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Filosofia e mistica. Un problema terminologico

di Marco Vannini - 27/01/2010

 

Nella nostra abitudine i due termini sono ben distinti, anzi addirittura opposti, in quanto si intende generalmente per filosofia la autonoma attività della ragione, che non riconosce autorità al di sopra di sé, e per mistica, invece, qualcosa che ha direttamente a che fare col soprannaturale, da cui dipende, attraverso attività o facoltà di tipo prevalentemente emotivo. Questa interpretazione vale, in genere, sia per chi riconosce le possibilità della mistica, sia per chi la nega come fatto illusorio se non addirittura patologico.

Se guardiamo con più attenzione però, vediamo che queste definizioni sono tanto diffuse quanto insicure -anzi, sostanzialmente fuorvianti. Ce ne accorgiamo facilmente anche solo tenendo presente le vicende storiche. Da un lato, infatti, il concetto di filosofia permane abbastanza immutato nel corso dei secoli, dalla sua origine greca fino ai nostri giorni -sia pure con numerose variazioni interne, che vanno dal significato metafisico a quello 'debole' di certe componenti attuali. Dall'altro, invece, mistica presenta una pluralità di significati, ed anche una decisa opposizione tra essi, a partire dal suo comparire storico come sostantivo -ed è questo versante che conviene investigare.

La parola ha una chiara origine greca, nella radice del verbo myein, che indica l'atto di chiudere, anzi di socchiudere, gli organi dei sensi (si pensi che troviamo questa radice perfino in 'miopia'), ed in connessione con il concetto religioso arcaico di 'mistero', che indicava una dimensione non tanto misteriosa quanto iniziatica, riservata a coloro che erano stati adeguatamente istruiti, anche attraverso un processo di purificazione. In questo senso myste era l'iniziato al mysterion, mystagogo colui che introduceva al mistero stesso, e così via. Su questa linea compare anche mystikos, che però è aggettivo, non sostantivo, e si riferisce a nomi diversi, soprattutto, nella tarda grecità, a teologia. È in questa connessione che troviamo il titolo di un breve trattato, redatto in greco verso il quinto secolo ed attribuito dalla tradizione cristiana a Dionigi Aereopagita, la Teologia mistica appunto, nel quale si propone una via al divino in cui l'apice della ragione ha come ultimo esito il silenzio, l'ingresso nel nulla, nel deserto, nella tenebra (tutti concetti che entreranno a costituire il lessico essenziale della 'mistica'), nella persuasione che meglio si parla di Dio attraverso la negazione e meglio lo si conosce nella «ignoranza» (quella che si chiamerà poi «teologia negativa»).

Bisogna dunque notare che la prima fortuna del termine 'mistica' non è affatto legata all'emotivo o al cosiddetto irrazionale, ma il contrario. Lo sconosciuto autore che ha scritto la Teologia mistica è sicuramente un seguace della filosofia neoplatonica, di Plotino e di Proclo, filosofi, appunto, nei quali giunge per così dire a compimento la migliore eredità del razionalismo greco, ovvero della grande filosofia classica. Sotto questo profilo resta poi sempre vero che una certa mistica (quella che poi si chiamerà razionale, o speculativa, proprio per distinguerla da altre 'mistiche' ben diverse) si situa nel cuore della filosofia -anzi, ne costituisce non solo l'esito, ma anche l'anima: basti ricordare che Platone afferma essere la filosofia niente altro che esercitarsi a morire.

In tutto il medioevo cristiano poi l'uso del termine mistica come sostantivo non è ancora attestato, mentre si trova, assai raramente, l'aggettivo, nel senso che abbiamo sopra accennato con riferimento all'opera pseudodionisiana, oppure in connessione con la interpretazione della Scrittura, ove la interpretazione mistica sarebbe quella che, oltre la lettera, sulla via dell'allegoria, conduce verso il mistero. Qui 'mistico' ha a che fare con segreto, misterioso, in modo abbastanza vicino al significato misterico del mondo greco classico. Ma va sottolineato che quelli che noi consideriamo i grandi mistici medievali -siano essi uomini o donne, religiosi o laici, da Meister Eckhart a Caterina da Siena, da Angela da Foligno a Giovanni della Croce- non hanno usato che assai raramente di questo termine, e, ripetiamo, sempre come aggettivo. Essi non hanno dunque mai avuto consapevolezza di sé come di 'mistici'.

Anche il tentativo di Jean Gerson, ai primi del Quattrocento, di sistematizzare in qualche modo la teologia mistica (egli scrive un'opera con questo titolo), rimane sempre nell'ambito del discorso che abbiamo fatto: accanto alla teologia scolastica, a quella fondata sulla Scrittura, esiste per Gerson una teologia fondata essenzialmente sull'esperienza interiore, sull'esperienza dello spirito, che predilige la negazione. L'opera gersoniana è però importante in quanto comincia già a descrivere una fenomenologia del teologo mistico prevalentemente emozionale, anche se ciò si spiega in reazione al razionalismo tutto artificioso della tarda Scolastica, soprattutto occamista. Ed è interessante anche perché si vede già bene in Gerson (che fu uno dei teologi attivi al Concilio di Costanza, tra i responsabili della condanna di Huss) qualcosa che diventerà prevalente più tardi: la preoccupazione che il teologo mistico esca dai limiti dell'ortodossia, ovvero che l'esperienza dello spirito conduca a quella che il medioevo conobbe come eresia del 'libero spirito', insofferente di ogni regola, sia civile che ecclesiastica. Qui emerge un altro dei tratti tipici della mistica: la sua conflittualità, almeno latente, con le religioni costituite, con la loro dogmatica e i loro apparati di controllo, un rimando all'universale dello spirito ed alla tolleranza che, anch'esso, la apparenta sicuramente più alla filosofia che ad altre attività dissimili.

Proprio per questo motivo si giunge alla nascita del sostantivo 'mistica'. Ciò avviene nel corso del Seicento, nell'ambito di quella grande discussione che fu la disputa sul quietismo. Da un lato v'erano coloro che (ricordiamo il francese Fénelon) tendevano a rendere l'esperienza spirituale libera dai vincoli dogmatici e confessionali; dall'altro i gelosi custodi del primato della Chiesa (ricordiamo il grande antagonista di Fénelon, il vescovo Bossuet), tendenti ad escludere ogni rapporto uomo-Dio che non passi per la mediazione sacerdotale. È in questo contesto che si giunge alla delineazione del concetto di 'mistica', questa volta come sostantivo, intesa come «conoscenza sperimentale di Dio» (una definizione, peraltro, non nuova), da gestire con gli opportuni canoni nell'ambito della disciplina ecclesiastica. Di qui tutti gli innumerevoli trattati vòlti a distinguere vera e falsa mistica, all'interno di un concetto che permette ormai solo di definirla attraverso la presenza di condizioni particolari: visioni, estasi, fenomeni eccezionali di diverso tipo. Questa è, di fatto, la opinione che arriva ai nostri giorni; ma si noti che è assolutamente contraria a tutti i grandi maestri di spiritualità, da Agostino a Giovanni della Croce, i quali concordemente negano il rilievo di tali fenomeni, i quali appartengono caso mai all'ambito dello psicologico, e non dello spirituale.

Dal Settecento in poi si assiste così alla progressiva emarginazione dello spirituale, ormai diventato 'mistico' e confinato a un campo di eccezionalità 'soprannaturale' alla quale appare chiaro non avere accesso la grande maggioranza degli uomini. Dal canto suo, la cultura prima illuministica, poi positivistica, ha considerato illusione e patologia tale preteso soprannaturale, facendo uscire il terreno dello spirituale da quello della scienza. Come una vena di follia, scrive Wittgenstein, consideravano ormai i suoi amici inglesi (si pensi a Bertrand Russell) la sua «vena mistica».

In realtà v'era stata nell'Ottocento una grande filosofia che aveva compreso la profondità speculativa della cosiddetta mistica medievale, e che aveva consapevolmente additato in essa le radici della propria stessa esistenza. Ci riferiamo ovviamente all'idealismo tedesco: Fichte, Schelling, Hegel hanno tutti quanti sottolineato la parentela della loro filosofia con la spiritualità di Eckhart, di Taulero, della cosiddetta Teologia tedesca. Hegel scrive testualmente che quello che un tempo si chiamava «mistico» è proprio lo stesso di quello che lui chiama «speculativo», ovvero la comprensione razionale, dialettica, dell'unità degli opposti -comprensione che manca all'intellettualismo modesto dell'illuminismo. D'altra parte, il significato filosofico della grande mistica medievale germanica era stato riconosciuto anche da un accanito avversario dell'idealismo, cioè da Schopenhauer, il quale riteneva di portare, nell'essenziale, lo stesso messaggio di Taulero e della Teologia tedesca. Nonostante il loro grande peso culturale però, sia l'idealismo sia la filosofia di Schopenhauer sono rimasti sconfitti nella seconda metà dell'Ottocento, di fronte all'incalzare del positivismo, ed una delle conseguenze più importanti di ciò, della quale forse non si apprezza tutto il significato, è la nascita di una scienza dell'anima, la psicologia, di stampo positivistico, con la emarginazione di quella che era la grande esperienza spirituale della mistica.

Non meraviglia perciò che, accanto alla messa in disparte della mistica stessa, cacciata via dalla scienza e relegata nell'ambito della devozione, della pietà, della 'fede', anche la filosofia abbia perduto il suo ruolo egemonico, e la parola sia progressivamente scaduta fino a significare, come avviene oggi, una strategia aziendale (si parla infatti della 'filosofia' della FIAT, o della RAI, ecc.).

Questa è la situazione del tempo presente: la psicologia tratta dell'anima (o psiche, che suona più laico) senza spirito, di cui non ha più esperienza, e perciò non meraviglia che sia diventata un enorme supermercato di scuole, dottrine, gruppi, ivi compreso un settore del 'fai da te', con una straordinaria somiglianza con la sofistica classica. Sul versante religioso poi l'emarginazione dello spirituale ha significato la progressiva caduta nel sociologico, nello psicologico, nel politico, con una teologia che è, anch'essa, ormai discorso su tutto, salvo che su Dio. Comunque, in entrambi i versanti scarso è il peso della filosofia e altrettanto scarso quello, eventuale, della mistica. È vero però che qualcosa si muove: le più profonde esigenze dell'uomo non sono certo soddisfatte dalla psicologia, per cui non meraviglia l'attuale risveglio di interesse per la mistica (magari attraverso il buddismo o altre filosofie orientali), che parte proprio da un bisogno spirituale. L'uso dei concetti di filosofia e di mistica è oggi ancora confuso, dato che continua a pesare il passato storico, con tutti i suoi fraintendimenti e le sue mistificazioni, ma forse siamo alla vigilia di una più corretta comprensione del loro vero rapporto e della loro profonda unità, là dove si colga il significato e l'esperienza dello spirito.

 

Marco Vannini si dedica da tempo allo studio della mistica speculativa. Ha tradotto quasi l'intera opera di Meister Eckhart ed ha curato: l'edizione italiana delle Prefazioni alla Bibbia di Martin Lutero, Marietti, 1987, della Teologia mistica di Jean Gerson, Paoline, 1992 e del Libretto della vita perfetta dell'Anonimo Francofortese, Newton Compton,1994. È il curatore, fra le altre, di un'antologia di scritti di Meister Eckhart, La nobiltà dello spirito, Piemme, 1996 e di Taulero, Il fondo dell'anima, Piemme, 1997. In collaborazione con Giovanna Fozzer ha curato l'edizione italiana de il Pellegrino cherubico di Angelus Silesius, Paoline, 1989 e, con Giovanna Fozzer e Romana Guarnieri, de lo Specchio delle anime semplici di Margherita Porete, San Paolo,1994. Tra i suoi principali lavori: Lontano dal segno, La Nuova Italia, 1971; Dialettica della fede, Marietti, 1983; Meister Eckhart e il fondo dell'anima, Città Nuova, 1991; L'esperienza dello spirito, Augustinus, 1991;Introduzione a Silesius, Nardini, 1992.