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Bolivia, inondazioni umanitarie e l'industrializzazione della coca

di Miguel Martinez - 17/01/2010

Tra i vari e notevoli commentatori di questo blog, c'è Pedro Navaja: più che commenti, i suoi sono veri e propri saggi; i primi risalgono a quando scrissi della morte di quello straordinario uomo di confine che era Eduardo Rózsa Flores.

Pedro Navaja scrive dalla Bolivia, di cui ci presenta un quadro decisamente insolito. Non so se sono d'accordo con il suo giudizio fortemente critico sul governo di Evo Morales, ma Pedro Navaja è eccezionalmente abile nel presentare le cose sotto una nuova luce, lontana dai luoghi comuni che imperversano a Destra come a Sinistra.

Abbiamo già pubblicato diversi mesi fa una sua
critica al governo di Morales.

Oggi, invece, un nuovo intervento sul tema delle Organizzazioni Non Governative e più ampiamente dell'interventismo umanitario.

Ecco cosa scrive Pedro Navaja:

Non si tratta solo di ONG, o di missioni umanitarie o di donazioni di privati. I fondi maggiori per le missioni umanitarie, o di cooperazione (escludendo naturalmente il militare o affine) vengono direttamente dai governi. Il principale donante mondiale è la UE, Unione Europea. Che poi questa si muova anche sulla base delle pressioni calibrate dalla stampa sull'opinione pubblica è quasi sempre vero. Ma non avviene solo così.

Eccoti due casi, come sempre, della Bolivia, il paese che riceve più fondi di donazione e cooperazione del continente americano.

1 ) tutti gli anni le savane d'inondazione del Beni, una regione tropicale orientale della Bolivia, 200mila kmq, appunto si inondano; sempre, dalla cosiddetta notte dei tempi (per essere precisi da almeno 10 mila anni, ultima glaciazione, quindi praticamente dall'epoca della presenza umana nell'area).

E' la savana d'inondazione più estesa del mondo (più estesa del noto Pantanal). Sede della cultura umana organizzata più antica di quel paese che oggi si chiama Bolivia, da migliaia di anni l'uomo conviveva con l'annuale inondazione sfruttando sia le risorse terrestri come quelle acquatiche. La cultura preispanica nota come “cultura de las lomas” (delle colline), costruiva appunto colline artificiali per gli insediamenti umani, quindi ubicati sopra il limite massimo dell'inondazione annuale, tumuli per le coltivazioni agricole, canali, lunghissime dighe o terrapieni per creare lagune o reti di comunicazione. Moltissime e di queste costruzioni, così come dei manufatti di ceramica, sono ancora visibili nella regione. Per farla breve quindi una regione che da sempre convive con l'inondazione periodica visto che in questa enorme depressione (meno di 200 mt slm a migliaia di km dall'oceano), coperta da uno spesso strato di argilla, confluiscono i fiumi di un bacino idrografico di quasi un milione di kmq.

Anche le attuali popolazioni locali hanno imparato a convivere con questo fenomeno, che ogni anno, va detto, si ripresenta in varia forma (più o meno esteso, in un'area piuttosto che un'altra ecc). Nel 2006-2007, in coincidenza con il grande richiamo mediatico dell'elezione di Evo Morales, per l'epoca dell'inondazione arrivarono le telecamere di CNN (e da li quindi la notizia in tutto il mondo, Italia compresa, con le foto delle vacche rifugiate appunto sulle antiche colline artificiali). Da allora nel Beni si sono istallate varie ONG internazionali (finanziate principalmente dalla UE), agenzie dell'ONU, sono apparse le jeep con le antenne satellitari, e tanti altri donanti che si contendono le popolazioni locali. Sia chiaro: principalmente gli abitanti delle aree urbane ricevono alcuni benefici da queste donazioni ma anche lo spirito e la prassi dell'assistenzialismo che potrebbe far dimenticare l'antica cultura di convivenza con l'inondazione.

Molte ONG e organizzazioni internazionali agiscono quindi anche come grandi elementi della “globalizzazione” culturale, della standarizzazione e appiattimento delle storie locali, oltre ad apparire come grandi uccelli del malaugurio che, anticipando scenari d'inondazione sempre più catastrofici, facilitate anche dal richiamo mediatico del cambio climatico, chiedono di poter accedere a finanziamenti per mantenere strutture e funzionari in forma stabile nell'area.

 

2 ) in questo secondo esempio non c'è bisogno dell'intervento della stampa.

La Bolivia è il terzo produttore mondiale di coca. Dall'arrivo di Morales si è tornati a nuovi interessanti livelli di produzione (da più o meno 12 mila ettari del 2005 a quasi 35mila del 2009). Il ritornello del governo è sempre lo stesso: la coca è pianta ancestrale, storica, sacra, ecc ecc. Ma non è mistero per nessuno, tanto che lo stesso ministro del settore lo ha ammesso in varie occasioni, che almeno il 90% della produzione si trasforma in cocaina (ecco una delle ragioni per cui la Bolivia non è stata colpita dalla crisi mondiale ed ha avuto la maggiore crescita economica del continente nel 2009).

Ebbene: il governo chiede fondi per industrializzare la coca al di fuori del circuito del narcotraffico. Da chi ottiene questi fondi? Dalla UE. Cioè, facendo un po' di demagogia, 50 milioni di euro dei contribuenti europei vanno per due piani di “industrializzazione” della coca che porteranno solo ad una maggiore e più pratica produzione delle foglie da trasformarsi in cocaina.

Nota1: è inutile nascondere ciò che è oramai da decenni chiaro. L'enorme margine di guadagno del narcotraffico non ha concorrenti, ancor più limitati quando praticamente sono stati quasi annullati i controlli come in Bolivia.

Nota2: l'area di principale produzione di coca, il chapare, ha ricevuto negli ultimi 20 anni, i maggiori finanziamenti internazionali (si chiamava “sviluppo alternativo” alla coca) di ogni altra area rurale del continente americano. Le ragioni del perchè non sia cambiato nulla sono esposte nella prima nota.

Nota 3: le popolazioni indigene del chapare sono state gradualmente espulse dai loro territori per far posto ai coloni andini quechua aymara, come morales, che hanno occupato l'area dell'oriente tropicale a partire dagli anni 60.