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Crisi globale. Istruzioni per l’uso

di Umberto Bianchi - 08/02/2010

Sono esattamente passati trenta mesi dall’inizio di quella che, non senza euforia, viene definita la più grave crisi economico-finanziaria degli ultimi cinquanta anni. E’ vero: va dato atto che i vari governi occidentali e non, si sono dati da fare (anche se in ritardo) per cercare di limitare al massimo i danni arrecati dalla tempesta finanziaria scatenatasi a seguito della crisi legata ai mutui USA. Il governo italiano, per mano del ministro dell’Economia Tremonti ha spiccato in tal senso per proposte ed intraprendenza.

E’ altresì vero che Oltreoceano Obama ha tuonato contro banche e banchieri, promettendo ed annunciando nuovi e più incisivi provvedimenti atti ad arginare lo strapotere degli istituti di credito, ora sul banco degli imputati per la recente crisi. Le apparenze, le belle parole e le buone intenzioni sinora generosamente profuse, non debbono però trarci in inganno su un “però” che grava come un macigno su tanto bel concionare.

Punto primo. I vari Obama, i Tremonti e compagnia bella, oggi puntano il dito sui manager e le loro astronomiche retribuzioni (anche qui, a dire il vero oggetto delle critiche non sono tanto queste ultime, quanto i premi di produzione ad esse connesse, sic!), come se l’indebitamento delle banche fosse causato da questi ultimi, che paiono assurti all’inverecondo ruolo di oscuri burattinai che, invece, spetta a ben altri personaggi. A tirar le fila di tutti questi bei guai, non possono essere quelli che altro non sono che dei semplici dipendenti, anche se profumatamente retribuiti. Dietro ai vari manager c’è sempre un gruppo di pressione, una proprietà che tira le fila e ne ispira l’azione, a seconda delle proprie occulte necessità strategiche. Il manager, di tali strategie, è il fedele interprete e quindi addossare sulle sue spalle l’intera responsabilità di una crisi è quanto di più sciocco ed in mala fede si possa fare. La soluzione del problema va cercata a monte, cioè colpendo il potere dei grandi centri di interesse finanziari.

Punto secondo. Ora il dibattito si va concentrando su un altro punto focale. Ridimensionare le grandi banche o, piuttosto, dividerne le varie funzioni e settori operativi, arrivando addirittura alla realizzazione di contabilità separate per meglio controllare le singole attività ed evitare, quanto più possibile, investimenti a rischio? Anche qui, ci troviamo di fronte ad un’ altra domanda insensata. Pensare di ridurre le dimensioni di una banca lasciandone unite le funzioni operative o, viceversa dividerne le varie funzioni lasciandone intatte le grandi dimensioni, senza agire sul problema a monte, ovverosia i grandi gruppi di pressione finanziaria che ne stanno alla base è come dare un’aspirina ad un malato di cancro, ovverosia serve a poco o nulla. Altra nota dolens. Qua e là su qualche grande quotidiano nazionale, (vedi Repubblica) sembra che tra le righe traspaia una sensazione di soddisfatta quiescenza di fronte al fatto che a Davos il vice premier cinese Li Qekiang, abbia fatto sfoggio delle performances in termini di crescita di PIL (8% annuo) ottenute nel corso del 2009 dalla Cina. Il nostro, non senza soddisfazione, avrebbe annunciato che la Cina si farà locomotore della ripresa mondiale, creando un mercato interno di consumatori, a patto che nessun si azzardi a frapporre alcuna legittima barriera tra di sé e gli impetuosi interessi cinesi.

Tutto questo, mentre ci si dimentica che Cindia (Cina –India) assurta oggidì a nuova locomotrice dell’economia mondiale, hanno investito tanto, tantissimo nei titoli del debito pubblico USA. Facciamo l’ipotesi, oggidì non tanto ipotetica, di una nuova crisi che stavolta colpisse ben benino il dollaro. In un attimo “Cindia” si troverebbe tra le mani un bel sacco di carta straccia, trascinando sé stessa ed il mondo intero in una rovinosa ed ingloriosa caduta. Non solo. Economisti come Nouriel Roubini, Jacob Frenkel, Joaquin Almunia, Domenico Siniscalco, Kenneth Kogoff, Moises Naim, interpellati da Repubblica, concordano nel dire che 1) la ripresa economica non sarà né facile né rapida 2) l’esistenza di un duopolio USA-Cina non è assolutamente accettabile 3) l’Europa deve quindi trovarsi assolutamente un ruolo di rilievo nello scenario degli equilibri macro economici mondiali.

Ed anche qui si ragiona fingendo di ignorare il problema di base. Non è con semplici provvedimenti strutturali che si colpiscono i poteri forti dell’economia, né auspicando una quanto mai vaga e fumosa presenza dell’Europetta degli euro burocrati sul proscenio, né confidando sulle aperture di mercato cinesi. Sarà solamente attraverso il netto rifiuto del sistema economico globale o, quantomeno, attraverso un suo costante ma continuo ridimensionamento, che l’Europa e le sue nazioni, ed il resto del mondo potranno meglio tutelarsi dagli sbalzi umorali di un mercato oramai lasciato completamente a sé stesso. La totale revisione degli accordi Gatt attraverso una graduale ri-localizzazione dell’economia, tramite il ritorno sul proscenio del primato della politica imperniato sul ruolo centrale della nazione. L’intervento mirato dello stato nell’economia e nella finanza attraverso l’estromissione delle banche private dalla gestione delle banche centrali, ponendo in tal modo fine all’infame meccanismo del signoraggio sull’emissione di danaro. Utopia? Sciocco idealismo? Forse, ma sicuramente minore di quello dei vari cervelloni dell’economia che credono di fregare le banche ed i centri di potere occulti dell’alta finanza con la politica delle buone intenzioni.