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Il Cristianesimo è di destra o di sinistra?

di Francesco Lamendola - 18/01/2010

 

Il Cristianesimo è di destra o di sinistra?
Se questa domanda fosse stata formulata nel 1936, all’epoca della guerra civile spagnola, pochi osservatori spassionati si sarebbero astenuti dal rispondere che il Cristianesimo è sicuramente di destra: viste, da un lato, le posizioni apertamente favorevoli ai franchisti assunte dalla Chiesa cattolica, non solo in quel Paese ma anche da parte del Vaticano; e, dall’altro, le violente persecuzioni anticristiane scatenate dai militanti di sinistra e dagli anarchici.
Se questa domanda, viceversa, fosse stata posta nel 1968, crediamo che ben pochi osservatori obiettivi avrebbero evitato di rispondere che il Cristianesimo è certamente di sinistra: considerati da un lato fenomeni come i preti operai, la pedagogia di don Milani, le contestazioni del’Isolotto di Firenze al vescovo Florit, il sostegno del clero del Nicaragua al sandinismo e la nascente teologia della liberazione; e, per contro, la dura persecuzione cui i preti cattolici e i sindacalisti di formazione cristiana erano fatti oggetto da parte degli “squadroni della morte” al servizio dei latifondisti, in numerosi Paesi dell’America Latina.
Oggi, poi, tramontate le grandi ideologie di destra e di sinistra, e rientrata la politica nei binari di una “saggezza” e di un “realismo” che sconfinano spesso con la mera amministrazione dell’esistente, si assiste - specialmente in Italia - a una distribuzione dei cattolici sia nello schieramento di centro-destra, sia in quello di centro-sinistra; e ciascuno dei due tronconi rivendica con forza la coerenza della propria scelta.
Se, poi, dal campo della politica militante, ci spostiamo in quello del pensiero e della cultura, non tarderemo a trovarci nel medesimo imbarazzo. Applicando, impropriamente e anacronisticamente, le categorie ideologiche del XX secolo al secolo precedente, dovremmo concludere che De Maistre era di destra, Lamennais di sinistra; e, passando ai primi del Novecento, che Mounier era di sinistra, mentre Augusto Del Noce era di destra.
Ancora: nel panorama letterario italiano del Novecento, possiamo trovare sia uno scrittore come Giovanni Papini, che si può considerare come di destra, sia un poeta come il servita David Maria Turoldo, che si può considerare come di sinistra.
E allora? Che cosa dobbiamo concluderne?
Tanto per incominciare, la questione è mal posta: perché il Cristianesimo è in primo luogo una religione, in secondo luogo una filosofia e solo in terza istanza è, anche, una dottrina sociale: non mai, però, una ideologia politica, e meno ancora una forza politica, si chiami essa movimento, partito o in qualunque altro modo. Viceversa, “destra” e “sinistra” sono categorie della politica e, pertanto, nulla hanno a che fare con il Cristianesimo, se non parlando e ragionando in modo estremamente approssimativo, per non dire confuso e fuorviante.
Precisiamo che qui non stiamo parlando della Chiesa cattolica, e nemmeno della Cristianità, ma del Cristianesimo in quanto tale: del suo messaggio spirituale e delle eventuali ricadute di esso in chiave politica e sociale.
Né vogliamo qui discettare sulla famosa frase evangelica: «Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio», sulla quale sono stati versati fiumi d’inchiostro, nel tentativo di trovare in essa più di quello che c’è: vale a dire la ferma reazione alla malizia dei Farisei, che volevano far cadere Cristo in un tranello; e, più in generale, il fermo rifiuto di consentire ad una strumentalizzazione del Vangelo in chiave ideologica.
Tale strumentalizzazione, indubbiamente, c’è stata; e, per fermarci alle cose di casa nostra, è abbastanza evidente che il partito politico della Democrazia Cristiana ha deliberatamente giocato sull’ambigua commistione di sacro e profano, per raccogliere consensi e rimanere abbarbicato al potere, ininterrottamente, per quasi mezzo secolo: un record assoluto nell’ambito delle democrazie parlamentari, insuperato e probabilmente insuperabile, e reso possibile anche dalle larghe, strutturali collusioni con vecchi e nuovi centri di potere occulto, ivi comprese la Massoneria che si suole definire deviata, e la stessa criminalità organizzata.
Tuttavia, questo genere di riflessioni ci porterebbe inevitabilmente su di un piano inclinato, verso una contrapposizione tra clericalismo e anticlericalismo, che è sostanzialmente estranea alla questione che ci eravamo posta: e cioè se il Cristianesimo, in quanto tale, si possa considerare un fenomeno di “destra” o di “sinistra”.
La verità è che il Cristianesimo, come tutte le religioni, pur avendo sviluppato una propria filosofia e anche una propria dottrina sociale (che rifiuta sia il comunismo, sia il capitalismo “selvaggio”, perché pone al centro della società e dell’economia il concetto di “persona”), non appartiene ad un piano di realtà che si possa definire politico e, quindi, che si possa caratterizzare come destrorso o sinistrorso.
La classica obiezione a questa impostazione è, marxianamente, quella che vede la più subdola delle ideologie in un sistema di valori che, pur non essendo espressione dell’intera società (e anzi, oggi, nel caso del Cristianesimo, largamente minoritario), pretende di esserlo, e quindi non vuole qualificare se stesso come ideologia, ma come una forma culturale “super partes”, cioè di tutti e per tutti.
Marx, come Nietzsche e come Freud, è stato un grande maestro del Sospetto; ovunque vedeva l’inganno e l’ipocrisia di una classe borghese che cerca di spacciare i propri valori, i propri ideali e i propri interessi, come valori, ideali e interessi dell’intera società. Ma questa diffidenza sistematica, se è legittima nel campo della politica, diventa incongrua, per non dire assurda, quando si mescolano diversi ambiti della realtà, come quello politico e quello religioso.
Vogliamo dire che sono sempre esistiti e sempre esisteranno delle commistioni fra la sfera religiosa e quella politica, e ciò nei due sensi (la politica che vuol sfruttare la religione, come l’Impero romano con Costantino; e la religione che vuole sfruttare la politica, come la Chiesa cattolica sotto Teodosio); ma non ne consegue che la religione, in quanto tale, possa essere valutata secondo criteri politici, o che sia, inevitabilmente, un fattore politico in se stessa.
Pensare così, vorrebbe dire confondere la storia fattuale con la storia delle idee. Ora, nessuna persona di buon senso potrebbe negare che vi siano delle relazioni, più o meno strette, fra le due cose; ma nessuna persona di buon senso - crediamo - potrebbe dedurne che le due cose sono una sola, e che l’una si confonde e si risolve nell’altra.
Prevediamo anche l’ulteriore obiezione a questa linea di ragionamento: che, cioè, staremmo parlando di una Religione in astratto, che non esiste in se stessa, ma solo e unicamente negli uomini e nelle situazioni che la incarnano. Obiezione di tipo marxista anche questa; alla quale rispondiamo che la prassi nasce dal pensiero e non viceversa; e che ogni costruzione dello spirito, prima di tradursi in comportamenti concreti, significativi anche dal punto di vista sociale, vive di una vita propria, come il quadro concepito dal pittore, ma non ancora dipinto, o come la musica, pensata, ma non ancora composta né eseguita.
E si badi che la stessa cosa vale per tutte le ideologie, a cominciare dal marxismo medesimo: o si vorrà dire che non esiste il marxismo in se stesso, ma solo e unicamente le varie forme che esso ha assunto attraverso l’azione concreta degli uomini che ad esso si sono ispirati? Pensare così, vorrebbe dire scambiare l’effetto per la causa. Pertanto, non si vede perché non dovrebbe essere lecito parlare del Cristianesimo in se stesso, indipendentemente dall’influenza materiale che esso ha esercitato, volta a volta, nei diversi contesti storici.
Una delle analisi più acute della dimensione politica del Cristianesimo è stata quella svolta dal filosofo Gabriel Marcel, del quale ci siamo altre volte occupati.
Non potendo qui riportare per esteso la sua riflessione sulle valenze politiche  di cui il Cristianesimo è suscettibile, ci è sembrato idoneo servirci della sintesi che ne tracciano Giovanni Reale, Dario Antiseri e Mauro Laeng (in: «Filosofia e Pedagogia dalle origini ad oggi», Brescia, La Scuola Editrice, 1992, vol. 3, p. 434):

«L’attenzione al concreto e l’avversione per le astrazioni hanno fatto sì che Marcel si presentasse come un pensatore contrario ai conformismi. Egli dichiara di aver avuto sempre (anche quando non era Cristiano) un pregiudizio favorevole nei confronti del Cristianesimo, giacché era convinto che “finché il Cristianesimo rimaneva sincero con se stesso, non poteva essere che un autentico fattore di pace». Questa convinzione ha posto Marcel nella condizione di essere sospettoso sia verso il Cristianesimo di destra che verso quello di sinistra. “Io - egli dice - ho sempre considerato con molto sospetto il Cristianesimo di destra, ho sempre pensato che esso corre il rischio di distorcere nel modo più sinistro il vero messaggio di Cristo”. Tuttavia, prosegue Marcel, “gli uomini della destra sono lungi dal detenere il monopolio dello spirito di conformismo: c’è un conformismo della sinistra, ci sono uomini della sinistra che detengono il potere nel mondo, c’ della gente “ben pesante” (nel senso conformistico della frase) così a sinistra come a destra”. Certo, il conformismo di sinistra non è affatto una scusante delle crudeltà della destra. Le crudeltà della sinistra non legittimano minimamente quelle connivenze tra clericalismo e potere che assumono, per la “coscienza cristiana”, un carattere sempre più offensivo. E tuttavia Marcel si ribella contro chi, come Simone de Beauvoir, sostiene che i delitti contro la proprietà e la persona non dovrebbero essere giudicati troppo severamente, mentre i delitti politici sono inespiabili. Il delitto politico sarebbe inespiabile perché peccato mortale contro “il senso della storia”. Questo, dice Marcel, mette a nudo una filosofia dogmatica della storia secondo cui o ti adegui o sei schiacciato. “Se il delitto politico è un peccato mortale, la ragione ne deve essere che esso va contro il significato della stori, e si suppone, naturalmente, che quest’ultimo sia generalmente conosciuto. Alla vecchia massima già abbastanza strana: “Si presume che nessuno ignori la legge”, dovremmo ora aggiungerne una anche più strana: “Si presume che nessuno ignori il significato della storia”. La ribellione contro chi pensa di possedere o incarnare il senso della storia sarebbe un peccato mortale, mentre i criminali, lamenta Marcel, appaiono a certi romanzieri esistenzialisti, come personaggi molto attraenti. La realtà è, ad avviso di Marcel, che “il nostro periodo ci offre lo spettacolo di una rigida coerenza nell’assurdità morale. Ma proprio a motivo di codesta coerenza, siamo obbligati ad affermare, senza ombra di esitazione, che questo culto del moralmente assurdo sta con grande rapidità divenendo il culto del positivamente cattivo”.

In realtà, con il suo costante richiamo ala verità interiore e all’esigenza che l’uomo si rivolga in ogni circostanza in cui non sa come regolarsi nei confronti del prossimo, alla grande legge del perdono e della riconciliazione, il messaggio sociale Cristianesimo è chiaro come lo sono poche altre religioni, e difficilmente lo si può equivocare o snaturare, se non compiendo una aperta forzatura dei suoi principî; cosa che, invece, non è altrettanto evidente nel caso di altre religioni, più fortemente connesse con il discorso politico.
Forse che il significato della implacabile strage degli Ebrei di Medina, ordinata da Muhammed, può essere facilmente equivocato? Forse che si possono ravvisare, nel Giudaismo, lo stesso spirito universalistico e lo stesso riconoscimento dell’uguaglianza  degli uomini davanti a Dio, a qualunque popolo essi appartengano?
Certo, ogni messaggio religioso è suscettibile di venire deformato e strumentalizzato da discepoli fanatici; ma bisogna avere l’onestà intellettuale di riconoscere che, mentre tali operazioni sono relativamente agevoli nel caso di certe religioni, o, quanto meno, che queste ultime vi prestano il fianco, la cosa non è affatto naturale nel caso di altre. E il Cristianesimo è, forse, quella che meno di tutte si presta ad una lettura in chiave di militanza politica e di prevaricazione del prossimo; ad eccezione del Buddhismo e del Taoismo, che - però - dovrebbero essere considerati più delle filosofie che delle religioni, o, almeno, delle religioni non teiste.
La conclusione è che il Cristianesimo non è di destra né di sinistra, non tanto in nome di una terza ideologia (magari di “centro”, come tuttora si vorrebbe far credere), ma perché tali categorie gli sono profondamente estranee, dato che esse nascono da una logica di contrapposizione politica: mentre esso è, nella sua essenza, un messaggio di collaborazione fraterna tra gli uomini, al di là della classe, della razza o del popolo cui essi appartengono.