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Il massacro dei tamil: un capitolo ancora aperto

di Francesca Dessì - 14/02/2010


Con un ritardo di quasi un anno, l’ex portavoce delle Nazioni Unite in Sri Lanka, Gordon Weiss - che ha rassegnato le dimissioni a dicembre - ha ammesso che all’incirca “40.000  civili, oltre ai combattenti tamil, sono rimasti uccisi nelle fase finale della guerra”, che ha dilaniato per quasi vent’anni il Paese.
“Considerate che circa 300.00 civili erano intrappolati in un’aerea grande come Central Park e che ogni tipo di armamento, di grande e piccolo calibro, è stato impiegato dall’esercito cingalese per eliminare le Tigri Tamil (…) Il risultato è stato migliaia di vite perse” ha dichiarato Weiss in un’intervista rilasciata all’emittente televisiva australiana Abc News.
L’ex portavoce dell’Onu, basandosi su una dichiarazione di un funzionario civile di alto livello, ha puntato il dito contro il governo di Colombo per “aver deliberatamente sottostimato il numero dei civili intrappolati, fornendo dati intenzionalmente fuorvianti o bugie: si è trattato di un vero e proprio stratagemma per autorizzare il proseguimento della guerra”.
Parole che confermano quanto denunciato più volte, nei mesi scorsi, dalle ong umanitarie, in primis la Croce Rossa Internazionale.
Alla fine, ci sono volute le dimissioni del portavoce dell’Onu per far saltare fuori la verità e per mettere in ridicolo la risoluzione approvata lo scorso maggio del Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, favorevole alla linea del governo di Colombo, che ha rigettato la pesante accusa di aver commesso crimini contro l’umanità. Ed è stato proprio grazie a quel “beneplacito internazionale” che  Colombo ha avuto carta libera di mettere in atto “il programma di riabilitazione”, rinchiudendo i civili tamil in campi di concentramento.
La comunità internazionale, che ha abbandonato la minoranza tamil, sembrerebbe accorgersi dell’errore commesso solo ora che il presidente cingalese Mahinda Rajpaksa, appena rieletto, è diventato una pedina scomoda. È chiaro che l’Onu, strumento in mano a Washington – parla per bocca degli Stati Uniti, che non hanno infatti gradito la mossa di Colombo di sganciarsi dallo loro influenza, stringendo rapporti economici con l’Iran e, soprattutto con la Cina. Rajapaksa ha infatti accusato gli Stati Uniti  di “aver speso un sacco di denaro” per finanziare la campagna del generale Fonseka, nascondendo “interessi personali” dell’Occidente dietro la scelta politica. Non bisogna dimenticare che lo Sri Lanka è importante per la sua posizione strategica nell’Oceano Indiano, in bilico tra le sfere d’influenza occidentale e cinese.
Intanto, nel Paese sale la tensione in vista del processo all’ex generale Fonseka, che deve rispondere delle accuse di “cospirazione e istigazione alla rivolta”, così rischiando la Corte marziale perché considerato ancora un membro delle forze armate. Ma l’Asian Human Rights Commission (Ahrc), con base a Hong Kong, avverte che il capo dell’opposizione rischia di essere privato di un “giusto processo” perché è nelle mani di un tribunale militare, invece che civile.
Intanto, i reparti speciali della sicurezza hanno blindato le vie di Colombo. Prashanth Jayakody. Misure che sono state prese “per assicurare il mantenimento della legge e dell’ordine”.