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Borse, euro e riforme: il braccio destro di Roubini "legge" il 2010 e dice...

di Marcello Foa - 02/02/2010

 

A inizio settimana avevamo chiesto ai lettori del giornale.it e del mio blog, il Cuore del Mondo, di inviarci delle domande da porre al braccio destro di Roubini, l'economista Arnab Das. La vostra risposta è stata straordinaria: abbiamo ricevuto una cinquantina di email. E vi ringraziamo davvero di cuore. Come potete facilmente immaginare, non siamo riusciti a progli tutte le domande, perché avevamo a disposizione circa 45 minuti, ma ho cercato di sintetizzare i temi di maggiore interesse.
Arnab Das, responsabile delle Ricerche e delle analisi di mercato di Roubini Global Economics, era a Milano giovedì, invitato da Aberdeen Asset Management Italia, nota società d'investimento patrimoniale. Questa la versione integrale che ha concesso al Giornale e ai suoi dinamici e propositivi lettori. Grazie a tutti voi!

Partiamo dalla Grecia alla prese con la crisi di bilancio. La Bce ha scelto la linea dura. A torto o a ragione?
«Direi a ragione. Oggi la Grecia non è l'unico Paese europeo ad avere questi problemi. Se venisse salvato dalla Bce o ricevesse finanziamenti privilegiati dalla Ue, gli altri direbbero: perchè Atene si e noi no? L'Irlanda ad esempio ha già tagliato del 20% le spese pubbliche. I greci non hanno scelta: devono trovare da soli, con grandi sacrifici, il modo per ridurre un deficit schizzato al 12,5% e che fino a pochi mesi fa era fermo al 3,5%».
E cosa prevede per le prossime settimane?
«La crisi in Grecia si inasprirà nel breve e lo spread con il Bund aumenterà. Il mercato continuerà a mettere alla prova l'impegno greco, quando ci sarà pieno serio di Atene, lo spread diminuirà. Sullo sfondo c'è un altro problema: quello della competitività. Negli ultimi anni l'economia locale non è cresciuta molto e non sono state fatte riforme strutturali per garantire flessibilità all'economia, necessarie da quando i tassi di cambio sono fissi. Anche l'Irlanda è in crisi, ma perlomeno per un decennio era cresciuta più del mondo.
Inoltre bisogna considerare la Germania, che dopo riunificazione ha affrontato deflazione dolorosa ma necessaria. Oggi non può dire alla Grecia: vi accordiamo uno sconto».
L'uscita della Grecia dall'euro è concepibile?
«L'unione monetaria non contempla un'exit strategy. Se la Grecia dovesse andarsene, dovrebbe ridenominare il debito nella nuova dracma, i tassi schizzerebbero alle stelle. Ci sarebbe il caos. E dunque un effetto domino: altri Paesi finirebbero sotto pressione. Rischieremmo una crisi simile a quella della Lehman. Ma quella di Atene per l'euro è solo una battaglia, la guerra non è ancora vinta».
Che cosa intende?
«La storia dimostra che nessuna unione monetaria è durata senza unità politica e fiscale. Può darsi che l'euro rappresenti l'eccezione, ma solo se i Paesi continueranno a rispettare Maastricht. Anche la California è in bancarotta, e la California pesa molto più della Grecia, ma non è uno Stato sovrano e il governo federale può soccorrerla trasferendo fondi. L'Eurozona invece non ha questa flessibilità. Dunque la crisi in Grecia sta mettendo in luce i limiti dell'euro».
Roubini da giorni avverte: attenti alla crisi del debito pubblico europeo. Anche di quello italiano?
«No, avete da tempo un debito enorme, ma siete diventati virtuosi. In questa crisi siete riusciti a mantenere i conti sotto controllo e il deficit è aumentato molto meno di altri Paesi. In più avete un basso indebitamento delle famiglie e non c'è stata la bolla dei mutui. I problemi sono altrove».
E dove?
«Il debito di Francia e Germania è cresciuto molto, ma sono in grado di assorbirlo. I Paesi a rischio sono Irlanda, Spagna e Portogallo; oltre alla Grecia, naturalmente».
Anche Gran Bretagna e Usa si sono indebitati...
«Ma possono stampare moneta. E anche giocare con la leva fiscale, aumentando le tasse, mentre in Europa la pressione fiscale è già molto alta. La Banca d'Inghilterra ha salvato il sistema bancario stampando moneta, per questo la sterlina è crollata. Ora il rischio è l'inflazione. Anche negli Usa i problemi saranno sempre più seri se non ci saranno correzioni, ma in entrambi Paesi dibattito è già su come gestire il deficit. Si parla di investimenti da tagliare, della questione fiscale. Obama lo ha ribadito nel discorso sullo Stato dell'Unione. La coscienza del Paese è cambiata».
Nel 2009 il pessimismo dilagava, e Roubini vedeva nero., Invece i mercati...
«Roubini ha visto per primo e giustamente la crisi finanziaria americana e il suo rischio sistemico. Ci ha azzeccato nel 2007 e nel 2008. ha avuto la vista molto lunga. Nel 2009 abbiamo sottovalutato l'impatto degli stimoli fiscali e monetari. I mercati sono andati bene, ma siamo convinti che la ripresa del mondo occidentale sarà anemica.
E dunque cosa aspettarsi nel 2010?
«Non sarà come le altre recessioni del dopoguerra. Nonostante rally recente resta un'enorme distruzione di ricchezza, considerando l'immobiliare e l'azionario, di circa del 40%.Il problema è che il livello di indebitamento complessivo non è sceso, perché gli Stati sono messi peggio. Il debito pubblico ha sostituito quelli bancari e privati. Fannie e Freddie sono stati di fatto nazionalizzate. Anche se non c'è crisi sui titoli di Stato dell'America e dei grandi Paesi occidentali, il debito peserà a lungo sulle economia occidentali. Due ipotesi. Crescita lenta o più inflazione e tassi più alti».
I nostri lettori chiedono consigli pratici per investire i propri risparmi...
«I margini per una crescita ulteriore dei mercati oggi sono ridotti. Nel 2009 le Borse sono salite grazie ai piani di stimolo e ai tagli dei posti di lavoro. I primi si stanno esaurendo. Tagliare posti è logico e ti permette di difendere gli utili nel breve periodo, ma ha un limite. Non si può farlo per sempre. E ha un costo molto alto: più tagli, più danneggi l'economia reale, più ritardi la ripresa, tagliano i redditi delle famiglie.Da ora la crescita del S&P dipenderà dall'aumento del Pil. Sui mercati prevedo più volatilità con un alto rischio di correzioni. Per la prima parte dell'anno, vedo gli asset americani più brillanti degli altri Paesi industrializzati e dollaro più forte. Ma dopo calo. Per i mercati emergenti il contrario, siamo ottimisti sul secondo semestre. e i secondi non possono proseguire all'infinito. Dunque solo l'aumento del Pil potrebbe sostenere gli indici, ma secondo noi la ripresa sarà anemica».
La Cina è un mistero: crede al rischio di una bolla?
«Sì, il problema è che la Cina non può far raffreddare l'economia. Il suo modello richiede alti tassi di crescita perché altrimenti emergerebbero forti problemi sociali, di disoccupazione, e in ultima analisi di stabilità politica. E dunque deve tenere il remimbi ancorato al dollaro. Ma questo perpetua le distorsioni. Per continuare a difendere il tasso di cambio deve incrementare di molto le riserve e in questo modo alimenta la corsa sia dell'immobiliare che borsistica. Se non lasci fluttuare il remimbi il rischio di bolla aumenterà. E' già capitato negli Usa negli anni Venti e in Giappone negli anni Ottanta. Scenario: Bosa sale ancora alle stelle, poi crash e deflazione.Non è problema immediato, ma nemmeno lontanissimo».
La crisi finanziaria è stata superata davvero o è stata solo camuffata?
«Oggi non c'è più il rischio di fallimento grandi banche, ma le passività sono ancora enormi, noi le stimiamo a 1 trilione di dollari; inoltre l'immobiliare commerciale è un problema negli Usa e in Europa. Dunque non sono ancora in grado di prestare soldi ai privati e alle aziende».
La gente ha impressione che non ci sia più correlazione tra l'economia reale e quella finanziaria. Come riequilibrare la situazione?
«Lo scollamento tra andamento degli indici e la disoccupazione o la crescita del Pil è tipico dei cicli economici. Questa volta però siamo in una situazione davvero particolare. PerchÉ il sistema bancario è stato salvato dallo Stato e perché la disoccupazione e di lungo periodo. Inoltre è passato il concetto "tto big to fail". Se sei grande o capace di condizionare il sistema in caso di problemi sarai salvato dallo Stato, il che incoraggia comportamenti irresponsabili. Dunque per rispondere alla sua domanda occorrono delle riforme in profondità»
Le riforme proposte dal consigliere di Obama Paul Volcker la convincono?
«Sono un passo nella giusta direzione. Sbaglia chi critica le misure contro gli Hedge Funds e le altre misure, sostenendo che non hanno provocato la crisi.Basta anadare a vedere cos'è successo a Bear Sterns. Ma non bastano.
Che cosa suggerisce?
«Bisogna separare di nuovo le banche di investimento da commerciali. E' importante ricordare che negli anni del Glass Steagle Act molte banche sono fallite, ma nessuna di queste ha provocato rischi sistemici, mentre prima e dopo questa legge ci sono stati fallimenti distruttivi. Glass Steagle dà stabilità e riduce rischi. Inoltre: bisogna esaminare attentamente l'nterconnettività. Basta too big to fail. Va ristrutturato anche il sistema bancario ombra. Dunque: rafforzare la singola banca e chiarire chi ha diritto alla rete di supporto e chi no. Banche di deposito possono essere soccorse, le altre no. Le banche commerciali non devono usare le proprie risorse per finanziarie le "banche ombra". E' un processo che richiederà anni».
E nel frattempo che cosa sarebbe necessario per rilanciare l'economia?
«Si potrebbe uscire solo con nuova rivoluzione tecnologica, ecologica, bio tech, eccetera. Ma queste sono cose che un governo difficilmente può creare, lo Stato può agevolare certi sviluppi con legislazioni particolari e rendendo l'economia più dinamica e flessibile. Ma negli Usa e ancor di più in Europa si va nella direzione opposta: più protezione lavoratori, più stato sociale, più tasse, meno spese pubbliche eccetera. Dunque rendendo la rivoluzione tecnologica molto più difficile. L'unica buona notizia è che nel mondo ci sarà più stabilità, e una minor volatilità del Prodotto interno lordo».