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Al ritmo di jazz, la leggenda di Buscaglione

di Marco Iacona - 04/02/2010

Ferdinando detto Fred, Buscaglione. Può piacere o non piacere (e a noi piace perché era un artista novecentesco nato, col ritmo che gli galoppava dentro e perché si esibiva con stile e ironia), ma di una cosa nessuno potrà mai dubitare. Che il suo talento fosse grande-grande-grande. Paragonabile a quello di un Domenico Modugno e soprattutto di un Renato Carosone, due di quegli artisti cosiddetti diversi che hanno fatto la storia della musica italiana introducendo da noi lo swing e andando al di là del tradizionale melodismo di casa nostra. Fred Buscaglione se ne andava proprio cinquant'anni fa come prima e dopo di lui solo le leggende. Quelle grandi e quelle più piccine da Albert Camus a James Dean a Rino Gaetano, passando per gli artisti jazz dalla vita spericolata. Moriva infatti a Roma all'alba del 3 febbraio del 1960 in un incidente stradale schiantandosi a forte velocità contro un camion con la sua Ford "Thunderbird" di color rosa dopo una notte passata al Night e al ristorante. Fratture multiple ed emorragia interna le cause del decesso; passanti e conducente del camion tenteranno di salvarlo fermando perfino un autobus (il 99) per trasportarlo in ospedale. Nulla da fare...
Proprio la mattina della morte Fred era atteso da impegni cinematografici e televisivi (pubblicità con la stella di prima grandezza della "dolce vita" italiana, Anita Ekberg), e chissà poi - amatissimo da donne e uomini anche non più giovanissimi - quante altre cose... Una fine da star quella di Buscaglione. Come i personaggi "borderline" protagonisti delle canzoni (le cosiddette criminal song: dalla "mitica" Eri piccola così a Teresa non sparare da Porfirio Villarosa a Che bambola) che gli avevano assicurato un meritatissimo successo. Canzoni nelle quali mescolando canto e recitazione («con quella voce roca che mi ritrovo so far tutto tranne che cantare», diceva di se stesso…), l'artista torinese aveva previsto la fine tragica del bulletto di turno - cioè ancora di se stesso - circondato dalle immancabili "pupe", donne ora difficili, ora gelide ora perfino violente. Canzoni scritte con il fraterno amico, torinese anch'esso e geniale paroliere, Leo Chiosso.
Adesso quella stessa Torino che aveva assistito dapprima quasi silenziosa alle sue prime esibizioni nei locali del centro-città, gli dedica la più importante delle manifestazioni per questo importantissimo anniversario ("Sotto il cielo di Fred" da oggi 3 febbraio 2010), con documentari, mostre fotografiche, film e premi musicali. E lo fa con legittimo rimpianto, non solo per la sua prematura morte ma anche per non essere riuscita a capire in tempo quell'arte che anticipava tempi che sarebbero venuti molto più in là. Tempi ove ironia, bellezza e "vita spericolata" avrebbero offerto finalmente una nuova immagine dell'Italia non più oppressa da vecchie ferite e contrapposizioni. Gli anni Ottanta e poi oltre, per dirne una, vedranno il risorgere non solo di certi ritmi "swingati" con Sergio Caputo (che di Buscaglione può essere considerato il continuatore, le copertine dei suoi primi dischi e certi pezzi, Sabato italiano, Bimba se sapessi, Italiani Mambo, sono citazioni esplicite), come di certe atmosfere di Paolo Conte, ma anche di alcuni dei rockettari di casa nostra da Vasco Rossi (lo ricordava Roberto Alfatti Appetiti sul nostro Secolo) a Ligabue che sembreranno in tutto e per tutto tratti da brandelli di vita di Fred il randagio.
È ovvio dunque che i moralisti degli anni Cinquanta non amassero granché Buscaglione (ah, quanti!) e la ragione era apparentemente facile. Quella del cantante dal "whisky facile" era una vita imprudente digeribile come una pietra a colazione; Buscaglione tirava tardi la sera (un locale dopo l'altro…), fischiava alle donne e negli ultimi periodi si era perfino allontanato dalla moglie, la marocchina Fatima Robin's al secolo Fatima Ben Embarek, un'artista peraltro assai singolare (acrobata e contorsionista); il peggio che potesse andare in giro per le tranquille città d'Italia dunque. Gli stessi moralisti chiudevano gli occhi dinanzi alla vicinanza di Fred ai francescani catalogandolo esclusivamente come il cantante della "dolce vita", come il perfetto rappresentante di un nuovo modo (un modo "scapestrato") di interpretare la vita. Si rilegga per esempio quello che scrisse Orio Vergani il giorno dopo la morte di Buscaglione sul Corriere della Sera.
Ma Buscaglione era tutt'altro che uno sprovveduto, e aveva faticato non poco prima di arrivare al successo. Da bambino vivacissimo aveva studiato musica con serietà, si era diplomato in violino e suonava molti altri strumenti. Di famiglia non ricca (papà imbianchino, mamma portiera di uno stabile), aveva iniziato nella Torino cosmopolita come suonatore di jazz, un genere che non avrebbe mai cambiato per nessun altro al mondo. Dopo aver completato il giro dei locali ed essersi esibito in radio grazie al maestro Cinico Angelini, è il contatto con i soldati americani a fine guerra, in Sardegna. Poi Buscaglione fonda un complesso, gli "Asternovas", e se ne va in giro per l'Europa. Per dieci anni e forse più, tuttavia, nessuno si accorge di lui. I Cinquanta trascorrono così fra alti e (soprattutto) bassi. Buscaglione lavora come cantante nella sua città non raccogliendo grandi onori (ma per un giovane che in passato ha trovato occupazione come semplice fattorino, tutto sommato può andar bene così). Si esibisce sovente "Al Faro" storico locale del centro torinese, dove ha lasciato il ricordo di serate trascorse fra alcol, jazz e belle donne. Seconda metà del decennio. C'è la prima importante svolta, che si deve al maggiore "sponsor" oltreché grande amico di Buscaglione: Gino Latilla, cantante in voga a quel tempo. Latilla crede in Fred (le cronache raccontano che andasse in giro con i dischi di Buscaglione dentro il baule della macchina e li offrisse a questo e a quello) e si danna l'anima affinché anche Buscaglione possa entrare di dirittotra gli artisti che contano. Alla fine - e siamo già nel 1956 - riesce a fargli pure incidere i dischi più importanti. La gloria quella vera arriverà però alla fine dei Cinquanta quando cioè Ferdinando ha oramai 38 anni (era nato nel 1921). Il lungo periodo di gavetta si è concluso e non ha fiaccato né la forza dei suoi sogni né la voglia di emergere del giovane musicista. Un successo arrivato in piena età "tecnologica" (virgolette necessarie), quando peraltro tv, radio e juke box (paragonabili al successo a un reality show di oggi) hanno preso a trasmettere i suoi successi uno dietro l'altro, con il nostro a vagare fra studi televisivi, cinematografici, sale d'incisione e Night club oramai preso dal vortice di una carriera che fino all'alba del 3 febbraio sembrava inarrestabile. Nel 1959 erano usciti ben otto film con Buscaglione-attore, mentre i dischi più belli che precedevano di qualche anno il periodo della sua affermazione erano suonati a più non posso. Buscaglione è quasi onnipresente, la sua figura caricaturale da personaggio "noir", da duro e simpatico piace e si impone, ma lui stesso (secondo le ultime interviste che rilascerà prima di morire), comincia a stancarsi della vita da "gangster amerikano"… È l'inizio della sua fine "terrena".
Il successo senza tempo di Buscaglione sembrava già scritto nel destino delle sue canzoni-record. Canzoni che Vittorio Sgarbi qualche anno fa descrisse come vere e proprie poesie del Novecento (e peraltro straordinariamente recitate), grazie all'efficacissima descrizione di ambienti e situazioni; vere e proprie vignette di un fumetto insomma che rimarranno impresse nella mente di chi sfoglierà le pagine dell'album della musica italiana. Un vero artista del Novecento, Buscaglione: la sua immagine aveva finito per precedere la sua creatività, il suo mestiere di artigiano musicale. Proprio alla fine del suo viaggio l'Italia scoprirà di soffrire per quell'artista un po' anarchico un po' sentimentale che si ispirava a un Novecento in bianco e nero, licenzioso e gagliardo.
È rimasta così nel ricordo di tutti la piazza torinese che assistette al suo tristissimo funerale. Prima di lui solo per il grande Torino si era vista una folla così grande. Un mito in tutti i sensi moriva e rinasceva proprio in quel pallido inverno del 1960...