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Memory dog

di Miguel Martinez - 27/01/2010

 


Ogni anno, svolgiamo il nostro temino sul Giorno della Memoria assieme a non pochi svogliati ragazzini a scuola.

Siccome siamo troppo vecchi per rischiare la bocciatura, ci permettiamo una discreta libertà, sostenendo ogni volta qualche variante di un concetto molto semplice.

Esistono innumerevoli "Giornate della Memoria": lo sono anche le feste dei santi cristiani, ad esempio, o il 4 novembre.

Simili Giornate non hanno nulla a che vedere con le persone che commemorano. Separare attentamente i morti dei campi nazisti, o della prima guerra mondiale, o delle persecuzioni romane, dalle loro relative Giornate.



Le Giornate non parlano affatto della memoria, cioè dei ricordi miei o tuoi, e nemmeno di quelli dei miei o dei tuoi nonni, ma di ciò che un sistema di dominio ha deciso di ricordare o meglio ricostruire per motivi suoi.

Il dominio decide di ricordare i morti, perché la morte è inviolabile, irrevocabile e al di sopra della critica. I morti risorgono ogni anno, puntualmente, per trasmettere questa loro santità e fissità al dominio.

L'anno scorso, ci siamo fatti aiutare da Giancarlo Elia Valori  per avere un'idea dell'uso politico del Giorno della Memoria.

Quest'anno, abbiamo fatto ricorso al grandissimo poeta israeliano, Yehuda Amichai, che mi auguro molti lettori conoscano.

So per mestiere quanto si perde nelle traduzioni, per cui mi limito a riportare la versione inglese, che immagino sia già povera rispetto all'originale.
And I do now what every memory dog does:
I howl quietly
And piss a turf of remembrance around me,
No one may enter it.
Yehuda Amichai (Yehuda Amichai: A Life of Poetry 1948–1994. Selected and trans. Benjamin and Barbara Harshav. New York: Harper Perennial, 1995, p. 410).