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Il piano segreto per lo Yemen

di F. William Engdahl - 25/01/2010

Dietro il coinvolgimento di Al-Qaeda, una strategia per il controllo di un punto di passaggio strategico del petrolio


Il 25 dicembre, le autorità degli Stati Uniti hanno arrestato un nigeriano, Abdulmutallab, su un volo della Northwest Airlines,  da Amsterdam a Detroit, con l’accusa di voler far esplodere l’aeroplano con dell’esplosivo. Fin dai primi resoconti della CNN, del New York Time e degli altri mass media, si affermò che il “sospettato” era stato addestrato in Yemen, per compiere questo atto terroristico. Quello che il mondo è così venuto a conoscere è il nuovo obiettivo della “guerra al terrore” degli Stati Uniti, uno stato desertico della penisola arabica, lo Yemen. Uno sguardo più attento alla vicenda suggerisce che il Pentagono e l’intelligence statunitense abbiano in serbo un piano segreto per lo Yemen.

Per alcuni mesi, il mondo ha assistito a una costante escalation militare statunitense nello Yemen, un piccolo pezzo di terra confinante al nord con l’Arabia Saudita, a ovest col Mar Rosso, a sud col Golfo di Aden, che si apre al Mare Arabico, e con un altro Paese che è molto discusso ultimamente, la Somalia. I fatti indicano che il Pentagono e l’intelligence statunitense stiano cercando di militarizzare uno dei punto di controllo chiave dei flussi mondiale di petrolio, Bab el-Mandab, e, con la scusa degli episodi di pirateria in Somalia, insieme all’annuncio di una crescente presenza di Al Qaeda in Yemen, di assumere il controllo di una delle rotte di passaggio di greggio più importanti al mondo. Inoltre, si dice che si trovino le riserve di petrolio non ancora scoperte più grandi al mondo, nel territorio tra lo Yemen e l’Arabia Saudita.
Il 23enne nigeriano accusato del fallito attentato dinamitardo, Abdulmutallab, quando è stato interrogato, avrebbe ammesso di far parte di Al Qaeda della Penisola Arabica (AQAP), con sede nello Yemen. Questo ha spostato l’attenzione pubblica mondiale sullo Yemen, come nuovo centro di radicamento dell’organizzazione terroristica di Al Qaeda.
Cosa importante da notare, un veterano della CIA, con un’esperienza trentennale, Bruce Riedel, colui che ha consigliato a Obama di aumentare le truppe in Afghanistan, ha scritto sul suo blog, riguardo l’attentatore di Detroit, che “l’attentato, con lo scopo di distruggere il volo 253 della Northwest, da Amsterdam a Detroit, del giorno di Natale, svela le ambizioni della parte di Al Qaeda con sede nello Yemen, la quale ha giocato un ruolo molto importante nella jihad islamica globale, lo scorso anno…Il debole presidente del governo yemenita, Ali Abdallah Saleh, il quale non ha mai realmente assunto il controllo dell’intero territorio del Paese, e che ora si trova a fronteggiare un crescente numero di problema, ha bisogno di un consistente aiuto, da parte degli Stati Uniti, per sconfiggere l’AQAP”.

Alcuni elementi geopolitica base dello Yemen

Prima di analizzare le più recenti vicende, è bene valutare più attentamente la situazione dello Yemen. Così facendo, evidenzieremo molti dati che cozzano contro le affermazioni di Washington di una crescita dell’insediamento di Al Qaeda nella penisola arabica.
Agli inizi del 2009, i pezzi sullo scacchiere yemenita cominciarono a muoversi. Tariq al-Fadhli, un ex leader jihadista, originario dello Yemen del Sud, ha rotto un’alleanza che durava da 15 anni, col presidente del governo dello Yemen, Ali Abdallah Saleh, e ha annunciato l’intenzione di unirsi alla coalizione all’opposizione, chiamata Movimento Mujahideen Meridionale. Al-Fadhli è stato membro del movimento Mujahideen dell’Afghanistan, sul finire degli anni ’80. La sua rottura col governo è stata riportata dai media arabi e yemeniti nell’aprile 2009. La rottura di al-Fadhli con la dittatura al potere ha dato nuovo vigore al Movimento Meridionale, diventandone una figura di primo piano.
Lo Yemen è uno stato “inventato” dopo il collasso dell’Unione Sovietica nel 1990, quando la Repubblica Democratica Popolare dello Yemen (RDPY) ha perso il suo principale sostenitore straniero. L’unificazione tra la Repubblica Araba dello Yemen, del nord, e la RDPY, del sud, ha portato a un ottimismo di breve durata, finito nel 1994, a causa dello scoppio della guerra civile, nata quando fazioni armate organizzate del sud si ribellarono contro quello che interpretavano come un regime altamente corrotto del nord, guidato dal presidente Ali Abdallah Saleh, il quale esercita da solo il potere fin dal 1978, prima come presidente dello Yemen del Nord (la Repubblica Araba dello Yemen), e dal 1990 come presidente del neonato Yemen unificato. I ribelli armati del sud non sono riusciti a coinvolgere, a differenza di Saleh, personaggi come al-Fadhli e altri Salafiti yemeniti, i seguaci di un’interpretazione più rigorosa dell’Islam, e i jihadisti, impegnati a combattere le ex forze marxiste del Partito Socialista dello Yemen, al sud. Prima del 1990, Washington e il Regno Saudita appoggiavano Saleh e la sua politica di islamizzazione, come argine per contenere i comunisti del sud; in quel periodo, Saleh strinse una forte alleanza col movimento jihadista Salafita, stabilendo un regime dittatoriale. La rottura tra al-Fadhli e Saleh, e l’adesione del primo alla coalizione di opposizione del sud, insieme ai suoi ex nemici socialisti, rappresenta una grave minaccia per Saleh.
Subito dopo che al-Fadhli si è unito alla coalizione del Movimento Meridionale, il 28 aprile 2009, si sono intensificate le proteste nelle province meridionali dello Yemen di Lahj, di Dalea e di Hadramout. Si registrarono manifestazioni di decine di migliaia di soldati licenziati e di funzionari civili, che chiedevano salari migliori e altri benefici; questo tipo di manifestazioni erano già in numero crescente fin dal 2006. Le manifestazioni di aprile 2009 registrarono la prima apparizione pubblica di al-Fadhli, cosa che diede ossigeno al moribondo movimento socialista del sud, coinvolgendolo in una più ampia campagna su scala nazionale. Al contempo ha anche allarmato Saleh, il quale ha chiamato in soccorso l’Arabia Saudita e le altre nazioni del Consiglio per la Cooperazione nel Golfo, avvertendo loro che, senza un loro intervento, l’intera penisola arabica ne avrebbe subito le conseguenze. A completare la vicenda, al nord, Saleh deve fronteggiare la ribellione sciita degli Houtisti zaidisti. L’ 11 settembre 2009, in un’intervista rilasciata ad Al Jazeera, Saleh ha accusato il leader dell’opposizione sciita irakena, Muqtada al-Sadr, e anche l’Iran, di sostenere i ribelli sciiti del nord del Paese, gli Houtisti. Saleh ha dichiarato che “non possiamo accusare ufficialmente l’Iran; però, esponenti iraniani ci hanno contattato, dicendoci di essere pronti a svolgere il ruolo di mediatori. Questo significa che gli iraniani hanno contatti con loro (gli Houtisti), dato che vogliono mediare tra loro e il governo yemenita. Inoltre, Muqtada al-Sadr, da al-Najaf, in Iraq, si sta proponendo come mediatore, cosa che dimostra che vi è una connessione tra loro”.
Le autorità dello Yemen hanno annunciato di aver sequestrato rifornimenti di armi costruite in Iran; mentre, gli Houtisti hanno affermato di aver sottratto arsenale all’esercito, col marchio di fabbrica dell’Arabia Saudita, accusando così Sana’a (la capitale dello Yemen, e sede dell’ambasciate degli Stati Uniti) di agire sotto mandato saudita. L’Iran ha respinto l’affermazione secondo la quale armi iraniane siano state trovate nel nord dello Yemen, sostenendo che l’accusa di sostenere i ribelli sia priva di qualunque fondamento.

E Al-Qaeda?
 
Il quadro che emerge è quello di una dittatura, sostenuta dagli Stati Uniti, del presidente Saleh, il quale sta perdendo il controllo della situazione, dopo due decenni di regime dispotico, a partire dall’unificazione dello Yemen. Le condizioni economiche del Paese sono precipitate drasticamente nel corso del 2008, quando il prezzo del petrolio è collassato; infatti, circa il 70% delle entrate dello stato yemenita deriva dalle vendite di petrolio. Il governo centrale di Saleh si trova nel nord, a Sana’a, mentre, i giacimenti petroliferi nell’ex Yemen del Sud; nonostante questo, è Saleh ha controllarne i flussi. Il calo dei guadagni derivanti dalla vendita di petrolio ha reso l’opzione solitamente praticata da Saleh, di comprarsi tutti i movimenti di opposizione, semplicemente impossibile.
In questa caotica situazione interna, si registra l’annuncio del gennaio 2009, apparso su alcuni siti internet selezionati, secondo il quale Al Qaeda, l’organizzazione terroristica internazionale creata dal saudita addestrato dalla CIA, Osama bin Laden, abbia dato vita a un suo ramo nello Yemen, per condurre operazioni sia in quel Paese che in Arabia Saudita.
Al Qaeda dello Yemen ha rilasciato una dichiarazione, attraverso un forum jihadista on line, il 20 gennaio 2009, secondo la quale, il leader del movimento, Nasir al-Wahayshi, avrebbe formato un unico gruppo nella penisola arabica, sotto il suo comando. Secondo al-Wahayshi, il nuovo gruppo, Al Qaeda della Penisola Arabica, sarebbe composto dal suo precedente gruppo dello Yemen e da quello, disciolto, dell’Arabia Saudita. La dichiarazione stampa affermava, in modo piuttosto interessante, che, un saudita, ex detenuto a Guantanamo (matricola 372), Abu-Sayyaf al-Shihri, avrebbe assunto l’incarico di vice di al-Wahayshi.
Giorni dopo, un video di al-Wahayshi è apparso on line, con l’allarmante titolo “Partiamo da qui e ci incontreremo ad Al-Aqsa”. Al-Aqsa fa riferimento all’omonima moschea di Gerusalemme, che gli Ebrei chiamano Monte del Tempio, il luogo dove sorgeva il distrutto Tempio di Salomone, che i Mussulmani chiamano Al Haram Al Sharif. Nel video vengono minacciati diversi leader islamici – compreso il presidente yemenita  Saleh, la famiglia reale saudita e il presidente egiziano Mubarak – e viene promessa una jihad che partirà dallo Yemen, per arrivare a colpire Israele, allo scopo di “liberare” i luoghi sacri dell’Islam e Gaza; cosa che scatenerebbe la III Guerra Mondiale, se qualcuno fosse così pazzo da realizzarla.
Nel video, oltre ad al-Shihri, compare un intervento di Abu-al-Harith Muhammad al-Awfi, anch’egli ex detenuto a Guantanamo (matricola 333), identificato come comandante di campo. Come è noto, la tortura è inutile per ottenere confessioni credibili; quindi, alcuni hanno ipotizzato che gli interrogatori effettuati dalla CIA e dal Pentagono, nella prigione di Guantanamo, a partire dal settembre 2001, utilizzando tecniche brutali, siano serviti per addestrare, o reclutare, terroristi “dormienti”, attivabili a comando dai servizi segreti statunitensi; ovviamente, un’accusa difficile da dimostrare o confutare. Sicuramente, la presenza di questi due ex detenuti di alto livello di Guantanamo, nella struttura di Al Qaeda dello Yemen, è tema di accese discussioni.
Pubblicamente, Al Qaeda dello Yemen è pesantemente attaccata da al-Fadhli e dal Movimento Meridionale; infatti, in un’intervista, al-Fadhli ha dichiarato di avere “strette relazioni con tutti i jihaidisti del nord, nel sud e ovunque; ma, non con Al Qaeda”. Questo non ha impedito a Saleh di affermare che Al Qaeda e il Movimento Meridionale siano la stessa cosa; un modo sicuro per garantirsi l’appoggio di Washington.
Secondo i rapporti dell’intelligence statunitense, si registra un totale di circa 200 membri di Al Qaeda nel sud dello Yemen. Nel maggio 2009, al-Fadhli ha rilasciato un’intervista con la quale prendeva le distanze da Al Qaeda, dichiarando che “Noi (nello Yemen del Sud) siamo stati invasi 15 anni fa e ci troviamo ancora sotto una spietata occupazione; quindi, abbiamo già molto da pensare alla nostra causa, senza pensare ad altri problemi di altre parti del mondo. Vogliamo la nostra indipendenza e porre fine a questa occupazione”. Opportunamente, lo stesso giorno, Al Qaeda ha rilasciato una dichiarazione con la quale dichiarava di appoggiare la causa dello Yemen del Sud.
Il 14 maggio, in un documento audio trasmesso su internet, al-Wahayshi, leader di Al Qaeda della Penisola Arabica, ha espresso sostegno alla gente delle province meridionali e al suo sforzo di difendere sè stessa dalla “oppressione” , dichiarando che “quello che sta succedendo a Lahaj, a Dhali, ad Abiyan, a Hadramaut e nelle altre province meridionali, non può essere accettato. Dobbiamo sostenerli e aiutarli (gli abitanti delle province meridionali)”. Nella stessa occasione ha promesso un impegno attivo: “L’oppressione contro di voi, non resterà impunita…l’uccisione di Mussulmani nelle strade rappresenta un gravissimo e intollerabile crimine”.
Quello che emerge di rilevante è che un piccolo, ma ben reclamizzato, gruppo di Al Qaeda nel sud dello Yemen, quello che gli osservatori definiscono una parte del movimento popolare del sud, che appoggia il progetto radicale globale di Al Qaeda, viene utilizzato dal Pentagono come casus belli per aumentare le operazioni militari in quell’area strategica. Infatti, dopo aver dichiarato che i problemi interni erano esclusivamente di competenza dello Yemen, il presidente Obama ha ordinato operazioni aeree in quel Paese. Il Pentagono ha dichiarato attacchi il 17 dicembre e ha comunicato l’uccisione di tre figure chiave di Al Qaeda; seppur, non vi siano prove a conferma. A questo punto, la vicenda dell’attacco dinamitardo del giorno di Natale a Detroit da nuova linfa alla campagna della “guerra al terrore” nello Yemen; tanto che Obama ha offerto assistenza militare al governo yemenita di Saleh.

L’escalation degli atti di pirateria in Somalia cade a puntino

Proprio a puntino, in quanto presentati dalla CNN come nuova minaccia terroristica nello Yemen, gli attacchi dei pirati in Somalia, che si registrano già da diverso tempo, contro imbarcazioni commerciali, nel Golfo di Aden e nel Mar Arabico, nei pressi del sud dello Yemen, sono aumentati notevolmente, dopo essere drasticamente diminuiti in seguito ai controlli di scorte private delle multinazionali.
Il 29 dicembre, la Rai Novosti di Mosca ha riportato che pirati somali hanno attaccato un’imbarcazione greca nel Golfo di Aden, vicino alle coste della Somalia. Precedentemente, lo stesso giorno, una nave britannica, che trasportava sostanze chimiche, e il suo equipaggio, erano stati attaccati, sempre nello stesso Golfo di Aden. Dimostrando grande abilità nello sfruttare i media occidentali, il capo dei pirati, Mohamed Shakir, ha detto telefonicamente al giornale britannico, The Times, che “ieri, abbiamo attaccato un’imbarcazione battente bandiera britannica, nel Golfo di Aden”. Un’agenzia statunitense, esperta di intelligence, la Stratfor, riferisce che The Times, di proprietà del neoconservatore Rupert Murdoch, viene a volte utilizzato dall’intelligence israeliana per diffondere storie create ad arte.
Gli ultimi due episodi hanno portato il numero di attacchi di pirati a livelli record, nel 2009. Al 22 dicembre, gli attacchi dei pirati somali nel Golfo di Aden e presso le coste orientali della Somalia hanno raggiunto il numero di 174, con 35 imbarcazioni attaccate e 587 membri di equipaggi presi in ostaggio, nel solo 2009, con quasi tutte le operazioni andate a buon esito, secondo quanto riportato dal Reporting Center dell’International Maritime Bureau. La domanda ancora senza risposta è: chi sta fornendo, ai “pirati” somali, le armi e l’appoggio logistico sufficienti per eludere i controlli internazionali, messi in atto da diverse nazioni?
Cosa degna di nota, il 3 gennaio, il presidente Saleh ha ricevuto una telefonata dal presidente della Somalia, Sheikh Sharif Sheikh Ahmed, con la quale, quest’ultimo lo aggiornava sulle ultime vicende somale. Sheikh Sharif, che ha la propria base a Mogadiscio, è talmente debole che a volte ci si riferisce a lui come al “presidente dell’aeroporto di Mogadiscio”, disse a Saleh che avrebbe condiviso con lui ogni informazione circa attività terroristiche, che sarebbero potute partire dal territorio somale, con obiettivo la stabilità  e la sicurezza dello Yemen, e dell’intera regione.

Il checkpoint del petrolio e altri affari petroliferi

L’importanza strategica della regione tra lo Yemen e la Somalia è diventato un tema di importanza geopolitica fondamentale. E’ l’area in cui si trova Bab el-Mandab, uno dei luoghi che il governo degli Stati Uniti classifica come uno dei sette checkpoint di trasporto petrolifero più importanti al mondo. L’Agenzia per l’Informazione Energetica di Washington afferma che “una chiusura di Bab el-Mandab costringerebbe a far passare il petrolio dal Golfo Persico attraverso l’oleodotto del Canale di Suez/Sumed, passando per la parte meridionale dell’Africa. Lo stretto di Bab el-Mandab rappresenta il checkpoint tra il corno d’Africa e il Medio Oriente, e un punto d’incontro strategico tra il Mar Mediterraneo e l’Oceano Indiano”.
Bab el-Mandab - tra lo Yemen, Gibuti e l’Eritrea – collega il Mar Rosso con il Golfo di Aden e il Mare Arabico. Il petrolio e le altre esportazioni, dal Golfo Persico, devono passare da Bab el-Mandab, prima di entrare nel Canale di Suez. Nel 2006, il Dipartimento dell’Energia di Washington riferiva che si calcolava che circa 3.3 milioni di barili al giorno passassero, via acqua, da quel punto, in direzione Europa, Stati Uniti e Asia. Molto del petrolio, circa 2.1 milioni di barili al giorno, passano a nord, attraverso Bab el-Mandab, e il complesso degli oleodotti del Canale di Suez/Sumed, verso il Mediterraneo.
Un pretesto, per gli Stati Uniti e per la NATO, per la militarizzazione delle acque attorno Bab el-Mandab, fornirebbe a Washington un nuovo gancio per procedere all’assunzione del controllo di tutti e sette i punti strategici di passaggio del mondo, la parte principale di ogni futura strategia statunitense volta a impedire l’arrivo di petrolio alla Cina, all’Unione Europea, o ad ogni altro Paese che si opponesse alla propria politica. Dato che flussi significativi di petrolio saudita transitano da Bab el-Mandab, un controllo militare statunitense servirebbe da deterrente contro il pericolo che il Regno Saudita possa vendere petrolio alla Cina, o ad altri Paesi, in valute che non siano il dollaro, come ha recentemente riferito Robert Fisk, un giornalista del britannico Independent. Metterebbe gli Stati Uniti anche in una posizione di controllo rispetto alla rotta dei flussi di greggio cinesi da Port Sudan, sul Mar Rosso, appena a nord di Bab el-Mandab, la principale via di approvvigionamento energetico della Cina.
Oltre a questa posizione geopolitica- una via di transito dei flussi globali di petrolio – si ritiene che lo Yemen possegga le maggiori riserve non utilizzate di petrolio al mondo. Le principali compagnie petrolifere internazionali affermano che Masila Basin e Shabwa Basin, nello Yemen, contengono “giacimenti di portata mondiale”. La francese Total, e diverse altre piccole compagnie internazionali, sono impegnate nello sviluppo della produzione petrolifera yemenita. Circa 15 anni fa, mi venne detto, in un meeting privato con una fonte ben informata all’interno di Washington, che lo Yemen contiene “petrolio non ancora scoperto sufficiente a soddisfarne l’intera richiesta mondiale per i prossimi 50 anni”.
A questo punto, possiamo pensare che dietro al coinvolgimento di Washington nello Yemen,  ci sia qualcosa di più rispetto alla presenza di Al Qaeda, la cui effettiva esistenza in quella regione è fortemente messa in discussione da importanti esperti di questioni islamiche.


Fonte: www.globalresearch.ca
Traduzione: Manuel Zanarini