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Eur, il fiore che crea imbarazzo

di Nikos A. Salìngaros - 25/01/2010

Fonte: iltempo

 

In questi giorni si discute sull’Arco di Adalberto Libera. Nonostante l’enorme sostegno venuto direttamente dal pubblico attraverso il sondaggio del «Sole 24 ore» di cui «il Tempo» si è occupato con un articolo di Sabrina Fantauzzi, si alzano voci autorevoli per denigrarlo. Vale la pena di indagare la ragione di tanta contrarietà.


1. Il Movimento Italico

Per chiarire la situazione dobbiamo rivedere la storia dell’architettura italiana del Novecento, e distinguere il Movimento Italico dallo Stile Internazionale con il quale a volte viene confuso. Il primo ha un suo carattere preciso e trova i suoi esempi maggiori nell’EUR e nel Foro Italico. Il secondo, malgrado vi abbiano preso parte molti capaci esponenti italiani, non si differenzia da quanto realizzato al di fuori del Bel Paese da architetti non italiani. «Razionalismo Italiano» è purtroppo un termine ambiguo. La storia dell’architettura nel dopoguerra è stata scritta sulla base di preconcetti estremamente faziosi.

La stessa terminologia è stata impiegata in modo subdolo per nascondere l’originalità del Movimento Italico [e ci si è così volutamente riferiti ad un «Neoclassicismo semplificato». Il linguaggio Italico delle forme architettoniche è certamente uno sviluppo intelligente del Classicismo, e sorge dalle stesse radici. È però il grande malinteso dei teorici dell’architettura del dopoguerra interpretare tale legame come un elemento negativo. Esso, al contrario è proprio il punto di forza, sano, perché congiunge direttamente il Movimento Italico a tutti i linguaggi architettonici del passato Romano]. Quanta energia hanno bruciato i critici dell’architettura nel dopoguerra, per fare del classicismo architettonico un capro espiatorio! Collegarvi il Movimento Italico divenne un modo di condannarlo all’oblio. E giacché l’odio dei giovani architetti contro il Classico è stato alimentato dall’accademia, ogni esempio di architettura Italica è oggi una vittima potenziale di demolizione, al modo in cui abbiamo visto distrutta la teca dell’Ara Pacis di Vittorio Morpurgo. Per motivi strettamente ideologici, una classe intellettuale non poteva — e ancora non può — sopportare l’idea stessa dello sviluppo dei linguaggi delle forme architettoniche, e a tutt’oggi insiste nella negazione assoluta del passato.


2. L’ecofobia contro il passato

Come definita dal filosofo britannico Roger Scruton, l’ecofobia è il disprezzo della propria casa, della propria cultura e della propria società, per poi sostituirle con quelle straniere che vengono acriticamente abbracciate. In architettura, questo fenomeno ha caratterizzato il secolo XX, quando tutti i linguaggi architettonici vennero gettati nella spazzatura per adottare unicamente lo Stile Internazionale. Fu uno spreco terribile, appoggiato da un’ideologia fanatica e sostenuto dall’accademia. La proibizione di progettare con linguaggi altri dallo Stile Internazionale diventa un dogma religioso protetto da un potere intellettuale crescente, e ogni apostasia è punita con la fine della carriera dell’architetto. Ho cercato di trattare questo fenomeno — che ha una dimensione mondiale — nei miei libri «Antiarchitettura e demolizione» e «No alle archistar».

Tutti gli architetti seguaci dello Stile Internazionale praticano dunque una forma di ecofobia. Il loro scopo dichiarato è la decisa rottura verso il passato, e tale ossessione è appoggiata da un’ideologia politica confusa ma molto potente. [Collegare la filosofia politica con un linguaggio architettonico non è soltanto erroneo, ma diventa un crimine, perché seppellisce una gamma di linguaggi di progettazione ricchissimi che appartengono a tutta la comunità e ne compongono la memoria. Dunque, ogni giudizio negativo dei seguaci dello Stile Internazionale sui linguaggi architettonici adattivi è basato su una distorsione dei fatti.]

Diventa insomma arduo riscontrare una descrizione onesta del Movimento Italico dell’EUR, quartiere di cui leggiamo che nasce dal Razionalismo Italiano… fino a quando ciò coincide coi luoghi comuni. Infatti, dacché ultimamente il Razionalismo Italiano è stato (giustamente) recuperato alla sua importanza — anche grazie a fondazioni come il Centro Studi Architettura Razionalista —, i detrattori dell’EUR scrivono che «quella scuola architettonica c’entra poco anche con l’EUR stesso», e che «certamente non trova nell’EUR le sue affermazioni più alte». E dove si troverebbero, allora, queste affermazioni architettoniche di altissimo grado? La risposta è ideologica, perché punta esclusivamente allo Stile Internazionale tanto amato dalla classe politica dell’ideologia antistorica, e si focalizza su quegli architetti italiani del Novecento che seguirono la linea «ideologicamente corretta».


3. Segni di ecofobia a Roma

Abbiamo visto i centri storici delle città italiane invasi da mostri edilizi, ogni volta elogiati dalla classe intellettuale che desidera la sostituzione del tessuto urbano storico con il banale Stile Internazionale. Purtroppo i politici sono complici in questa distruzione. Una giustificazione dell’assurda teca costruita dall’americano Richard Meier per l’Ara Pacis recita: «E c’è chi vede, non senza fondamento, nell’opera di Meier una prosecuzione dello stile di Terragni». Corretto. Terragni seguiva infatti uno stile astratto, internazionale, più vicino al Bauhaus, con un’ispirazione totalmente altra da quello del Movimento Italico. [Gli ideologi di oggi amano Giuseppe Terragni, ma sono pronti a gettare alle ortiche le opere dei suoi contemporanei che hanno sviluppato una lingua architettonica più innovativa, e anche più italiana.]

Io mi sono rassegnato ad affrontare le strida accademiche, che non mi preoccupano. M’interessa poco l’ideologia eretta a rango di religione dogmatica. Spero però che Roma venga salvata dal mercato, soprattutto dall’industria turistica. Oltre che per vedere i monumenti classici, romanici, rinascimentali e barocchi, c’è una percentuale di turisti che viene a Roma per visitare l’EUR, un fatto nascosto perché sconveniente. Nessuno viene a Roma per visitare gli edifici del Bauhaus o dello Stile Internazionale, perché quelli li si trova dappertutto, ed è una gran noia. È soltanto all’Eur che un visitatore si trova faccia a faccia con la progettazione innovativa di questo gruppo d’architetti italiani degli anni ’20, ’30 e ’40. L’intellighenzia italiana ha fino ad ora fatto spallucce sul turismo architettonico innamorato del Movimento Italico.

Credo sia tempo che i politici sostengano almeno il profitto al posto di un’ideologia antiproduttiva. Non possiamo permettere che membri del governo si rivoltino contro l’eredità culturale italiana fino al punto di rottamarla. Quando si hanno responsabilità pubbliche non si deve sostenere una faziosità, né condannare un movimento architettonico storico; se non altro, sulla base di considerazioni economiche.

La propaganda ha condotto a una triste fine alcuni dei maggiori architetti del Movimento Italico. Leggo con grande pena, a riguardo di Adalberto Libera, la frase secondo cui «molti dei suoi più grandi progetti provengono da questo periodo del secondo dopoguerra», cioè quando smise d’innovare. Ignorando i luoghi comuni, si può invece costatare che nessuna opera di Libera del secondo dopoguerra può compararsi con l’originalità di quelli progettati per l’EUR negli anni ’30 e ’40.