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Il riarmo di Tripoli

di Eugenio Roscini Vitali - 04/02/2010

Mentre Washington vende 6,4 miliardi di dollari di armi a Taipei e il direttore della CIA, Leon Panetta, vola in Medio Oriente per portare a termine una doppia missione “segreta” in Egitto e Israele ed organizzare un eventuale intervento militare americano nello Yemen, Mosca e Tripoli si preparano a trattare un affare da due miliardi di dollari. Si tratta di una vendita di armamenti che equivale, in pratica, a 10 dei 25 anni di risarcimento che l’Italia deve alla Libia, almeno secondo quanto stabilito dall'accordo di “Amicizia, partenariato e cooperazione” sottoscritto il 30 agosto 2008 a Bengasi da Berlusconi e Gheddafi.

La notizia, diffusa dal sito israeliano Debka, parla dell’acquisto di quanto di meglio possa offrire oggi l’industria bellica russa nel campo della difesa aerea: i sistemi missilistici terra aria di ultima generazione S-300 PMU-2 Favorit (SA-20B), sono gli stessi che il Cremlino deve consegnare all’Iran e che sono al centro di una difficile contesa diplomatica con Washington e Gerusalemme. Il contratto, stipulato nei giorni scorsi a Mosca durante un incontro tra il premier Vladimir Putin e il Generale Abu Bakr Younis Jaber, rappresentate libico del Comitato provvisorio per la Difesa, prevede la consegna entro la fine del 2010 di otto batterie missilistiche S-300 PMU-2 Favorit, 15 caccia multiruolo Sukhoi Su-35, 8 caccia bombardieri Sukhoi Su-30 MK2, 50 carri armati T-90 e l’aggiornamento dei 145 T-72 libici ancora in servizio.

La Libia sta uscendo da un lungo periodo d’isolamento e da anni di sanzioni che non sembrano però aver indebolito la sua economia e il suo desiderio di tornare a giocare un ruolo importante, non solo in Africa, ma anche nei rapporti tra Medio Oriente ed Occidente. Con Gheddafi al potere da quarant’anni, il rischio politico è praticamente inesistente; nell’ultimo quinquennio il Paese ha rafforzato i rapporti politici ed economici sia  con i con gli Stati Uniti che con i principali paesi europei, in primis l’Italia, che dal 2008 è nuovamente il principale partner dello sviluppo infrastrutturale, sociale e culturale della Jiamahiria Libica.

Un processo di apertura internazionale che, anziché portare alla luce le numerose violazioni contro i diritti umani (denunciate tra l’altro dalle più rappresentative organizzazioni umanitarie) ha raccolto i vantaggi dovuti dall’abolizione delle sanzioni sul settore petrolifero. Nell’arco di pochi anni l’esportazione di greggio e gas naturale ha conosciuto una rapida espansione: basti pensare che nel 2000 il suo contributo alla formazione del PIL rappresentava il 39% contro il 68% del 2007, anno nel quale ha costituito il 98% delle esportazioni e il 90% delle entrate governative.

Sviluppato tra il 1995 e il 1997dalla Almaz Central Design Bureau, industria della difesa che ha disegnato gran parte dei missili russi, l’S-300 PMU-2 è stato concepito per competere con sistemi anti-balistici quali l’S300V (SA-12 Gladiator/Giant), costruito dall’Antey, altra importante industria bellica russa, e il Patriot PAC-2/3, prodotto dall’americana Raytheon. Il sistema modulare Favorit comprende una posto comando 83M6E2, che include un centro di comando e controllo 54K6E2 e un radar 64H62E di sorveglianza e ricerca; un radar 30H6E2 di illuminazione dell’obbiettivo e controllo di fuoco, un sistema di allarme e di acquisizione primaria 96L6E, un gruppo antenna 40B6M e fino a dodici lanciatori 5P85SE. Come sistema d’arma usa i missili 46N6E2, nei quali è stato integrato un algoritmo aggiornato della traiettoria incrementale di volo e d’impatto terminale ed è stata potenziata la capacità di contro-contromisure elettroniche (ECCM). Il sistema, che può gestire simultaneamente fino ad un massimo di 100 tracce, acquisisce obbiettivi in un range di 300 chilometri. Per gli aerei la distanza di ingaggio è di 200-300 chilometri, per i missili 5-40 chilometri; la quota va dai 30 ai 90 mila piedi.

Per Teheran procede ad una immediata attuazione degli accordi presi con la Federazione Russa nel marzo 2009, ed ottenere quindi gli S-300 PMU-2, rimane comunque un obbiettivo possibile: il passepartout si chiama Damasco, che con il Cremlino ha un contratto aperto per l’acquisizione di un numero non ben definito di batterie S-300. Il successivo trasferimento in Iran diventa quindi un dettaglio trascurabile, soprattutto perché a pagare il conto è sempre e comunque la Repubblica Islamica.

Nonostante le pressioni occidentali, la Russia non sembra comunque intenzionata ad interrompere la collaborazione militare con il Paese sciita. A dirlo è Anatoly Isaikin, direttore generale della Rosoboron export, società commerciale di proprietà dello Stato che fornisce armamenti a 70 Paesi, tra cui India, Algeria, Cina, Venezuela, Malaysia, Siria ed ora anche Libia.

In un’intervista pubblicata dall’agenzia di stampa ITAR-TASS, Isaikin ha dichiarato che la compagnia non vede alcun problema nella fornitura dei sistemi missilistici S-300: “Sono armi di difesa, non di attacco. Vorrei trasmettere questo pensiero agli organismi ufficiali, facendo per esempio ricorso alle ripetute dichiarazioni fatte dal Servizio Federale russo per la Cooperazione tecnica e militare e dal ministro degli Esteri, Sergei Lavrov”. Dichiarazioni che dimostrano quanto Mosca non abbia alcuna intenzione di recedere da un contratto del valore di svariate centinaia di milioni di dollari, ufficialmente sospeso solo a causa di  sanzioni internazionali che possono comunque essere aggirate.