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Israele vuole unirsi alla NATO

di Galal Nassar - 09/02/2010

   
Israele vuole unirsi alla NATO
Israele vuole essere un membro della NATO. Non si atteggia più verso i suoi alleati militari. Non vuole più rimanere al margine delle organizzazioni militari dell’Occidente. Vuole esserne parte. Una maggioranza israeliana ritiene che una tale adesione rinforzerebbe allo stesso tempo la sicurezza d’Israele e la potenza strategica della NATO. Stranamente, non c’è alcuna reazione araba a tale volontà, alcun tentativo arabo di bloccare l’iniziativa e alcun preparativo per far fronte alle sue conseguenze.
Israele e la NATO si sono sviluppati avvicinandosi nel corso di questi ultimo dieci anni. Nel 2000, la NATO ampliava il suo dialogo mediterraneo negoziando con sette paesi del Medio Oriente e dell’Africa del Nord, e cioè Egitto, Israele, Algeria, Giordania, Marocco, Tunisia e Mauritania. Nel 2004, i negoziati NATO/Mediterraneo si svolgevano sotto la designazione di Partenariato per la Pace. Sei nuovi paesi erano inclusi in questo nuovo dialogo: Bahrein, Kuwait, Oman, Qatar, Arabia Saudita e Emirati Arabi Uniti. Israele, in particolare, premeva per approfittare di tutte le possibilità che il Partenariato per la Pace poteva offrire.

Il 24 febbraio 2005, Jaap de Hoop Scheffer, segretario generale della NATO, si recò in Israele. Nel mese seguente, la NATO ed Israele effettuarono le loro prime manovre congiunte nel mar Rosso. In qualche settimana, una flottiglia di sei navi della NATO si presentò al porto israeliano di Eilat. Israele (e la Giordania) partecipò, sempre per la prima volta, a delle manovre militari congiunte che si svolsero nell’ambito del programma di Partenariato per la Pace, in Macedonia, nell’ex-Jugoslavia, nel febbraio 2005.

Secondo il periodico militare britannico, Jane’s, la “posizione geografica” dello Stato ebraico fornirebbe alla NATO una base estera per difendere l’Occidente, mentre la potenza militare ed economica di quest’ultima avrebbe la capacità di accrescere la sicurezza e il potenziale economico del “paese d’accoglienza”.

Nel giugno 2005, Israele partecipò a delle operazioni sottomarine al largo delle coste di Taranto, in Italia. All’epoca, alcune fonti U.S. indicarono che Israele cercava di ampliare il “campo delle sue alleanze strategiche” con la NATO, nella prospettiva di una totale partecipazione a quest’ultima. Le forze di terra israeliane parteciparono anche a delle manovre della NATO per due settimane e mezzo in Ucraina. Nel 2006, Israele dichiarò alla NATO che intendeva partecipare “attivamente agli sforzi operazionali” gestiti nel Mediterraneo, e dunque, alla campagna per “fronteggiare il terrorismo”.

Poco dopo, Israele accolse e prese parte a tre esercitazioni militari con la NATO e assistette ad una conferenza dei comandanti delle forze aeree atlantiche. Il Wall Street Journal parlò di legami saldati tra NATO ed Israele. Il giornale citava Uzi Arad, fondatore del Forum Atlantico d’Israele, il quale affermava che Israele trarrebbe profitto da un’adesione di questo tipo. Il Washington Post, dedusse che numerosi paesi in Europa sostenevano la partecipazione d’Israele, ma attendevano che Washington proponesse una tale iniziativa.

La posizione di Washington sulla questione apparve chiara nel marzo 2006, quando James Jones, allora comandante in carica della NATO in Europa, dichiarò che lo spiegamento di aerei AWACS (Airborne Warning And Control System, Sistema di Controllo e Allarme Aviotrasportato) della NATO in Israele “era un chiaro segnale all’Iran”. Nel maggio 2006, otto unità della marina della NATO giunsero ad Haifa per dimostrare “la crescente cooperazione” tra quest’ultima Israele. A fine giugno 2006, la commissione degli affari esteri della Camera dei Rappresentati adottò una decisione mirante a rinserrare i legami Israele-NATO. Da allora, essi accettavano un progetto a lungo termine per cooperare su 27 siti nel mondo. Israele divenne così il primo paese non europeo ed il primo paese del Medio Oriente a cooperare con la NATO ad un livello così cruciale.

Due mesi dopo la fine della guerra del 2006 in Libano, si tenne a Herzliya un seminario sulle relazioni NATO-Israele. Assisté a questo seminario il ministro degli affari esteri del tempo Tzipi Livni, la quale dichiarò che Tel Aviv avrebbe preferito che l’organizzazione atlantica “facesse il lavoro che Israele ha fatto in Libano”. E aggiunse che Israele sperava di partecipare alle iniziative locali e regionali della NATO. Il segretario generale aggiunto dell’alleanza, Alessandro Risso, rispose precisando che la presenza di un ufficiale delle relazioni israeliane al quartier generale della NATO a Napoli era un segnale della “cooperazione capitale” tra la essa e Israele.

A fine 2006, Israele ottenne un “accordo di partenariato” con la NATO che, fino a quel giorno, aveva più peso di ogni altro accordo concluso con un paese non europeo. Eppure, molti in Israele e in Occidente continuarono a fare appello ad un’appartenenza totale d’Israele all’alleanza nord atlantica. Un analista politico russo, Eduard Sorokin, avvertì che Washington utilizzava la possibilità di un’adesione alla NATO come mezzo per obbligare i paesi arabi a rimanere vigili. Secondo la Carta della NATO, un’aggressione contro un membro della NATO è considerata come un’aggressione contro tutti i suoi membri. Così, ogni futuro conflitto tra Israele e i suoi vicini potrà innescare un conflitto regionale più largo e, potenzialmente, una guerra mondiale, concludeva Sorokin.

Il Jerusalem Post indicò che dei legami più stretti tra Israele e NATO erano essenziali nel caso di un “futuro confronto con l’Iran” (1 aprile 2008). In realtà, Netanyahu voleva che Israele entrasse nell’alleanza prima che iniziasse il suo secondo mandato di primo ministro. Successivamente, egli ha fatto dell’adesione d’Israele alla NATO un oggetto centrale della sua politica.

Il 13 gennaio 2009, il Jerusalem Post segnalò che Israele lanciava “un’iniziativa diplomatica” mirante ad influenzare l’ex segretario di Stato U.S., Madeleine Albright, nel suo riesame della politica della NATO. Nel gennaio 2009, alcune autorità israeliane incontrarono Albright a Oslo per discutere della nuova strategia atlantica. Durante questa riunione, gli israeliani espressero il desiderio di stringere i loro legami con la NATO e domandarono di partecipare alle riunioni ad un più alto livello.

A Washington, alcuni dichiararono che una volta che Israele sarà accettato come membro effettivo della NATO, è quest’ultima che dovrebbe allora prendere in carico le missioni di sicurezza in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Queste considerazioni non sono così forzate, se si tiene conto del fatto che il presidente Mahmud Abbas ha dichiarato in passato che non sarebbe una cattiva idea se gli americani negoziassero con Israele in nome dei palestinesi.

James Jones, consigliere alla Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti, che fu comandante della NATO in Europa dal 2003 al 2005, affermò che si era occupato dell’elaborazione di un progetto tendente al controllo dei Territori Palestinesi occupati nel nome di Israele. Nello spirito di questo progetto, ciò implica un mantenimento dell’ordine reale sulle zone palestinesi.

Prima che fosse lanciata l’operazione Piombo Fuso a Gaza, la NATO scambiava già delle informazioni con Israele, condividendo le sue competenze in materia di sicurezza, e organizzando delle esercitazioni militari. I due cooperarono anche nel programma di non proliferazione. L’ex-dirigente dell’alleanza, Sheffer, si è recato in Israele nel pieno dell’offensiva israeliana contro Gaza. E alcune autorità della NATO, all’epoca, furono dell’avviso che una cooperazione con Israele era necessaria per la loro organizzazione.

Sappiamo tutto quello che occorre sapere circa la cooperazione NATO-Israele. Quello che ignoriamo, è ciò che i dirigenti arabi hanno intenzione di fare in proposito.

Al-Ahram Weekly

4-10 febbraio 2010, pubblicazione N°984

(traduzione di Matteo Sardini)