattolica, e ha emesso il suo verdetto: il film verdoniano è «troppo nichilista per essere cattolico» (così il titolo del il Corriere della Sera). Il realismo con cui racconta vizi, debolezze e disturbi mentali dell'Italia di oggi «slitta verso lo scetticismo, se non verso il nichilismo». Il nichilismo tra il rassegnato e i divertito «di chi è ormai convinto che nulla cambierà mai, che ogni attesa di un mondo più umano è cosa da riderci sopra». En passant, Messori non rinuncia a infilzare il cattolicesimo "buonista" e socialmente impegnato con cui lo scrittore non ha ancora finito di regolare i suoi conti, e che vede ben rappresentato in certi tic del prete "fuggitivo".
Ora, Carlo Verdone non ha certo bisogno di nessuna difesa d'ufficio. Sveglio com'è, sotto sotto, sarà pure contento di questa critica che alza il livello del dibattito dottrinale intorno al suo nuovo film - la qual cosa potrebbe non nuocere agli incassi - e lo affianca a altri big del cinema italiano come Moretti e Benigni, che prima di lui hanno visto le proprie opero sottoposte alla misurazione del tasso delle virtù teologali (ricordate La vita è bella e La messa è finita?). Quello che francamente allappa il palato, è l'impressione di supponenza autocompiaciuta che trasmettono certi interventi di certi maestrini del "vero" cristianesimo. Quelli che la sanno lunga, gli esperti del settore, che sanno come muoversi tra un Porta a Porta e uno speciale su Padre Pio, sempre pronti a dar patenti di vera ortodossia, a dividere i cristiani tra quelli "timidi" e quelli "con gli attributi".
Certo, che il film di Verdone non è un film "cattolico". Ma le debolezze, i fallimenti e le perduranti domande di felicità che racconta sono quelle che tutti noi viviamo e incontriamo tutti i giorni, nel nostro mondo spappolato. La speranza cristiana fiorisce nel mondo solo se e quando abbraccia e commuove cuori fragili e affaticati come quelli descritti da Verdone. Altrimenti, dire che al film del comico romano «manca l'afflato di speranza che deve animare il credente» (così scrive Messori in chiusura del suo articolo) rischia solo di far aumentare il senso di estraneità e di far crescere il deserto vuoto in cui cadono tanti pronunciamenti di tanti autoeletti "portavoce" della cristianità. «Pallaaaa!», urlerebbe Moretti.
In fondo, per dirla proprio tutta, il nichilismo può essere anche la legittima reazione davanti a verità proclamate in astratto che si verificano come fallaci, nell'impatto col reale. E la speranza cristiana - ce lo insegnano le vite dei santi - non è mai un possesso acquisito, una specie di optional spirituale fornito in dotazione ai cristiani per statuto: essa fiorisce nei giorni ogni volta come un germoglio nuovo, come un dono sorprendente della grazia, che può toccare i cuori di chi vuole. Anche degli scettici, dei nichilisti, di quelli che adesso sono senza speranza.