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L'età adulta rubata da Muccino

di Antonio Scurati - 27/01/2010

 
 
 
Perdonate il pathos da confessionale: mi sono commosso vedendo il nuovo film di Muccino. Mi sono commosso e me ne vergogno un po’. Sì, perché la commozione - che mi ha assalito con la violenza pulsante di un conato di vomito - era spinta dal sentimento più vero ma per il motivo sbagliato.

Mi spiego. Nel finale di «Baciami ancora», sequel del fortunatissimo «L'ultimo bacio», in una vertigine di montaggio, si assiste a due parti simultanei.

La macchina da presa fa fronte al trauma della nascita. S’inquadra in pieno l’infante che impara a respirare nel suo primigenio istante d'asfissia. E di cos'altro ti vuoi commuovere, mi si dirà, se non del dramma del venire al mondo? D'accordo, ma il fatto è che a spremermi la lacrima è stato il gesto di esultanza di uno dei padri che assiste al parto. Quel padre esulta con i pugni stretti, rovesciati verso l'alto e con i gomiti flessi. E' il gesto del tifoso che saluta il gol del suo campione. Trasposto in sala parto, è il gesto del tardo adolescente imprigionato nel corpo dell'adulto. Un adolescente che scalpita, boccheggia, lotta per non morire nell'istante in cui le circostanze della nuova vita imporrebbero al suo ospite adulto di sbarazzarsi definitivamente di lui.

Non si tratta qui della proverbiale sindrome di Peter Pan - l'eterno bambino che non vuole crescere - ma di quella dell'adolescente intrappolato nella drammaturgia del sabato sera, la sindrome dell'eterno ripetente che si aggrappa ai banchi del liceo perché di crescere proprio non gli riesce. Rivelatore a questo proposito un errore categoriale in apertura del film: prima la voce fuori campo nomina la tanto procrastinata maturità e subito dopo uno dei personaggi sbeffeggia l'amico diagnosticandogli una «crisi di mezza età». Ma da quando queste due stagioni della vita coincidono?! Chi fine ha fatto l'età adulta, l'asse mediano su cui muovere con sicurezza i propri passi dopo essersi accertati della propria esistenza, che ne è stato di quella stagione vigorosa cui un tempo si accedeva subito dopo aver valicato la dorsale dei vent'anni, dopo essersi lasciati alle spalle l'età fragile dell'adolescenza, l'età inquieta della prima giovinezza, che fine ha fatto insomma l'età forte?

E non cambia granché il constatare che la soglia d'ingresso nell'età adulta è slittata in avanti (oggi hanno già quarant'anni gli eterni bamboccioni di Muccino). La domanda permane. Dov'è finita l'età adulta? Che sorte è toccata a quel momento meridiano in cui le donne e gli uomini, avendo assodato il proprio posto nel mondo nella lunga fase di propedeutica alla vita, avrebbero poi cercato di dare la propria unghiata alla crosta della terra, volgendosi a ciò che gli sarebbe sopravvissuto? A che età comincia oggi l'età in cui il melodrammatico indietreggia di fronte al serio, il piacere tributa il proprio ipocrita omaggio al dovere, in cui il passo si fa più lento e l'incedere più imperioso? Quando viene il tempo del lavoro, del decoro, del ponderato affanno e del giusto ristoro? Quando arriva, oggi come oggi, il momento di piantare l'albero?

Muccino sembra rispondere che oggi quel momento non viene. Semplicemente non viene. Ed è la sua una risposta che va presa sul serio perché è la garrula risposta di buona parte della nostra società. La facezia che non ci seppellirà un giorno lontano perché già ci seppellisce qui nel quotidiano. Sarà per questo che nel film di Muccino il massimo dell'euforia è vivere alzandosi la mattina senza sapere cosa farai la sera, che i momenti felici si ambientano nei campi di grano del Mulino Bianco, che i malori improvvisi sono sempre dovuti all'impalpabile stress e mai al materico tumore maligno, sarà per questo che ci sono centinaia di scene madri e nessuna vera madre, bambini senza padri e padri senza, punto e basta, che la protagonista femminile è la bella della classe ma la classe è quella liceale, che il protagonista maschile ha il fisico e la vocazione del maschio fascista ma gliene mancano letteralmente le palle (diagnosi tardiva da spermatozoi lenti), sarà per questo che la vita coniugale è solo nevrosi sentimentale, che il concepimento dei figli è sempre e solo il catalizzatore delle reazioni isteriche e l'amore, nominato senza sosta e senza costrutto, non manca mai di far risuonare la nostra frase senza senso?

Questa, insomma, l'ideologia del giovanilismo forzoso messa in scena abilmente da Muccino: la visione del mondo in cui la maturità non ha cittadinanza perché coincide senza resti con la crisi di mezza età, un mondo in cui non c'è spazio per l’età adulta.

Ed è un peccato perché è soltanto allora che si scopre quella rude specie di felicità che vuole la compostezza del gesto solenne. Come alla nascita di un figlio quando ti commuovi - eccome se ti commuovi! - perché nel suo volto vedi il futuro. Un futuro in cui tu non ci sei. Eppure lo benedici facendo di sì con la testa.