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La natura e l'umanità, a proposito del terremoto di Haiti

di Franco Cardini - 19/01/2010




Duole dirlo: ma, dinanzi al disastro epocale del terremoto di Haiti el 12 gennaio (si parla ormai, sia pur ufficiosamente, di piu di mezzo milione di morti), le reazioni dei grandi leader del mondo, delle lobbies massmediali e dell’opinione pubblica, perlomeno di quella che in qualche modo “si vede” e “che conta” non sono nemmeno deludenti: perché per dichiararci delusi bisognerebbe essersi prima illusi, e non è che dalle classi dirigenti e dalle società civili di oggi ci sia invece molto da aspettarsi. Ma, insieme alla pietà e al bisogno di reagire, ebbene sì, va detto che la rabbia e l’indignazione sono il meno che si può provare in questo momento. Quando anche recentemente si è trattato d’invadere e di bombardare (penso alla Jugoslavia, all’Afghanistan, all’Iraq), la celerità di decisione e di esecuzione e la larghezza di mezzi usati sono state entrambi impressionanti. Nulla di ciò, in termini di rapidità, di efficienza e di generosità nello stanziare capitali, si è visto a proposito dei soccorsi inviati ad Haiti. Perché?

Non c’è dubbio che, nonostante i raffinati e sofisticati mezzi tecnologico-scientifici di previsione, la natura ci coglie troppo spesso impreparati: ed entro certi limiti non v’è da sperare che a ciò il progresso possa davvero porre un giorno rimedio. Così come non c’è nemmeno dubbio che i paesi e le genti più esposti alla furia imprevedibile degli elementi – quelli dislocati nelle aree equatoriali e in quelle a più forte rischio sismico del pianeta: che poi coincidono largamente – sono anche quelli più poveri. Ma proprio questo induce a due ordini di riflessioni.

Primo: se è un fatto che il terremoto haitiano del 12 scorso, come troppi altri disastri e cataclismi, non era in sé prevedibile e che gli interventi post eventum sono fatalmente lenti e difficili (basti pensare alle difficoltà di atterraggio di un numero elevato di mezzi aerei sull’isola), è un fatto altresì che i nostri mezzi d’informazione generale e le statistiche ci pongono nell’assoluta possibilità di organizzare sistematicamente una mappa delle aree a rischio e delle ragioni di rischio: e non sarebbe quindi per nulla impossibile, in sede ONU e G8 ad esempio, organizzare stabilmente delle “unità di crisi” in grado di recar tempestivamente in qualunque punto del pianeta un primo blocco di aiuti umanitari indispensabili a tamponare almeno in parte le più gravi situazioni d’emergenza. Il fatto che nulla o pochissimo di ciò si faccia, che quasi nulla si faccia sistematicamente e che tragedie come quella haitiana non obblighino i governi di tutto il mondo a porre urgentemente in agenda misure preventive del genere è una delle prove più gravi di quanto ancora si sia lontani da una governante del mondo anche vagamente paragonabile alla retorica dei Diritti Umani con la quale ci sciacquiamo continuamente la bocca.

Secondo: ad almeno parziale spiegazione della gravita dell’evento di Haiti, reso ancor più insopportabile dall’evidente stato di fragilità e d’indigenza di una delle popolazioni piu povere del mondo, si sono evocate la miseria con al sua inevitabile compagna, l’ignoranza. Ora, dev’esser chiaro che né l’una né l’altra sono un prodotto della “natura”, e tanto meno della “fatalità”. Quelli che noi chiamiamo “paesi poveri”, sono quasi sempre esattamente il contrario: sono terre magari esposte alla rabbia dei venti, dei vulcani e degli oceani, ma il suolo e/o il sottosolo delle quali rigurgita letteralmente di ricchezze. Se una parte decente di esse restasse nel paese che le detiene e le produce, quelli dell’Africa e dell’America latina che oggi sono tra i piu miserabili sarebbero al contrario fra i piu ricchi del mondo. Perché ciò non avviene?

La risposta l’hanno data, in termini così ridicoli che sarebbero divertenti se non fossero tragici, alcuni organi d’informazione televisiva e giornalistica tra i più conformisticamente proni ai poteri dei Padroni del Vapore nazionali e internazionali. La miseria, l’ignoranza e lo stato di mancanza di liberta democratiche di paesi come Haiti dipenderebbe dal fatto che in essa non si sono sviluppate strutture capitalistiche: mancano la libertà e la sicurezza democratica, gli imprenditori stranieri di conseguenza si allontanano, fanno difetto gli investimenti e via snocciolando il consueto rosario di banalità liberal-consumiste.

E’ esattamente vero il contrario. I regimi illiberali haitiani, anche se condannati dall’ONU, sono rimasti di solito in piedi perché appoggiati o dal governo della vicina Superpotenza, o da lobbies internazionali di speculatori con un piede nel business, uno nello sfruttamento senza leggi delle risorse naturali (Haiti è ricca di caffè, di frutta, di fibre tessili naturali (il sisal), di canna da zucchero, di cacao di tabacco. Il fatto è che queste ricchezze vengono coordinate, sfruttate e drenate da multinazionali che stanno fuori del paese e che direttamente o indirettamente – ma comunque non inconsapevolmente – lo sfruttano per mezzo dei governi e/o della malavita entrambi locali; e che, all’interno del paese, di questa ricchezza in tal modo drenata non si vede quasi alcuna ricaduta sotto forma di proventi socialmente gestibili.

Come in molti paesi dell’Africa, i governi (dichiarati “dittatoriali” o no, a seconda dell’utilità del momento: quando e finche servono alle potenze occidentali, non vengono chiamati tali dai nostri massmedia) sono complici di questo stato di cose e partecipano ai profitti da ciò ricavati. La situazione haitiana è una variabile di quella generale gia denunziata perfino da persone come Luttwack, Stieglitz, Ziegler e Rifkin, che non sono certo “di sinistra”: il turbocapitalismo delle lobbies sta succhiando il mondo, è un’organizzazione a delinquere che ruba ai poveri per dare ai ricchi, è una piovra che si sta organizzando addirittura per gettarsi sul piu prezioso e indispensabile dei beni della terra, l’acqua. Quel che difatti colpisce di più, nella società haitiana, non è la miseria, ma la vertiginosa ingiustizia della distribuzione della ricchezza.

E nell’ingiustizia non c’è un bel niente d’inevitabile e di naturale. C’è solo il regno di Mammona, già condannato senz’appello duemila anni or sono. Una condanna che aspetta ancora di essere eseguita.