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I derivati tossici riprendono a inquinare

di Joseph Halevi - 11/02/2010

  
 
Alla riunione tra i ghiacci canadesi i ministri delle finanze dei G7 si sono espressi in favore della continuazione degli stimoli, altrimenti la baracca occidentale non si riprende. Che vuol dire? Se continuano a gettar soldi alle banche a tassi nulli o quasi incentiveranno solo la ricerca di sbocchi speculativi. Le banche dovranno pur far fruttare i soldi che ricevono. Il credito è minimo per via della crisi degli investimenti e dell'impoverimento delle famiglie. Il collocamento dei soldi non può che avvenire cercando di speculare sul rischio. Moribonde nelle fasi dello scoppio della crisi, le cartacce derivate tossiche stanno riacquistando così la loro funzione inquinante che non è di assicurare contro il rischio, bensì consiste nel crearlo dal nulla per poi venderlo in un involucro appetibile dal lato speculativo. Quindi gli stimoli relativamente più sicuri sono quelli diretti prodotti dall'aumento della spesa pubblica.
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Non è detto che funzioni sempre, Giappone docet. Ma aumentare la spesa in deficit anche di molte volte sicuramente non affonda un'economia sviluppata, Giappone docet bis. Tuttavia sebbene la crisi sia in pieno sviluppo, le politiche economiche nel vecchio mondo capitalistico - quello nuovo è in Cina - sono ora dirette contro la spesa pubblica, tanto negli Usa quanto Europa. Infatti le ipotesi di salvataggio della Grecia (e del Portogallo) non vengono formulate per evitare l'implosione dei due paesi e della Spagna, che con la disoccupazione al 20% è già in via di sfacelo. Le manovre riguardano solo come salvare gli altri BOT europei, quelli tedeschi in particolare, nonché come mantenere fiducia sul futuro dell'Euro. Infatti il Financial Times del 9 febbraio riportava le dichiarazioni di un esponente del governo di Berlino secondo cui «si tratta di trovare delle barriere protettive, di contenere il problema piuttosto che aiutare i greci».

La crisi economica causa la crisi fiscale e questa si aggrava se il bilancio non diventa uno strumento attivo di spesa per uscire dalla crisi ma per far ciò bisogna cacciare i «mercati» dalla sfera pubblica. La crisi fiscale colpisce tutti i paesi alcuni sono percepiti come i più vulnerabili per via del loro grande deficit estero. Se non fosse così non si capirebbe perché la Spagna sia finita nel mirino senza che alcun credito le venga dato per aver mantenuto per anni il bilancio pubblico in attivo. Ancora oggi con oltre l'11% di deficit in rapporto al Pil, la Spagna ha un rapporto debito Pil inferiore a quello stabilito dai parametri di Maastricht. I «mercati» non registrano questo dato perché l'economia spagnola si fonda su mattoni e calcinacci e la speculazione edilizia spagnola veniva venduta sul mercato di Londra le cui società finanziarie gestivano prestiti per acquisti e simultaneamente impacchettavano il rischio. Con la crisi it is all over, è tutto finito. E la Spagna non ha strumenti per strategie alternative. Quindi il deficit pubblico se esplode ora, aumenterà ulteriormente domani e così via. I "mercati", cioè le grandi società bancarie, finanziarie ed immobiliari integrano nelle loro valutazioni due elementi strettamente connessi: la centralità della Germania come principale centro di accumulazione di surplus esteri in Europa, nonché il fatto che l'unione monetaria europea è stata concepita in modo tale da svincolare i paesi forti, prevalentemente quelli con elevate eccedenze estere (Germania, Olanda), da ogni impegno a sostenere per via fiscale quelli strutturalmente in deficit con l'estero. Quindi la Spagna delle case di Murcia vendute sul mercato londinese, la Grecia dalle casette bianche e blu con vista sul mare ed il Portogallo dall'ottimo pesce, devono sbrigarsela per conto loro per ciò che riguarda l' economia reale. Solo che una loro implosione colpirà il resto dell'Europa e la stessa Germania in quanto la somma delle loro importazioni non è indifferente.

Per concludere, anche se decidessero di tamponare la falla greca i tre paesi verranno costretti a procedere a dei drastici tagli nella spesa pubblica, implodendo di conseguenza.