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Berlusconi alla guerra finanziaria

di Gianni Petrosillo - 02/02/2010

 

 

La guerra per bande nella sfera finanziaria sta per scatenarsi nuovamente dopo la stagione delle grandi fusioni bancarie di qualche tempo fa. Questa volta però i risvolti politici della stessa potrebbero essere rivoluzionari, nel senso che la geografia dei cosiddetti poteri forti nazionali potrebbe essere colpita da un terremoto in profondità che ne cambierebbe radicalmente la morfologia.

Il problema è sempre lui, Silvio Berlusconi, l’eterno reietto del “Salotto Buono” dei gruppi dominanti, quelli che controllano economia, giornali, spezzoni della classe dirigente, imprese pubbliche e private, colui che è stato tenuto fuori dalla gestione di tutti quegli affari al limite tra sfera pubblica e privata, da quel luogo spettrale di collisioni e collusioni dove tutto è lecito per raggiungere i propri scopi, dove s’innalzano altari alla dea Metis e la si celebra con riti di menzogna, raggiro, truffa e imbroglio, al riparo dagli sguardi dell’opinione generale, per definire scelte strategiche, linee politiche, scalate ed alleanze per occupare la stanza dei bottoni.

Dico ciò perché in questi giorni pare sia stata innescata una vera e propria “bomba” nel capitalismo italiano, come scrive Massimo Gianni su Repubblica. Ma proprio il fatto che questo allarme sia partito da un quotidiano antiberlusconiano, secondo uno stile prettamente debenedettiano (come ho imparato leggendo un libro di Enrico Cisnetto, “Il gioco dell’opa”), vuol dire che l’Ingegnere sente bollire il suo trono sotto il sedere e vede messe in pericolo le proprie piazzeforti sul terreno mappato del “capitalismo costituito” del Paese.

Stiamo a ben attenti a quello che succederà nei prossimi due mesi perché gli eserciti si stanno predisponendo per la grande disfida che potrebbe avere delle conseguenze politiche davvero inaspettate e “rivoluzionarie”. Pare, difatti, che Geronzi, l’unico banchiere politicamente non distante dal Cavaliere, possa andare ad occupare la sedia dell’ottuagenario Bernheim alle Generali. Tutti noi sappiamo cosa rappresenta la compagnia triestina nello scenario finanziario della nazione, parliamo della cassaforte del sistema, un gruppo assicurativo di respiro internazionale che permette collegamenti con l’estero e garantisce le risorse necessarie per intraprendere ogni battaglia politica. Inoltre, lo spostamento del banchiere laziale a Triste aprirebbe un balletto di trasferimenti a cascata, tanto che già si parla di Tronchetti Provera sullo scranno più alto di Mediobanca, un altro che dalla sinistra e dalle banche amiche di questa è stato maltrattato e che potrebbe togliersi qualche sassolino dalle scarpe. E con questi primi movimenti, per effetto delle partecipazioni incrociate, verrebbe a formarsi uno schieramento plurisettoriale che avrebbe come hubs nevralgici Generali e Mediobanca e come spokes potenti istituti e imprese vedi Intesa, Telecom, Pirelli e altri minori. Tali congiunzioni e manovre hanno messo De Benedetti sul chi vive tanto da chiamare sulle barricate, come succedeva in passato con il suo galoppino Scalfari, i suoi migliori giornalisti per denunciare e interrompere sul nascere i “disegni oscuri” del Cavaliere miranti a fare dell’Italia un suo esclusivo feudo.

Ma in questa guerra tra Signori il vero parassita non è Berlusconi che qualcosa nella sua vita ha pur combinato, al contrario del capitalista più a sinistra della storia italiana che sa solo comprare, prosciugare e rivendere per proprio esclusivo arricchimento.

Sentite con quale enfasi padronale Giannini descrive le sue “democratiche preoccupazioni” sul giornale debenedettiano: “Nel blocco di potere politico-economico-finanziario che si cementa nel triangolo Roma-Milano-Trieste tutto si tiene. Completato l’ ‘arrocco’[nelle Generali] Geronzi e le sue pedine, dietro la regia interessata di Palazzo Grazioli [mentre si sa, invece, che il suo editore è un uomo parco e disinteressato al potere come ogni finanziere purosangue], finirebbero per avere in mano un ‘caveau’ nel quale sono custoditi, nell’ordine, uno dei più grandi giganti assicurativi d’Europa (Generali), la prima merchant bank italiana (Mediobanca9, una delle prime due banche commerciali del paese (Intesa San Paolo), la rete delle telecomunicazioni e il broadband (via Telecom e Pirelli), uno dei due primi giornali nazionali (Corriere della sera) [Giannini finge di dimenticare che l’altro è nelle mani del ‘feudatario’ che gli paga lo stipendio], le costruzioni (Gruppo Ligresti), i servizi idrici ed energetici (Acea)”. Insomma chi resterebbe fuori da questo fronte compatto e inedito sono proprio i soliti amici della sinistra, quelli che si mettevano in coda alle primarie del PD (Profumo), quelli che odiano Berlusconi perché impedisce loro di completare il sacco delle risorse nazionali (Montezemolo), ed, appunto, il nostro Saccard, senza però le grandi aspirazioni del protagonista del romanzo di Zola L’argent (il quale si serviva delle speculazioni per ridare la terra promessa al Papa), cioè De Benedetti. Così conclude il suo pezzo il giornalista di Repubblica, avvallando involontariamente le tesi del complotto contro il Premier: “alla faccia delle elite che complottano contro il Cavaliere, e dei Poteri Forti che congiurano contro il governo”. Insomma questo o è scemo o ci fa (conto terzi).