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La speranza non è verde

di Giovanni Petrosillo - 11/02/2010

 

Tra i firmatari dell’appello per la libertà di espressione e la fine delle violenze in Iran spiccano i nomi, tra gli altri, dei seguenti intellettuali dell’intellighenzia sinistrata: Giorgio Agamben, Giacomo Marramao, Toni Negri, Jacques Rancière, Immanuel Wallerstein, Slavoj Zizek.

Alcuni dei nominativi sono dei “dejà vus” del primo appello, quello lanciato nella fase post-elettorale che accompagnò e sostenne il popolo verde nella sua contestazione, per le strade di Teheran, contro i presunti brogli elettorali da cui sarebbe derivata la schiacciante vittoria di Ahmadinejad sui candidati cosiddetti riformisti.

La richiesta di aiuto alla comunità internazionale, da parte di queste “penne fini”, viene raccolta dal Manifesto, quotidiano sedicente comunista, il quale fa da megafono ai deliri democratici e dirittocivilisti di gente politicamente disorientata che ha completamente smarrito la bussola dei tempi, ma non, evidentemente, quella dei vantaggi mediatici conseguenti all’appoggio dato a cause gradite all’ordine imperiale statunitense.

Bene hanno fatto Losurdo e Vattimo, sullo stesso giornale, a chiarire i motivi per cui aver apposto il proprio “autografo” su questa equivoca (a dir poco) chiamata alla liberazione dai tiranni è un grave sbaglio, laddove l’Iran è un paese quotidianamente “provocato” dagli Usa e dalla minaccia di un attacco militare proveniente dal fronte Occidentale.

Poiché esiste una tale emergenza interna è altresì irrefutabile che, per ragioni di difesa della propria sovranità nazionale, i leaders iraniani non possano accettare una spaccatura sociale - peraltro non spontanea ma foraggiata con il denaro dello straniero attraverso una pletora di Ong e della stessa CIA - in una fase di grande subbuglio geopolitico. L’Iran rischia di perdere il suo status di potenza quasi-regionale e di fare la fine dell’Iraq, quella cioè di un paese dilaniato dai settarismi tra gruppi religiosi e sociali la cui instabilità è il prezzo imposto dagli occupanti statunitensi per preservare il loro esclusivo dominio in Medio-oriente.

Dal punto di vista strettamente geostrategico basterebbe, pertanto, mettersi dinanzi ad una cartina per comprendere i presupposti in base ai quali gli statunitensi (e i loro giannizzeri israeliani) nutrono l’interesse ad annichilire un governo “non amico”, come quello di Ahmadinejad, che, con le sue iniziative “disallineate”, sta scompaginando i disegni imperiali in una aerea divenuta fondamentale per gli equilibri internazionali.

Nei “Balcani Globali”, come ha scritto Brezinski e come ho riportato in un precedente articolo (Perche' e' un errore isolare l'iran e sulla necessita' di proteggere l'eni dagli attacchi internazionali ) si gioca la partita più importante della presente fase multipolare. La posta in palio è la proiezione epocale e l’allargamento delle sfere d’influenza, per i prossimi decenni, sugli assetti globali.

Inoltre, c’è poco da sorprendersi dell’atteggiamento di questi studiosi poiché loro iniziative scriteriate non possono essere ascritte ad una mera caduta “romantica” e all’empatia innata per i “dannati” della terra. Lungi dall’ aver commesso un puro un errore psicologico, questi scrittori sono vittime di una visione del mondo irrecuperabilmente finita nella pattumiera della Storia che essi non hanno saputo riorientare dopo il fallimento inequivocabile delle principali prospettive teoriche e sociali al centro del secolo passato.

Il mondo è profondamente cambiato e si è spostato l’asse dei problemi che non sono restringibili alla sola diatriba tra Capitale/Lavoro, Sfruttatori/Sfruttati. Questi elementi sono divenuti secondari e condizionati dai risultati della disputa tra agenti strategici nello spazio geopolitico globale. Solo partendo da questi aspetti si potranno gettare le fondamenta di una “aggiornata” intelligibilità del mondo per dare ai dominati nuove speranze di emancipazione. Ma tutto ciò è fuori dal campo di comprensione di questi illustri e, forse, involontari servitori.