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Qualcuno ci rapisce da un’altra dimensione come un pescatore prende all’amo le sue trote?

di Francesco Lamendola - 19/01/2010

 

Nel precedente articolo «Che ne è stato delle bambine? Il caso UFO di Clifton Bore, Australia, 1974», avevamo parlato, fra l’altro, della sconcertante vicenda accaduta il 23 settembre 1880, che ebbe per protagonista involontario un ricco possidente americano di Gallatin, nel Tennesse, di nome David Lang. Questi era uscito dalla sua fattoria per andare a vedere i suoi cavalli; e, mentre stava attraversando il prato,  sotto gli occhi della moglie e dei suoi figli, era sopraggiunto l’avvocato del luogo con un suo amico. L’avvocato lo chiamò perché tornasse indietro; ma, allorché Lang si girò per tornare verso casa, svanì sotto lo sguardo increduli dei presenti, in pieno giorno e in un luogo assolutamente aperto e privo di alberi o case.
Si tratta, nell’insieme della casistica riguardante fatti del genere, di una vicenda certamente impressionante, ma tutt’altro che unica; anzi, sarebbe assai lungo l’elenco delle persone, isolate o a gruppi, e talvolta anche a bordo di veicoli leggeri o pesanti, scomparse nel nulla, sovente sotto gli occhi allibiti di numerosi testimoni; così come quella relativa alla scomparsa subitanea e inspiegabile di navi, aerei, e sempre in circostanze tali da far escludere qualunque incidente di volo o di navigazione, spiegabili in base alla logica umana.
Che cosa bisogna pensare di fatti del genere, dopo averli sfrondati - è naturale - di tutti quelli che, in un modo o nell’altro, sono suscettibili di una spiegazione naturale, in base alle leggi della fisica che noi conosciamo?
Lo studioso Charles Fort, dopo aver raccolto una imponente documentazione in proposito, riteneva che, probabilmente, noi terrestri siamo in pratica alla mercé di creature di un’altra dimensione, più evolute o comunque più potenti, le quali, di quando in quando, rapiscono alcune persone per farne oggetto di studio, o forse di esperimenti (per non parlare di ipotesi ancora più raccapriccianti): più o meno come noi facciamo con gli animali, dei quali ci serviamo a nostro piacere, o che alleviamo per i nostri scopi.
In questa prospettiva, noi saremmo in tutto e per tutto paragonabili a delle trote da allevamento o a dei manzi che, in qualsiasi momento, e a sua discrezione, il proprietario può decidere di prelevare, per farne ciò che meglio crede.
È pur verro che questa ipotesi si inscrive nel più vasto quadro della filosofia di Fort, caratterizzata dal concetto di “intermediarità”: secondo lo studioso americano, tutte le cose che noi conosciamo non sono né del tutto reali, né del tutto irreali, quanto piuttosto dei tentativi di essere qualcosa, vale a dire di esistere. Questa ipotesi di lavoro consente di rendere ragione (si fa per dire) di tutta quella massa sterminata di fenomeni che stanno al di là della scienza e che, pur essendo stati osservati da numerosi testimoni, contrastano irrevocabilmente con tutto ciò che noi sappiamo, o crediamo di sapere, riguardo alle leggi del mondo naturale e della stessa logica.
Ma prima di procedere ancora su questa linea di ragionamento, crediamo opportuno ritornare alla questione delle scomparse improvvise ed inspiegabili di esseri umani (nonché di autoveicoli, navi ed aerei), scorgendo in essa un punto d’osservazione privilegiato per riflettere su più ampie questioni riguardanti la nostra posizione rispetto alla cosiddetta “realtà”.
Scriveva un ufologo degli anni Settanta oggi alquanto dimenticato, sebbene la sua opera di ricerca sia stata una delle più serie e documentate, Giuseppe Lazzari, nel suo libro purtroppo non più ristampato, «Ufo operazione terra» (Milano, Siad Edizioni, 1980, pp. 224-28):

«Il 23 settembre 1880, il ricco possidente David Lang era uscito dalla sua casa, posta nella sua stessa vasta tenuta presso Gallatin, nello stato di Tennesse (USA), per andare a vedere i suoi cavalli. Stava attraversando il prato, osservato alla moglie e dai suoi figli. Nel frattempo era arrivato l’avvocato del luogo con un suo amico. L’avvocato lo chiamò perché tornasse indietro. Mentre si girava per tornare verso casa, svanì letteralmente e istantaneamente sotto gli occhi di cinque persone, in pieno giorno, in un punto, fra l’altro, sgombro di alberi, di cespugli, dica panne, e completamente aperto e pianeggiante.
Nel 1890, in una fattoria di Tom Lerch (stato dell’Indiana) situata presso la città di South Bend, si verificò la scomparsa del giovane Oliver. C’errano inviati quella sera e c’era baldoria. Oliver era anche in compagnia della sua fidanzata. Era nevicato e ori c’era perciò tutto uno strato di neve. La madre stava preparando la cena e pregò il figlio Oliver di andare a prendere un po’ d’acqua dal pozzo. Il giovane prese cappotto e guanti ed uscì. Subito dopo udirono un grido forte che invocava aiuto. Si precipitarono tutti fuori, dove continuavano a sentire la voce di Oliver che veniva dall’aria, da sopra le loro teste. La voce ora si sentiva più forte ora più debole., ora più vicina poi più lontana, ma sempre invocante soccorso. “Mi hanno afferrato! Aiuto, aiuto!”, invocava Oliver. (Louis Anglada Font,  (“La realidad de los OVNI a traves de los siglos”, Kier, Buenos Aires).
Che la voce provenisse dall0’aria e non fosse un’eco partita da un punto del giardino è dimostrato dal fatto che le impronte di Oliver s’interrompevano sulla neve, a metà strada tra la casa e il pozzo.
È probabile che fosse stato afferrato da extraterrestri in condizione d’invisibilità artificiale. […]
L’astronomo Jessup, il quale pubblicò quattro libri sui dischi volanti, segnala che nel 1930 un certo Joe La belle,  cittadino canadese, s’imbatté in un villaggio eschimese, ma restò giustamente assai sorpreso quando constatò che l’intero villaggio era stato improvvisamente abbandonato dai suoi abitanti. Era tutto in ordine; nelle capanne poté vedere tutti i loro effetti personali (vestiario, utensili vari) e persino i fucili, dei quali gi eschimesi difficilmente fanno a meno. Non avevano portato via nemmeno i cani. Sette di questi furono trovati morti forse per fame. Ciò che è ancora più curioso è che una tomba risultava scoperta e priva del cadavere o delle ossa. Le pietre erano state tolte e sistemate per bene al lato della tomba.
Nel febbraio 1939 i francesi dei villaggi posti lungo la catena dei Pirenei  ingaggiavano dei profughi dell’esercito spagnolo disfatto, da impiegare nel taglio degli alberi. Una sera, prima di andare a letto, un gruppo di legnaioli si fermò a fumarsi una sigaretta. Un loro compagno, Ramon Castillo Velasquez, abbandonò il gruppo dirigendosi verso il granaio. Ad un tratto gli altri sentirono un suo grido che diceva: “Maledizione, lasciami stare!”. In un primo tempo non vi badarono, ma, quando gli urli insistettero, allora si avvicinarono di corsa. Ora gli strilli erano più forti. Si sentiva dire: “Liberami! Ma che diavolo! Sto dicendo che mi liberino!”. Poi la voce si sentiva sempre più debole, ma essa proveniva dall’aria, da sopra le loro teste. Pur girando intorno e nella zona, non fu mai visto il signor Velasquez. Era scomparso come Oliver […]. Anche in questo caso si notavano le impronte delle sue scarpe ferrate dell’esercito spagnolo, che s’interrompevano due metri prima di giungere al granaio. Nel granaio c’era un giovane di 23 anni in via di guarigione da una ferita. Egli disse che aveva visto passare qualcosa di fronte ala finestra del primo piano. Stando alle parole del pover’uomo, si deve supporre che individui, in stato d’invisibilità provocata, muniti di scarpe antigravitazionali, l’avessero afferrato e lo stesero trasportando verso il disco invisibile sospeso in aria (Luis Anglada Font). […]
Nel 1958 la signora H. Wales riferì che suo marito svanì completamente di fronte ai suoi occhi, nel cortile della loro casa a Brookyn, tre anni prima cioè nel 1955. La moglie lo mandò fuori per liberare dal palo dello stenditoio una camicia che il vento aveva smosso dal filo. Appena il marito cercò di afferrarla, la sua mano sembrò scomparire. Poi sotto o sguardo della moglie, presente davanti a lui, fu risucchiato e svanì.
Nello Stato di Gerais (Brasile), in località Duas Pontes, la mattina del 21 agosto 1962 un ragazzo di dodici anni, Raimundo, si era alzato ed era uscito di casa per prendere il cavallo. Fuori vide due grossi globi vicini al’abitazione, immobili a un paio di metri dal suolo e distanti fra oro circa un metro. Uno degli oggetti, di colore nero, era munito di antenna e di una piccola coda, Il secondo globo era bianco e nero ed aveva l’identica struttura del primo. Tutti e due emettevano un rumore simili a un sibilo e, dalla parte posteriore, sprigionavano una fiamma intermittente. Il ragazzo chiamò subito il padre, Rivalino Mafra da Silva, il quale si diresse verso i due globi che, in quel momento, si fusero l’uno nell’altro, dando luogo ad unico oggetto. Questo si avvicinò al sig. Rivalino in una nube di fumo giallo. Quando scomparve il fumo, Raimundo e gli altri fratelli più piccoli non videro più né l’oggetto né il loro genitore. La polizia effettuò lunghe ed accurate indagini, anche con l’ausilio di cani poliziotto, ma del sig. da Silva non trovò alcuna traccia., ad eccezione di alcune gocce di sangue a 60 metri dalla casa. Raimundo fu interrogato a lungo dalla polizia e fu sottoposti a esame medico e psichiatrico, ma il dott. Joao Antunes de Oliveira dichiarò ai giornalisti che il padre era assolutamente normale e raccontava quello che a lui sembrava essere la verità. Il tenente di polizia Lisboa, incaricato di condurre le indagini, interrogò anche i vicini di casa. Un certo Antonio Rocha, mentre due giorni prima stava pescando lungo il fiume Manso, vicino a Duas Pontes, vide due sfere che giravano a bassa quota sulla casa dello scomparso. Due amici di costui riferirono al tenente Lisboa che Rivalino aveva loro rivelato di aver incontrato, tre giorni prima, tre individui di piccola statura, alti appena un metro, i quali fuggirono tra i cespugli quando il sig. da Silva incominciò a dirigersi verso di loro. Dai cespugli poi s’innalzò verso il cielo un oggetto rosso “a forma di cappello”.
Roberto Pinotti nel suo libro “UFO, missione uomo” (ed. Armenia) cita il caso di un certo Powers Jakson, il quale stava effettuando studi e ricerche per spiegare le scomparse improvvise negli Stati Uniti di interi palazzi, ristoranti e centrali elettriche.  Egli aveva accennati a una sua “teoria dello stiramento molecolare” e alla conseguente separazione graduale delle particelle fino a far perdere  fino a far perdere a una massa di materiala sua forma visibile. La mattina del 3 gennaio 1974, alle ore 8,05, egli si era recato al suo garage per prendere la macchina. La moglie stava lì vicino e, avendolo visto molto contento perché l’indomani  sarebbe dovuto andare alla televisione per illustrare la sua teoria, pensò di scattare una fotografia mentre apriva il garage.  La signora non fece in tempo, perché in un attimo il marito scomparve letteralmente  a pochi passi da lei, come se si fosse istantaneamente smaterializzato.
Nel mese di settembre 1974, nei pressi di Hobbs (New Mexico), un enorme disco volante discese e si fermò a 150 metri sopra un granaio. Presenti la moglie, la figlia e un vicino, un agricoltore, il quale si trovava in un autocarro, fu sollevato improvvisamente  in aria con tutto l’autoveicolo pesante ed entrambi scomparvero nell’interno del gigantesco disco.
Sette guardie forestali degli Stati Uniti, in servizio il 7 novembre 1975 nella zona della foresta nazionale Apache, presso Heber, nell’Arizona, stavano tornando a casa in auto, verso il tramonto. Durante il viaggio, si accorsero che un disco volante era fermo, poco lontano, al di sopra della strada. Uno degli uomini, Travis Walton, di 22 anni, volle scendere dall’auto per correre verso il disco, allo scopo di osservarlo bene da vicino. Ad un certo momento gli altri sei colleghi videro chiaramente che Travis Walton fu colpito da un raggio di luce blu, sprigionato dal disco volante, e cadde per terra.  Allora, presi dal terrore, fuggirono con l’auto, lasciando il loro collega disteso sulla strada, ma poi tornarono dopo 15 minuti per non trovarono più traccia né di Travis Walton né del disco volante. Malgrado le ricerche effettuate per diversi giorni consecutivi, la polizia non riuscì a trovare l’agente scomparso né vivo né morto. Lo sceriffo della conta di navaho non si mostrò scettico sulla storia narrata dalle sei guardie forestali, le quali confermarono il fatto anche quando furono sottoposte a interrogatori e alla “macchina della verità”.  L’ipotesi avanzata è che Walton fosse stato preso dal disco volante.»

Come si è visto, alcuni fenomeni di scomparse improvvise sono stati accompagnati dalla presenza di oggetti volanti non identificati, altri no; in alcuni si è udita ancora, per qualche tempo, la voce degli scomparsi che chiedevano aiuto; in alcuni si sono anche vedute delle creature aliene, quanto all’aspetto e alle apparenze.
Al di là delle differenze particolari, comunque, il comune denominatore di questa casistica (che, volendo, potrebbe proseguire per pagine e pagine) è la scomparsa repentina e letterale degli esseri umani, come se una forza proveniente da un’altra dimensione li avesse rapiti, rimanendo del tutto invisibile ai testimoni di tali rapimenti.
In taluni casi, questa forza appare arbitraria e incomprensibile, mentre in altri sembra agire manifestamente in vista di uno scopo; il caso forse più impressionante di questa seconda categoria è quello di Powers Jakson, lo studioso di ufologia che viene fatto scomparire proprio alla vigilia di una sua apparizione in televisione, in cui avrebbe dovuto esporre una sua teoria fisica sui fenomeni in questione.
Ora, per tornare alla teoria fortiana della “intermediarità”, ci sembra che l’aspetto più interessante di questi eventi sia quello che rimanda al quesito circa la reale natura dei rapitori ed, eventualmente, dei loro mezzi di trasporto, vale a dire degli oggetti volanti alieni, per mezzo dei quali essi sembrano in grado di apparire e scomparire con sconcertante subitaneità e compiendo manovre tali, e a velocità tali, da contrastare con le leggi della fisica che noi conosciamo.
Ebbene, molte delle nostre perplessità troverebbero una possibile risposta qualora noi accogliessimo l’idea che gli enti del mondo fisico - o, per dir meglio, di quello che a noi appare come il mondo fisico - non sono reali in senso assoluto, così come non sono neanche del tutto irreali; ma che tendono a una condizione di esistenza effettiva e, per intanto, si trovano, ordinariamente, nel Purgatorio della “intermediarità”: uno stato intermedio fra il reale e l’irreale.
Se così fosse, ciò consentirebbe di comprendere come le astronavi aliene possano sia evoluire nei nostri cieli in maniera convenzionale e percepibile dai nostri sensi, sia effettuare dei movimenti che contrastano con le leggi del moto e della gravità, e perfino rendersi subitaneamente invisibili, proprio come se uscissero e rientrassero a piacere da un’altra dimensione.
Si ricordi che un essere bidimensionale non potrebbe percepire un ente di natura tridimensionale: un quadrato o un cerchio, per esempio, se fossero dotati di sensi e di ragione, non potrebbero percepire un cubo o una sfera, perché gli oggetti della geometria piana giacciono su un piano dimensionale del tutto differente da quelli della geometria solida. Allo stesso modo, un ente multidimensionale non sarebbe percepibile dalle creature terrestri, uomo compreso, poiché i nostri sensi e la nostra mente sono organizzati in funzione di uno spazio tridimensionale, con l’aggiunta della quarta dimensione del tempo. Di conseguenza, una creatura aliena proveniente, ad esempio, da un mondo a cinque dimensioni, potrebbe giungere non vista fino a noi, rapire delle creature viventi e portarle via, sotto i nostri occhi, senza che noi fossimo in grado di renderci conto della reale natura di quel che si è verificato.
E ora si rifletta sul concetto di “intermediarità”. Se le cose non sono, in se stesse, né reali, né irreali, ma giacciono su un piano intermedio fra questi due stati, non è forse vero che delle creature intelligenti, qualora fossero capaci di padroneggiare i meccanismi che caratterizzano tale condizione intermedia, potrebbero farvi ricorso per comparire e sparire subitaneamente, muovendosi proprio come se provenissero da un mondo a cinque, sei, sette o mille altre dimensioni?
Si tratta solo di ipotesi, naturalmente; gli indizi sono quelli relativi alle caratteristiche delle scomparse improvvise, ma anche quelli relativi a numerosissime altre tipologie di fenomeni misteriosi e apparentemente inspiegabili.
Certo, rimane da fare qualche considerazione di natura più propriamente filosofica riguardo ad una ipotesi del genere. Non è molto simpatico immaginare che noi siamo paragonabili, in tutto e per tutti, a dei pesci o a dei bovini che uno sconosciuto padrone può prelevare in qualsiasi momento da quel grande vivaio o da quel grande allevamento chiamato Terra. In particolare, una tale prospettiva sembra collidere con l’idea, da noi fermamente e ripetutamente sostenuta, che ci troviamo a far parte di un universo accogliente, frutto di un disegno non solo intelligente, ma benevolo, che ha tratto le cose dalla notte del non essere, per portarle alla luce armoniosa dell’Essere, affinché ciascuna possa perseguire la ricerca del Bene e riceverne in premio la realizzazione spirituale, cosa che comunemente viene chiamata con il nome di “felicità”.
Come si concilia quest’ultima concezione, con l’ipotesi del grande vivaio o del grande allevamento di bestiame, di cui noi saremmo le vittime inconsapevoli, abbandonate alla mercé di creature interdimensionali molto più evolute di noi, che perseguono disegni a noi incomprensibili, ma non certo benevoli nei nostri confronti?
In realtà, non vi è assolutamente alcuna contraddizione. Quando affermiamo che il mondo in cui viviamo è il frutto di un disegno benevolo ed è, in se stesso, ospitale ed accogliente, non intendiamo certo dire che, in esso, non trovano posto la lotta, il dolore e la morte fisica. Ovunque vediamo lo spettacolo della vita che si mantiene a spese di altra vita: il pesce grosso ingoia il pesce piccolo, l’animale più forte abbatte e divora l’animale più debole. Questa è una legge universale; e sarebbe una forma di autentica ipocrisia tentar di negare il fatto che colui che viene divorato soffre; così come anche colui che divora soffre - la fame, la sete, le malattie -; sicché non esiste essere vivente che non patisca la sua parte di sofferenza.
Tutto questo, nel mondo fisico, è inevitabile. Ma il mondo fisico è solo ciò che appare ai sensi esterni; accanto ad esso e al di là di esso, vi è il vasto mondo spirituale, ove regnano leggi diverse e nel quale sono possibili una evoluzione ed un progresso praticamente illimitati, tali da oltrepassare gli aspetti dolorosi dell’esistenza materiale. Noi scambiamo quest’ultima per la sola forma di esistenza, suggestionati da quattro secoli di pensiero razionalista e di scienza materialista; ma così non la pensava nessuna delle società tradizionali, sia quelle che noi giudichiamo evolute - dall’egiziana antica alla cinese -, sia quelle cosiddette primitive.
Perciò, tornando al nostro discorso, nulla vieta di pensare che creature più evolute di noi sul piano materiale, capaci di muoversi nel labirinto dei mondi interdimensionali, a bordo delle loro astronavi, possano andare a caccia di esseri umani, più o meno come uno studioso di entomologia se ne va a caccia, armato di reticella, di farfalle o di altri insetti che popolano i nostri prati. Questa sarebbe una cosa che non contrasta con alcun principio della fisica, della logica o dell’etica. Contrasta solo con la nostra arroganza antropocentrica, per cui, abituati come siamo a decidere del destino degli altri esseri viventi, ci disturba profondamente l’idea di poter essere, a nostra volta, del tutto inermi davanti a delle creature più forti di noi. Ma questo è un nostro problema psicologico, che non chiama in causa la bontà dell’universo, ma solo la nostra presunzione.
Bisogna pensare, d’altra parte, che, se ci rapiscono e mostrano la massima indifferenza per il nostro destino, questi visitatori provenienti da altre dimensioni non devono essere altrettanto evoluti spiritualmente, come lo sono sul piano tecnologico. Mostrano la stessa mancanza di compassione che mostriamo noi, allorché torturiamo ed uccidiamo un gran numero di animali, vuoi per una alimentazione smodata ed impropria (l’essere umano sarebbe naturalmente vegetariano), vuoi per dubbie ricerche scientifiche o, addirittura, per la vanità di esibire certi prodotti di pelle o di pelliccia.
Da questo punto di vista, è probabile che abbiamo a che fare con delle creature che, spiritualmente, più o meno ci equivalgono: questo, almeno, è ciò che si può dire per quelle che si rendono artefici di rapimenti o, comunque, di aggressioni ai danni di persone. Ma vi sono indizi sufficienti per arguire che i visitatori degli spazi interdimensionali appartengono a numerose specie, fra loro assai diverse: alcuni sono decisamente ostili, altri amichevoli, altri ancora, semplicemente, indifferenti alla nostra sorte.
E anche questo è significativo. Perché, se i mondi abitati sono infiniti, tutto lascia credere che ovunque vigano, in sostanza, le stesse leggi dell’evoluzione spirituale che noi conosciamo e che crediamo specifiche della nostra razza. Basti pensare a quale diversa idea del nostro sviluppo spirituale si farebbe un viaggiatore degli spazi interdimensionali, qualora venisse a contatto con creature terrestri così diverse fra loro, come lo sono un grande santo o un grande criminale: di certo stenterebbe a credere che essi appartengono ad un’unica razza.
E, di fatto, non vi appartengono, se non dal punto di vista biologico, ossia dal punto di vista materiale. Ma, come abbiamo testé affermato, il piano materiale dell’esistenza è solo quello esteriore, una specie di involucro del piano vero: quello spirituale. E, sul piano spirituale, è come se il santo e il criminale appartenessero a due specie totalmente diverse, e ciò per una loro libera scelta, per un cammino deliberatamente intrapreso: l’uno verso la luce dell’Essere, che rende benevoli e compassionevoli, l’altro verso l’inferno dell’Ego, che indurisce e rende crudeli e spietati.