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TAV in Val di Susa si torna al 2005

di Marco Cedolin - 11/01/2010


Poco più di 4 anni fa, l’8 dicembre 2005, decine di migliaia di valsusini ai quali si erano uniti altre migliaia di cittadini provenienti da tutta Italia, invasero pacificamente il cantiere di Venaus, mettendo di fatto fine allo scellerato progetto del TAV Torino - Lione, nonché a 40 giorni di militarizzazione dell’intera Val di Susa, ridotta alla stessa stregua di un paese occupato, con tanto di check point presidiati da guardie armate, da oltrepassare per andare a comprare il pane o in farmacia.

Durante questi 4 anni d’inciucio politico, meschine manovre portate avanti sottobanco, cancelli rigorosamente chiusi e rifiuto di qualsiasi forma di dialogo con i cittadini, il TAV reale e quello virtuale hanno compiuto entrambi la propria strada.

Il primo è defunto di fronte all’evidenza dei numeri e dell’osservazione oggettiva che lo hanno connotato come un’opera assolutamente inutile, inadeguata a rispondere alle esigenze dei viaggiatori e del territorio, priva di qualsiasi possibilità di conseguire un ritorno economico dell’enorme investimento. Fra Torino e Lione non esistono volumi apprezzabili di traffico passeggeri, i treni tradizionali che garantivano il collegamento diretto sono stati da tempo soppressi e perfino le poche corse dell’alta velocità francese Milano – Parigi che transitano dal capoluogo piemontese e dalla Valle di Susa continuano a ridursi e presto ne resterà una sola al giorno. Alla stessa stregua non esistono volumi di traffico merci (ammesso e non concesso che arrivi un giorno in cui le merci transiteranno insieme ai Frecciarossa sulle rotaie del TAV italiano) tali da giustificare un’opera di questo genere. E meno ancora esisteranno in propensione futura, dal momento che dal 2001 in poi il traffico merci sulla direttrice della Val di Susa è in costante e sensibile calo, non solo per quanto concerne la ferrovia, ma anche per quanto riguarda i mezzi pesanti in transito al valico del Frejus. Insomma se anche si volesse far finta di essere individui ottusi e dalla vista obnubilata, disposti a credere alla “favola” della ripresa economica si dovrebbe prendere atto del fatto che l’attuale ferrovia internazionale a doppio binario, oggi sfruttata intorno al 30% delle proprie potenzialità, sarebbe sufficiente per almeno un intero secolo di “prosperità” e florido aumento degli scambi commerciali.

Il secondo ha continuato a sopravvivere, animato di fittizia vita da una folta schiera di faccendieri politici rigorosamente bipartisan, speculatori finanziari, industriali abituati a costruire profitto tramite i sussidi statali e furfanti di ogni risma e colore che aspirano a ritagliarsi il proprio angolo di paradiso, suggendo come sempre il denaro dalle tasche del contribuente. E’ sopravvissuto allignando nel buio dei palazzi del potere, all’ombra di qualunque sguardo indiscreto.
Nelle infinite riunioni di un osservatorio fantasma, destituito di ogni fondamento ma deputato a veicolare in Europa la truffa del TAV condiviso dalla popolazione (quale e quando?) al fine di suggere anche lì danari in maniera fraudolenta. Nei proclami dei governi (Prodi e Berlusconi) avallati dal meschino lavoro di politicanti e tecnici compiacenti che hanno sfornato negli anni ipotesi di progetti e tracciati per i quali sarebbero stati presi a calci nel deretano dai propri professori di università quando la frequentavano. Nel lavorio meschino dei pennivendoli della “grande stampa” abituati a leccare la mano del padrone, anche quando questo significa produrre disinformazione di scarsa qualità, sempre ammesso che concetti come dignità e qualità alberghino ancora nell’animo di codesti scribacchini dai lauti stipendi e dalla bassissima professionalità.

Il TAV virtuale, quello immarcescibile poiché caratterizzato da profitti illeciti e denaro delle casse statali dispensato a pioggia, si appresta proprio in questi giorni a sbarcare nuovamente in Val di Susa, sotto forma di decine di sondaggi geognostici ufficialmente deputati alla stesura del nuovo tracciato, ma in realtà indispensabili alla consorteria del TAV solamente per “dimostrare” l’inizio dell’opera e garantirsi in questo modo i 671 milioni di euro del finanziamento europeo estorto attraverso l’uso della menzogna.

La campagna dei sondaggi dovrebbe iniziare domani, ma già ieri è arrivata ferma e decisa la risposta dei cittadini valsusini contrari all’opera, decisi ad opporsi pacificamente ma fisicamente all’inizio dei sondaggi. Proprio ieri infatti, nella zona dell’autoporto di Susa dove sono previsti due dei molti sondaggi, è stato “edificato” un nuovo presidio con lo scopo d’impedire quello che di fatto sarebbe l’inizio della costruzione del TAV Torino - Lione. I valsusini che si oppongono all’opera e in questi giorni sono stati dipinti dai mercenari della penna (vero Numa?) come antagonisti e professionisti della protesta, sono in realtà persone normali (padri di famiglia, studenti, donne, pensionati, ragazzini di ogni ceto e colore politico) che anziché protestare preferirebbero di gran lunga starsene al calduccio in casa propria. Se non fosse che loro, a differenza di chi non lo ha fatto anche se il suo mestiere lo avrebbe imposto, hanno studiato nel dettaglio il TAV reale, rendendosi conto che oltre ai problemi per la salute (amianto ed uranio) ed a quelli conseguenti alla devastazione di una valle alpina già infrastrutturizzata oltre ogni limite, si tratta di un’opera priva di alcun senso, sia dal punto di vista economico che da quello logistico. Hanno studiato, a differenza di chi, come Massimo Numa non è ancora uscito dall’asilo, e hanno deciso di opporsi fisicamente al TAV virtuale che vuole rubare loro il futuro. Anche se opporsi significherà probabilmente venire bastonati dalla polizia come accadde a Venaus nel 2005, venire insultati dallo scribacchino di turno, passare le notti al gelo senza altro calore che non sia quello umano. Ma opporsi fisicamente è non solo un diritto, bensì prima di tutto un dovere per chiunque abbia compreso la vera natura del TAV.

Nel 2005 scrissi “forse inizierà una storia diversa che parlerà di treni costruiti per essere utili alla qualità di vita dell’uomo e non di uomini sacrificati nel nome dei treni e della velocità”.
Purtroppo la storia non è cambiata e da domani probabilmente in una Val di Susa militarizzata il passato si ripeterà, come un incubo che ritorna e va scacciato una seconda volta, sperando che finalmente sia l’ultima.