Non so se mio padre approverebbe, ma forse sì — era una persona giusta, e sapeva quando era il momento di anteporre la ragione alla passione.
Immagino che non se la prenderebbe, allora, lui combattente della RSI, sentendomi per una volta parlare bene del partigiano Sandro Pertini, rispolverando un brano del suo messaggio di fine d’anno del 1983.
Ne è passato, di tempo: e sono cambiate molte cose. Soprattutto c’è stato di mezzo l’11 settembre, che ha impresso una sterzata decisiva verso la realizzazione di quello che gli Stati Uniti, nel 1999, definivano “il nuovo secolo americano”.
Fra le molte cose che sono cambiate dal 1983, è cambiato anche il modo in cui la nostra nazione si rapporta agli Usa e ai loro amici: e non ho bisogno, qui, di citare esempi e riportare link — basta guardarsi intorno.
Come basta guardarsi intorno per capire che parole così, da un presidente della Repubblica o del Consiglio, qui in Italia non ne sentiremo per un bel pezzo.

[…] Io sono stato, amici miei, nel Libano a trovare i nostri bravi ragazzi. Ho passato con loro quella che una volta era la festa nazionale, il 4 novembre. Ho detto scherzosamente: «io non arrivo con i capi di stato maggiore; sono arrivato con cento bottiglie di lambrusco e con cento panettoni». Bravi questi nostri soldati, bravissimi. Ecco, io mi sono chiesto, chiedetevelo anche voi, amici miei: «come mai il nostro contingente non è stato fatto bersaglio da parte di attacchi proditori come il contingente americano o il contingente francese?». Lasciamo la parola ad un osservatore straniero, ad un giornalista del “Washington Post”. Voi sapete che il “Washington post” è un giornale americano molto diffuso e molto serio. Scrive sul suo giornale questo giornalista: «il contingente militare italiano a Beirut si sta comportando molto bene. Si fa amare dalla popolazione ed ha avuto il minor numero di vittime e di danni rispetto ad americani e francesi. Difatti — continua sempre il “Washington Post” — le statistiche sottolineano il livello del successo italiano in Libano. Mentre il corpo dei marines conta finora oltre 240 morti ed i francesi hanno perduto 76 uomini, in 14 mesi gli italiani hanno perduto un solo uomo. Questo malgrado il fatto che il loro contingente è il più numeroso di tutti. Secondo moltissimi osservatori i motivi di questo contrasto sono da ricercare anzitutto nel fatto che a differenza degli americani e dei francesi gli italiani mantengono a Beirut una stretta imparzialità, che offre loro la migliore protezione tra la popolazione libanese. Mentre gli americani sono isolati ed asserragliati nelle loro posizioni intorno all’aeroporto di Beirut, gli italiani pattugliano i vasti sobborghi a meridione della città e controllano con estrema efficacia i campi di Sabra e Chatila, inoltre hanno un ospedale da campo, 24 ore su 24 ore, che cura gratuitamente anche i civili e distribuisce diverse tonnellate di farmaci ogni mese. Tra i contingenti americano, francese e italiano esistono anche differenze militari — continua il “Washington Post” —. Mentre i cannoni americani lo scorso anno hanno fatto piovere tonnellate di esplosivo sui ribelli trincerati sulle montagne, ed i jet francesi la settimana scorsa hanno scatenato la rappresaglia sugli sciiti, finora gli italiani sono rimasti al di sopra delle parti, continuando a difendere il loro ruolo di forza di pace. Uno dei punti a favore del contingente italiano è anche il loro ospedale da campo — aggiunge il quotidiano —. Ha 75 posti letto che devono servire solo ai militari, invece ogni mese cura più di mille cittadini del posto».
Ecco la differenza fra noi ed i francesi e gli americani messa in evidenza da un giornale americano di grande tiratura. Io ne vado orgoglioso. Si brama sempre dire che le altre nazioni sono superiori alla nostra, lo dicono anche degli italiani, ma qui diamo prova di buon senso con i nostri soldati. Io li ho visitati questi soldati, bravi, generosi. Ricordo che si è stretto a me quello che viene considerato un po’ la “mascotte” del contingente. È un ragazzo palestinese che ha imparato benissimo l’italiano. Mando il mio saluto paterno a questo caro ragazzo, Mustafà . E questi soldati, sotto la guida del bravissimo generale Angioni, cercano veramente di fare opera di pace in quella tormentata regione. Adesso sono partiti i palestinesi. Ha avuto inizio la loro “diaspora”. Una volta furono gli ebrei a conoscere la “diaspora”. Vennero dispersi, cacciati dal Medio Oriente e dispersi per il mondo; adesso sono invece i palestinesi. Ebbene io affermo ancora una volta che i palestinesi hanno diritto sacrosanto ad una patria e ad una terra come l’hanno avuta gli israeliti. […] Dico questo perché sia il contrasto che vi è oggi, coperto dal silenzio, tra l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti d’America, sia quanto avviene nel Libano può sempre minacciare la pace nel mondo e può farci cadere quindi nella guerra nucleare. Io sono decisamente contrario a che il nostro contingente sia coinvolto nel Libano in una guerra, sia pure locale. Se il nostro contingente può svolgere opera di pace, rimanga in Libano, ma se nel Libano si creano condizioni tali da scatenare un conflitto, noi dobbiamo togliere il nostro contingente e lasciare a Beirut soltanto l’ospedale da campo. Questo è il mio pensiero personale, che non vuole influire sul pensiero del governo. Io sono stato, ripeto, nel Libano. Ho visitato quella tormentata regione, i cimiteri di Chatila e Sabra. È una cosa che angoscia vedere questo cimitero dove sono sepolte le vittime di quel massacro orrendo. Il responsabile di quel massacro orrendo è ancora al governo in israele. E quasi va baldanzoso di questo massacro fatto. È un responsabile cui dovrebbe essere dato il bando della società. È stato un massacro, mi hanno detto quelli del posto, tremendo; quante vittime ha fatto! […]