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Le ore blu. Intervista a Fiorenza Licitra

di Miro Renzaglia - 01/02/2010

Undici brevi racconti, raccolti in elegante libretto delle Edizioni Albatros-Il Filo, sono l’esordio letterario della giovane Fiorenza Licitra [nella foto sotto]: Le ore blu. Tra le pagine di un’apparente linearità di scrittura narrativa si respira, come conferma l’autrice nell’intervista che segue, molta poesia. A cominciare dai suoi personaggi sospesi fra dimensione onirica e malinconia dell’accaduto o nell’attesa dell’accadimento. Sullo sfondo, sempre, il cielo di una Sicilia azzurra, mai dichiarata fino in fondo ma lasciata intuibile all’immaginazione del lettore. Dentro la grazia delicata e leggera della penna traspare la forte consapevolezza di una mente che dirige il gioco in modo già maturo. «Da quegli incontri in una stanza, Antonio imparò a suonare il violino con un fiore, e il suono che ne veniva fuori era molto simile a quello del mare».

m.r.

Chi è e come nasce Fiorenza Licitra scrittrice?

In me la scrittura nasce dalla mia difficoltà di parlare o, meglio, dal pudore che nutro rispetto alle parole. Credo che da una difficoltà di comunicazione possa però nascere una forma alternativa d’espressione. Così almeno è stato per me. Ho scritto lettere su lettere e ho pronunciato davvero poche parole importanti. Ho scritto soprattutto a chi era nella stanza accanto alla mia, senza andare troppo lontano. Il foglio bianco ha uno spazio e un tempo che ti mettono a confronto, non solo con chi andrà a leggere, ma con quel che vuoi davvero dire, qualsiasi cosa sia. E’ un arduo esercizio di verità.

Undici racconti, undici personaggi. Tutti trasognati e trasognanti. Quanto ci sei tu nel loro intrasogno?

Il modo di sentire e di intendere dei personaggi è la mia parte più intima, è la visione che ho sulle cose e sul mondo. Questa visione è  attraversata da un sentimento di solitudine, propria di certe nature e voluta, desiderata, persino agognata come spazio naturale, oltre che privato. Ha la forma della melanconia, ma spero di essere riuscita, nonostante la neve, a farla sbocciare.

Chissà perché vedo quasi sempre sullo sfondo delle tue scenografie narrative la Sicilia…

E’ vero, c’è molta Sicilia che fa da sfondo e da sottofondo e, soprattutto, c’è un rapporto d’amore e di profondo conflitto con le mie origini. Vivere su un’isola, per quanto grande possa essere, ti dà una percezione differente dal vivere sul “continente”, quello che io chiamo la terraferma. Sento un legame viscerale con il luogo in cui sono nata e vissuta: ogni volta che parto è come se mi allontanassi da una calamita. Allo stesso tempo, però, soffro dell’isolamento, una sorta di condizione sia fisica che mentale con la quale sono cresciuta. Ne soffro e insieme la benedico.

Paga il debito di riconoscenza che ogni autore ha con qualcun altro prima di lui… E dicci perché…

Il mio primo pensiero va a mio nonno Carlo, che mi raccontava, prima di andare a dormire, una favola continuata poi il giorno successivo e così avanti per anni. Chiaramente ci sono anche i libri e i rispettivi autori che mi hanno accompagnata – Hamsun, Steinbeck, Mishima, Guareschi, Gide, Giono – dai quali mi distacco nettamente come stile e contenuti, ma che hanno senz’altro formato il mio gusto estetico di pari passo con una certa etica.

Nel tuo periodizzare la scrittura ci sono passaggi a forte valenza poetica: per ritmo e immagine… Dove comincia Fiorenza Licitra poeta e dove finisce la narratrice?

A dire il vero, non c’è una separazione tra la parte del poeta  e quella del narratore poiché non c’è una reale intenzione di applicare prima l’una e poi l’altra. Il linguaggio che ho adottato, assecondando la mia visione perspicua, è il più vicino alla mia simbologia. Inoltre Le ore blu non nascono col fine di essere racconti da pubblicare, ma come vere e proprie lettere che ho scritto a delle persone in particolare, senza quindi badare troppo alla funzionalità editoriale.

Trovo particolarmente riuscito il tuo racconto “1+1”… Quanta e quale filosofia c’è dietro?

Dietro questo racconto c’è il mio rapporto con la matematica, che -attraverso gli infiniti numeri e calcoli- è un richiamo rispetto a tutto ciò che ci circonda, comprese le realtà più scontate o quelle apparentemente più aride, che se non vengono interpretate, riflettute e persino immaginate rischiano la perdita di valore. Il racconto, terminando con un rigore poco scientifico, sostiene quella vitale filosofia secondo cui tra se stessi e le proprie scelte non vi è alcuna separazione. E’ per questo che certi modi di pensare, non essendo solo fini a se stessi, sono dei modi d’essere.