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L’enciclica “Caritas in veritate” e la questione ecologica

di Eduardo Zarelli - 24/01/2010


Caritas in veritate è la terza enciclica di Benedetto XVI ed è un’enciclica sociale. Essa si inserisce nella tradizione delle encicliche sociali che, nella loro fase moderna, siamo soliti far iniziare con la Rerum novarum di Leone XIII ed arriva dopo diciotto anni dall’ultima enciclica sociale, la Centesimus annus di Giovanni Paolo II. È quindi un documento di grande rilevanza che si confronta con uno scenario storico moderno profondamente trasformato, che può forse essere riassunto in alcune evidenze. La cosiddetta morte delle ideologie novecentesche ha visto – in realtà – affermarsi l’ideologia unica della tecnoscienza e del mercato. Negli ultimi decenni, la capacità di intervento e manipolazione del vivente tramite la tecnologia, ha assunto una potenzialità senza precedenti, che pone in discussione l’essenza stessa dell’identità umana. Se nel vecchio mondo dei blocchi politici contrapposti la tecnica - nella presunzione della sua neutralità - era asservita all’ideologia politica ora tende a emanciparsi da ogni ipoteca, nutrendo questo suo arbitrio con la cultura del relativismo nichilista.
Un secondo elemento distingue l’epoca attuale: l’affermarsi della globalizzazione. L’omogeneizzazione economico-finaziaria sostenuta dalla rete informatica e telematica mondiale è un fenomeno che coinvolge trasversalmente la società, le culture, l’economia, l’ambiente che ne sono tutti radicalmente influenzati. La coerenza stessa delle relazioni internazionali è fortemente scossa: tra vocazioni multilaterali e volontà di potenza unilaterali si gioca il problema delle risorse energetiche, nuove forme di colonialismo e di sfruttamento in una logica geopolitica di pluralità continentali o di affermazione unilaterale occidentale. Un terzo elemento di mutamento riguarda le religioni. Se la secolarizzazione e il disincanto paiono sempre più protagonisti del sentire contemporaneo, le religioni sono tornate alla ribalta politica e sociale della scena pubblica mondiale. A questo fenomeno contraddittorio si contrappone un laicismo militante, sostanzialmente coincidente con il riduzionismo scientifico, che tende ad estromettere la religiosità dalla sfera pubblica. L’aspetto – in questa sede – che ci interessa rilevare dell’impegnativo testo ecumenico riguarda l’ambiente. In tal senso questa enciclica costituisce certamente un passo avanti nel riconoscimento dell’esistenza di una questione ecologica strettamente connessa a una questione antropologica, anche se permane non chiarito il rapporto di dipendenza fra uomo e natura. Non a caso si evoca il tema della sostenibilità ambientale criticando il sistema economico, ma si cela l’incoerenza dello sviluppo in sé – per definizione illimitato – rispetto a risorse finite, che è il cardine dell’inadeguatezza del modello liberal-capitalistico.
La chiesa cattolica deve recuperare un ritardo riguardo all’approfondimento teologico in merito alla concezione della biosfera e della collocazione in essa dell’uomo; collocazione per esempio, chiara ed inequivocabile nelle forme di religiosità cosmoteandriche, così come nell’induismo, nel buddhismo. In effetti, tra le righe scritte dal pontefice resta irrisolta la questione se la natura è creata per l’uomo o se l’uomo e la natura sono il frutto di uno stesso disegno creativo a-temporale, non collocabile storicamente e tuttora presente ed in atto. Su questa via il rapporto tra cultura e natura si proporrebbe in termini di sacralizzazione dell’esistente, ponendo, di fatto, un proficuo dialogo con posizioni filosofiche ed epistemologiche genericamente identificabili nell’emanazionismo. Tutt’altra questione è quella dell’energia, di cui si affronta l’implicazione strutturale in un documento che tratta in modo approfondito di economia, criticando disuguaglianze e rapporti di forza inerenti suscitati dalla competizione capitalistica. Chi oggi usa petrolio, carbone, gas e uranio, ovviamente li usa solo per sé negandone per sempre l’uso ad altri uomini contemporanei ed alle generazioni future. Usare energie rinnovabili, non le toglie all’utilizzo di altri, né nel presente, né nel futuro. Questa è l’unica strada per coniugare carità e verità, privilegiando la centralità dell’uomo rispetto al profitto. In questa enciclica, sebbene con la cautela che caratterizza il pensiero e il linguaggio pastorale, è contenuta una dura accusa ad una economia senza regole morali, finalizzata solo al profitto, che ha marginalizzato i diritti fondamentali alla sicurezza, alla salute, al lavoro, minando per tanti la possibilità di condurre una vita dignitosa, che nella sobrietà risulti immune dalla mercificazione e lo svilimento consumistico. Di fronte ad una economia scivolata nell’egoismo, nell’avidità, nella competizione individualistica, l’auspicio per una radicale riforma dei dettami economici in chiave umanistica e solidaristica ci sembra rilevante, pur mancando nel declinare forme di partecipazione e cogestione quel superamento comunitario, di fatto, della scissione del mondo del lavoro causata dallo stesso liberal-capitalismo. Così come una critica all’utilitarismo dell’economicismo non si può sottrarre dalle tesi della decrescita. Quest’ultima è un’idea che si basa sulla constatazione di fatto che lo sviluppo produttivo non può essere eterno. Essa individua due problematiche fondamentali: la prima riguarda lo stato di salute del pianeta ed in particolare il surriscaldamento dell’atmosfera, con le annesse catastrofi naturali sempre più gravi e frequenti. Il secondo grande problema è il progressivo esaurimento delle materie prime presenti sul nostro pianeta, soggetto all’intenso sfruttamento di due secoli di industrializzazione, e, soprattutto, della principale risorsa energetica disponibile, il petrolio. Pertanto quello della decrescita è un pensiero che si pone in termini critici di fronte alla modernità ed al paradigma dello sviluppo ad ogni costo, laddove spesso non se ne riconoscono i limiti e le conseguenze altamente negative che ne possono derivare. La decrescita non è comunque da intendere come una regressione in una edenica arcadia antistorica, priva di tecnica e società. Serge Latouche, che ne è un teorizzatore di riferimento, la presenta efficacemente quando sostiene che si tratta di un problema di mentalità: il suo fine è “decolonizzare l’immaginario occidentale”, uscendo dal dogma ideologico dello sviluppo illimitato.
Relativamente alle fonti energetiche, la Chiesa in passato si era espressa favorevolmente sul nucleare. In questo testo si mantiene una equivoca reticenza, quando è la stessa non rinnovabilità che rende impossibile la condivisione con le generazioni future di una forma energetica. Il nucleare provoca l’illimitatezza innaturale, subordina l’economia al profitto e al rischio. Per una energia utilizzata oggi lasciamo alle generazioni future un´eredità avvelenata, di scorie da gestire per decine di migliaia di anni, senza neanche sapere indicare come conservarle; in questo non c’è proprio nulla di etico, neanche in senso antropocentrico, senza vederla in chiave esclusivamente biocentrica.
Altro tema colpevolmente taciuto è quello demografico. Questione ovviamente spinosa, su cui gli elementi di principio possono creare distanze significative con la sensibilità ecologista, ma proprio per questo sarebbe importante riconoscere l’esistenza del problema che va approfondito da entrambe le parti. È ovvio che se si vuole mantenere la vita sul nostro pianeta non si può prescindere da una futura stabilizzazione demografica, alla quale si deve tuttavia giungere non come atto di razionalizzazione tecnocratica ed egoismo, di negazione dell’accoglienza della nuova vita che nasce, ma come atto di responsabilità verso le generazioni future e tutte le creature viventi che con noi condividono le risorse limitate del nostro pianeta. Esiste sicuramente un punto di equilibrio tra gli opposti integralismi che vedono l’uomo padrone della Natura (su mandato laico o divino che sia) oppure come un intruso nel cosmo da sopprimere in nome di una misantropica nevrosi apocalittica. Percorrere questa via mediana significa trovare il giusto quadro di civiltà che riconcili la cultura con la Natura. La modernità ha “disincantato” il mondo, ha svuotato la natura di tutto ciò che in precedenza le si attribuiva di sacro. Di tale opera si rintraccia causa nella declinazione dualistica del monoteismo, ma che si è attualmente esplicata dalla svolta cartesiana e della rivoluzione scientifica razionalista, che ha trasformato il mondo in oggetto inerte alla mercé della volontà di manipolazione umana. Tra il mondo- oggetto e l’uomo-soggetto si è quindi venuto a creare un drammatico dualismo che ha legittimato tutte le forme di imposizione e dissipazione dell’ambiente naturale. La visione lineare e deterministica della storia umana si è sostituita alla concezione ciclica degli Antichi, distruggendo le culture tradizionali con il “progressismo”. Se l’uomo tradizionale divorava il tempo con il rito, lasciando inalterato lo spazio, l’uomo moderno distrugge lo spazio, divorato dal divenire del tempo, dalla frenesia del futuro. In questo senso, l’ecologia appare incontestabilmente come la riappropriazione di una sensibilità e una prospettiva culturale diversa da quelle che hanno dominato in questi ultimi secoli, con implicazioni al contempo filosofiche e morali concernenti il rapporto dell’uomo con la Natura: rapporto di dominio o di co-appartenenza, di predazione o di empatica connivenza.