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Le ore blu, come il palpito delle magiche sere di primavera

di Francesco Lamendola - 31/01/2010

La raccolta di brevi racconti di Fiorenza Licitra «Le ore blu» è un piccolo gioiello di poesia in prosa, poiché della prosa hanno solo la forma esteriore.
Sono racconti minimalisti, sia per l’esilità delle trame, delle situazioni, dei personaggi, sia per la rapidità con cui si leggono e con cui scorrono via, uno dopo l‘altro.
Ma è una rapidità solo apparente, come apparente è la leggerezza della ballerina che danza sulle punte, mentre sappiamo bene che dietro di essa vi sono un lungo esercizio ed uno sforzo concentrato e teso al massimo.
I racconti di Fiorenza Licitra hanno, in realtà, l’intima tensione e la fastosa densità di una silloge poetica, tesa come un arco sul profondo mistero della vita, che ella non pretende di svelare ma cui sa accostarsi con l’incantevole innocenza di un bambino che non abbia ancora scordato il linguaggio delle cose, delle piante e degli animali e che sia pertanto capace di dialogare con essi, con quella disinvolta sicurezza che l’adulto serioso e “realista” non giungerà mai a possedere, per quanto egli studi e si affatichi nello sforzo di comprendere.
Vi è una leggerezza di tocco, in questi racconti, simile al palpitare delle ali di un gabbiano che si lasci portare dalle correnti aeree nella luce dorata di un tramonto di maggio, quando dardi di luce erompono dalle nubi e circonfondono di gloria il cielo e la terra, come nel primo giorno della creazione.
La scrittrice è riuscita a ritrarre, come un acquarellista sulla tela, le sensazioni umbratili e quasi evanescenti delle sere di primavera, quando, al confine tra il giorno e la notte, tra il qui e l’altrove, tra l’adesso e il sempre, pare quasi di intravedere il segreto intimo del  mondo e di poterlo sfiorare con la mano, se non addirittura di afferrarlo e trattenerlo e sia pure per un attimo.
Sono sogni ad occhi aperti, emozioni, stati d’animo squisitamente tratteggiati con sensibilità tutta femminile e con quel ritroso, esigente senso di riserbo e di pudore, proprio di chi intuisce che il mistero della vita è una trama sottile di sogni, più fragile di una ragnatela, e che qualunque tentativo di circoscriverlo, definirlo o analizzarlo equivarrebbe a distruggerlo per sempre.
Sì, sono veramente “azzurre” queste ore impalpabili che si posano dolci e leggere sulle cose e sulle persone nell’incanto di una stagione carica di promesse, quando lo sguardo si perde all’orizzonte verso lontananze infinite e quando il cuore batte forte, non sa nemmeno lui perché, oppure lo sa fin troppo bene: perché è preso dall’incanto dell’essere ed esulta nella gioia di una promessa che certo verrà mantenuta.
Alla capacità di evocare atmosfere sottili e suggestive, Licitra unisce un altro dono: quello della creatività della parola.
Ella sa adoperare le parole come simboli di un’altra dimensione e se ne serve per delineare scenari inediti, arcane rimembranze e abissali nostalgie. Un dono poetico, appunto: che si esplicita nel saper far vivere la parola per mezzo di valenze nuove ed inusuali; non come gioco di effetti retorici, ma come naturale modo di porsi davanti al mistero delle cose: tutte, e specialmente quelle in apparenza più piccole e modeste.