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Milioni ai governi e Alqaeda dilaga

di Loretta Napoleoni - 12/01/2010

Fonte: caffe

  
 
Il fallito attentato di Natale, quando un giovane terrorista nigeriano ha tentato di far saltare in aria un aereo sui cieli di Detroit, ha riportato alla ribalta il terrorismo e, naturalmente, la sicurezza negli aeroporti. Chi torna dalle vacanze ne sa qualcosa. A breve per salire su un aviogetto saremo costretti ad entrare in cubicoli speciali dove radiazioni dannose al corpo - che molti studiosi sostengono essere addirittura cancerogene - oltrepasseranno la nostra biancheria intima.

I costi di queste macchine sono naturalmente altissimi, la procedura di uso lenta e le file che produrranno saranno sicuramente interminabili. Viaggiare si complica sempre di più. Ma se fosse vero che sottometerci a questi irritanti controlli aggiuntivi rende il nostro mondo più sicuro, allora varrebbe la pena farlo. Peccato che non sia così. L’esperienza degli ultimi nove anni ci dice che la lotta contro il terrorismo non si vince negli aeroporti, né potenziando i sistemi di sicurezza nazionali- che poi scopriamo non si parlano neppure tra di loro - né tantomeno combattendo ad altranza una guerra ambigua nei paesi mussulmani. Contro questo nemico scaltro ed elusivo ci vogliono armi ben diverse.

Due paesi il Pakistan e lo Yemen, diventati un vespaio di guerrieri jihadisti, ce lo ricordano. Dall’11 settembre in poi gli americani hanno elargito a tutti e due grosse somme per far fronte all’avanzata di al Qaeda. In Pachistan si parla di decine e decine di miliardi di dollari e nello Yemen di centinaia di milioni. Soltanto negli ultimi 12 mesi il governo yemenita ha ricevuto dall’amministrazione Obama 72 milioni di dollari. I risultati di questa politica li conosciamo tutti. Nel 2009 il numero degli attentati terroristici in Pachistan ha superato quello complessivo dei precedenti 7 anni. Nello Yemen, poi, da anni Washington collabora con l’antiterrorismo locale, eppure negli ultimi 12 mesi il movimento jihadista ha portato a termine con successo diversi attacchi e rapimenti.

Chi finanzia questa formula perdente siamo naturalmente tutti noi, non soltanto i contribuenti dei paesi che fanno parte delle forze di coalizione ma anche quelli delle nazioni che non ne sono coinvolte. Sui primi e sui secondi ricadono le conseguenze economiche negative di questa follia: instabilità del dollaro, perdita di competitività dei prodotti occidentali rispetto a quelli asiatici, crisi energetiche, senza parlare di quella del credito e della recessione.

Fonti pachistane e yemenite, che naturalmente vogliono rimanere anonime, sostengono che l’unico modo di annientare il terrorismo del fondamentalismo islamico è conquistare la fiducia della popolazione mussulmana. Ed appoggiare governi corrotti che fanno gli interessi dell’elite al potere, come avviene in Pachistan, sembra essere la strategia perdente. Non solo gran parte degli aiuti finisce nelle tasche personali di chi amministra la macchina politica, e quindi non potenzia lo sfrozo militare contro i jihadisti, ma conferma agli occhi della popolazione locale l’allenza tra l’occidente e chi così male li governa.

Un cambiamento radicale di politica estera da parte dei paesi occidentali potrebbe garantire sia la sicurezza entro i nostri confini che la ripresa economica, peccato che nessuno abbia intenzione di riflettere su questa semplice relazione.