Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Le multinazionali che lasciano l'Italia. Il caso Glaxo e la ricerca usa e getta

Le multinazionali che lasciano l'Italia. Il caso Glaxo e la ricerca usa e getta

di Pietro Greco - 11/02/2010

  
 


La GlaxoSmithKline, multinazionale inglese del farmaco, non recede. Nei giorni scorsi ha annunciato la chiusura, tra Europa e Canada, di cinque centri di ricerca, con il taglio di 4.500 ricercatori. Tra loro c’è il centro di Verona, che conta circa 600 ricercatori. Malgrado le proteste e le proposte di soluzione alternativa, la società ha confermato la decisione e a Verona saranno quasi in 500 i ricercatori, ottimi, a perdere il posto.  La decisione della multinazionale non è causata da motivi specifici che riguardano l’Italia. La Glaxo ha deciso di abbandonare (o, forse, di delocalizzare) la ricerca nel campo delle neuroscienze. E, purtroppo, il centro di Verona ha il suo nucleo di attività proprio nel campo neuroscientifico, con ricerche sul dolore, la depressione, i disturbi del sonno, le dipendenze da droghe, alcol e fumo. In ogni caso, per noi si tratta di una nuova grossa perdita in un settore – la ricerca industriale – in cui siamo fanalini di coda in Europa. Una perdita difficile da accettare, perché viene da un’azienda florida – lo scorso anno ha maturato utili per oltre 2 miliardi di euro, aumentandoli del 66% rispetto al 2008 – ottenendo in Italia ben 24 milioni di euro di fondi pubblici proprio per sviluppare i suoi progetti di ricerca. La vicenda offre alcuni insegnamenti. Il primo è che le grandi multinazionali – in campo farmaceutico, ma non solo – sono di fatto irresponsabili: nel senso che non rispondono a nessuno dei loro comportamenti. Possono chiudere una fabbrica che produce in attivo o un centro di ricerca di grande prestigio – come quello di Verona – per motivi che sfuggono alla logica, compresa la logica economica. Il secondo insegnamento è che i privati portano sì risorse ingenti, talvolta molto ingenti, alla ricerca scientifica (i due terzi delle risorse finanziarie a disposizione della ricerca nel mondo vengono da privati): ma queste risorse alimentano una ricerca senza serenità. Perché è una ricerca che deve produrre risultati immediati e rispondenti a esigenze che possono essere difficili da capire. Il terzo insegnamento riguarda la geografia della ricerca. Secondo voci, peraltro smentite a Verona, la Glaxo chiuderebbe i cinque centri di ricerca in Europa e in Nord America, per aprirne di nuovi in Cina. Non sappiamo se questa voce sia vera. Certo è verosimile. L’Europa e il Nord America stanno perdendo appeal per la ricerca industriale, a tutto vantaggio dell’Asia. E della Cina in particolare, Paese dove lo sviluppo della scienza e dell’innovazione tecnologica prosegue da un decennio a ritmi impressionanti. È lì la nuova frontiera. E le imprese vi si affollano. Occorre che l’Europa prenda atto della nuova geografia della ricerca. E sviluppi politiche conseguenti, se non vuole restare fuori dall’economia della conoscenza.