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La libertà del pensiero unico

di Massimiliano Viviani - 11/02/2010

    



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L'epoca moderna è l'epoca della libertà. Tale principio è stato enfaticamente espresso dall'Illuminismo e dai rivoluzionari francesi, e più recentemente ancora ripreso dalla Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo dopo la Seconda Guerra Mondiale. La libertà informa ogni aspetto della nostra vita: dalla libertà di azione e di movimento alla libertà di pensiero, di espressione e di associazione, siamo obiettivamente partecipi di una molteplicità di possibilità e di scelte che in passato non potevano neppure immaginare. Questo è un dato oggettivo incontestabile, uno dei pilastri su cui i sostenitori della modernità fondano la loro difesa contro i suoi detrattori. Tuttavia vi è nell'uomo moderno un disagio e un'inquietudine che con tale libertà non si accordano bene: se fosse questa davvero l'era della libertà finalmente conquistata -o meglio, delle libertà come si dice talvolta- ben altra dovrebbe essere la soddisfazione dell'uomo contemporaneo. In effetti la sensazione che si respira nella vita di oggi è quella di una schiavitù sottile, impercettibile, impalpabile, che non risparmia neppure gli uomini più inseriti nel meccanismo, ma che non si riesce bene a identificare.
Quando si sostiene che nella modernità da una parte c'è una libertà diffusa di azione e di pensiero, ma dall'altra è in atto un processo di omologazione planetario e di appiattimento delle coscienze, sembra di stare di fronte ad una contraddizione. Ma non è così, perchè libertà e omologazione sono entrambi espressione di quel fenomeno tipicamente moderno chiamato totalitarismo. Per comprendere ciò, è utile capire la differenza tra pensiero dominante e pensiero unico, laddove il primo è caratteristico delle realtà tradizionali, il secondo dell'epoca moderna.
In ogni società tradizionale c'è sempre stata una forma di pensiero con la quale tutte le altre forme si dovevano confrontare e sulla quale si misuravano. Ciò significava che ogni altra visione delle cose e del mondo doveva evitare di porsi esplicitamente in contrasto con tale pensiero dominante. Di fatto, la diversità di pensiero veniva accettata come naturale. Non vi era la volontà di cancellare tali diversità. C'era solo la preoccupazione che una naturale pluralità di vedute non si trasformasse in un caos o che non minasse l'ordine costituito e l'autorità politica. In fondo, tale impianto era il medesimo della struttura feudale della società.
Caratteristico della modernità invece è il pensiero unico, ossia un controllo complessivo dell'individuo e della società finalizzato all'eliminazione di ogni forma di diversità, controllo portato dall'esterno nei regimi dittatoriali (comunismo, fascismo, nazismo) ma meglio ancora dall'interno attraverso la manipolazione delle menti come accade nella liberal-democrazia in cui viviamo. Quest'ultima forma di controllo è davvero "all'avanguardia" rispetto a quella caratteristica delle vecchie dittature del Novecento: la liberal-democrazia infatti agisce direttamente sul pensiero e sui desideri inconsci dell'uomo e non sull'azione esterna, e quindi è molto più pervasiva ed efficace, perchè non elimina le dissidenze con la repressione, ma fa in modo che sia l'individuo stesso a richiedere di conformarsi "naturalmente" e "liberamente" ad un modello unico -esclusivamente materiale- che viene presentato come sommamente attraente e vantaggioso per tutti. Chi rifiuta questo modello perchè ne percepisce la perversità, è tagliato fuori, è un emarginato, un paria. Può in teoria pensare quello che vuole e propagandare ogni alternativa di pensero, ma di fatto è lui stesso che spesso richiede di adeguarsi al modello unico, se non ha la forza di affrontare la solitudine e l'incomprensione che inevitabilmente lo accompagnerebbero fuori da detto modello.
Il pensiero unico delle società liberal-democratiche risiede quindi proprio nel modo di pensare privato, prima ancora che nella sua espressione pubblica: se non si è convinti dentro di sè della verità del pensiero unico, si è emarginati. Non si può fingere con se stessi: bisogna autoconvincersi ogni giorno di stare vivendo nel migliore dei mondi possibili per riuscire a rimanere a galla! E se restano delle diversità nella cosiddetta "società aperta", come la definiva Popper, è solo perchè esse sono finte libertà e false scelte: sono piatti già preconfezionati dal meccanismo sociale, pluralità che non intaccano le sue fondamenta perverse.
Omologazione e libertà moderna -che parrebbero in contraddizione- sono quindi aspetti speculari di un unico totalitarismo. E' stato infatti proprio il totalitarismo di matrice economicista a ridurre la libertà esclusivamente al suo aspetto materiale, a farla diventare pura azione individuale. E' stato proprio togliendo senso alla libertà stessa, che essa ha potuto esprimersi svuotata in ogni campo come mai aveva fatto nella storia, mentre l'economia dettava ovunque la legge materiale del denaro e del possesso di beni. Se la libertà avesse ancora un valore reale, essa come tutte le cose sarebbe limitata. Avrebbe un inizio e una fine. Avrebbe un ambito, dei riferimenti e persino delle censure. Essendo privata di senso, si può dire tutto perchè tutto non ha e non abbia più valore. Si può fare tutto, si può andare ovunque e si abolisce ogni limite perchè si annulla il valore delle cose, dato che solo il confine dà un valore alle cose del mondo.
Tale falsa libertà è in realtà una dissoluzione, una inorganicità che mira alla creazione di un amorfo universale e si esprime abbattendo ogni regola, ogni riferimento, ogni misura, lasciando solo la libertà del vuoto e del nulla.