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Quello che i potenti ancora nascondono

di Giovanni Petrosillo - 15/02/2010


Questa volta giocherò a fare il Sergio Romano della situazione (al quale mi accosto momentaneamente per esigenze di stile ben sapendo che lui è inarrivabile per me come storico, giornalista, opinionista ecc. ecc.) partendo da una domanda giunta su un mio precedente articolo pubblicato nel blog: “La Verità su tangentopoli". Ecco il quesito di questo anonimo lettore:


A questo punto sorge una domanda: ma se è così chiaro, come lei sostiene, che tangentopoli fu comandata - qualcuno ha mai prodotto delle prove credibili di ciò, che non siano i riscontri del giornale usati per fini strumentali?- allora dovremmo concludere che Berlusconi fosse nei calcoli di questi manovratori internazionali? Perché ricordo che, dopo tangentopoli, ha governato più Berlusconi che chiunque altro. Si può dire che Berlusconi sia il vero prodotto di tangentopoli. I governi di centro sinistra , i leader del centrosinistra  che,  secondo questa tesi, dovrebbero essere i fantocci della finanza internazionale, sono tutti rovinosamente caduti ed i loro consensi costantemente in calo. Non dovremmo dunque ammettere che forse il fantoccio vero è qualcun altro? Inoltre approfitto dell'occasione per esprimere qualche dubbio circa la fondatezza di alcune tesi di cui sempre più spesso odo parlare, ma che c'entrano poco con questo post specifico; è opinione comune che le privatizzazioni siano una conseguenza di tangentopoli, nel senso che, dopo aver azzerato la classe politica italiana della prima rep,  si sia svenduta la nostra impresa di stato a privati legati alla finanza internazionale. Ora leggendo sulle privatizzazioni in Italia, ho appreso che non iniziarono di certo con il governo Amato del 92, ma furono discusse in parlamento nel corso di tutti gli anni 80, e vi fu anche qualche tentativo iniziale, andato male. IL 92 è l'approdo del processo di privatizzazione, non l'inizio. Dunque è a mio parere infondato attribuire al psi ed ai vecchi partiti la volontà di conservare e difendere le industrie di stato, a meno di non voler ammettere che certe "difese" fossero finalizzate alla ruberia ad oltranza nell'ottica delle future, preparate, annunciate privatizzazioni. Inoltre, è parimenti infondato ritenere che i governi Berlusconi siano i difensori di chissà quale bene pubblico: basti citare l'ultimo decreto in merito alla privatizzazione dell'acqua, che consentirà alle multinazionali francesi di fare in Italia gli affari che non possono più fare in patria”.

 

Bé, innanzitutto la domanda non è una sola ma è normale che quando si tirino in ballo fondamentali avvenimenti che hanno contraddistinto e direzionato un mutamento d'epoca, concretando un inaspettato ed imprevedibile bouleversement di regime politico-istituzionale, i dubbi si affastellino freneticamente. La verità storica su tangentopoli (per dimostrare la quale si dovono portare prove di tutt'altro genere rispetto a quelle richieste in un processo giudiziario) sta piano piano emergendo non tanto perché alcuni protagonisti di quella stagione, in “positivo” o in “negativo”, ci dicono qualcosa in più sul passato ma in quanto il sistema politico, uscito dal terremoto dei precedenti assetti di potere, è marcito in poco meno di un ventennio, perdendo il suo abito lindo di moralità e di integerrimità, col quale si era presentato al trapasso tra I e II Repubblica. La tanto decantata rivoluzione politica del '92-'93 è finalmente sotto gli occhi del popolo italiano completamente nuda: “ merda e corruzione più che sangue e passione”.

Partiamo dal primo problema. Allorché mutarono gli equilibri internazionali, con la conclusione della guerra fredda gli statunitensi si proiettarono nella nuova fase storica con una diversa strategia globale. Finché esisteva l'URSS il fronte occidentale doveva restare compatto ed i singoli governi europei, a seconda di come erano collocati geograficamente rispetto al gigante dell'est, godevano di “rendite posizionali” puntualmente versate dalla superpotenza Usa per “fidelizzare” i suoi “clienti” e tenere ferma la barra dei rapporti di forza internazionali in senso favorevole alla propria predominanza. Nell'esplicitato contesto geopolitico, l'Italia costituiva una piazzaforte avanzata per arginare quella potenza nemica che ideologicamente (ma questo non era più l'obiettivo dai tempi di Stalin) dichiarava di voler conquistare il mondo per imporre il sistema socialista. Non a caso, nel nostro paese vengono dislocate base militari e missili con testate nucleari puntati come una minaccia verso la Russia e le altre nazioni dell'est. Questa situazione di costante pericolo (e di reiterate provocazioni tra superpotenze) ha consentito a quella predominante nel campo Occidentale di direzionare le politiche statali dei suoi alleati in funzione dei suoi scopi geopolitici. Quindi, dopo la seconda guerra mondiale, la parte occidentale esterna agli USA, e in particolare gli Stati usciti sconfitti ma "viciniori" ai paesi del campo socialista (area dove lo Stato dirigeva in maniera totalizzante i processi economici) prese piede, come sostiene La Grassa in uno scritto del 2000,

'un esteso intervento dello Stato nell'economia e, più in generale, nella società, con la formazione di quello che fu detto Welfare State. I marxisti interpretarono spesso in termini keynesiani (o similari) l'enorme ampliamento della spesa pubblica (con corrispondente aumento del Debito Pubblico e situazione di cosiddetta "crisi fiscale dello Stato") richiesto dal Welfare, anche se tale spesa concerneva in particolare l'armamento e le altre prerogative di tipo "militare" (in senso lato) negli USA (in quanto "gendarme" del mondo occidentale in conflitto con l'altro campo) e, invece, soprattutto la spesa sociale (pensioni, sanità, ecc.) negli altri paesi capitalistici avanzati e di fatto subordinati al paese centrale di quel campo (il primo mondo)...In effetti, la posizione di gendarme del campo capitalistico (tradizionale) implicò negli USA la formazione di un blocco sociale dominante costituito dagli agenti delle strategie imprenditoriali e da quelli "politici" delle strategie dello Stato aggressive verso l'esterno; mentre, nei gruppi dominanti degli altri paesi capitalistici sviluppati, agli agenti (economici) del primo tipo si aggregarono soprattutto quelli (politici) aventi poteri di disposizione su apparati imprenditoriali in mano pubblica e su importanti quote del reddito nazionale destinate alla spesa pubblica detta "sociale" (lasciamo perdere con quali effetti di corruzione, sperpero, appropriazione "indebita" di denaro pubblico, ecc.). E' importante far rilevare che questo secondo tipo di agglutinamento di agenti dominanti "privati" e "pubblici" portò alla formazione di apparati dirigenti (quelli addetti alle strategie) delle grandi imprese particolarmente poco competitivi e abituati a sopravvivere grazie a lauti finanziamenti statali'.

Mi sembra chiaro che con la dissoluzione di tali esigenze geopolitiche questo tipo di “sistema assistito” dal "di fuori" non potesse più sopravvivere e con esso la classe politica che se ne era fatta espressione. Di qui l'incipit per un cambiamento pilotato sul quale gli statunitensi scommettevano per apprestarsi a governare oltre i precedenti confini e secondo una diversa conformazione storica dei rapporti di forza. Sappiamo bene, difatti, che in Europa ci sono state diverse “tangentopoli”, sia in Francia che in Germania, ma questi paesi hanno retto meglio dell'Italia perché economicamente più forti, politicamente più preparati, tradizionalmente più indipendenti.

Abbiamo così chiarito i presupposti internazionali nel quale occorre inquadrare tutto ciò che si verificherà in Italia dopo il 1989 (anno della caduta del muro) e dopo il 1991 (anno dell'implosione dell'Unione Sovietica).

Per sbarazzarsi di un'intera classe dirigente che non aveva alcuna voglia di abdicare al suo ruolo con le buone, si ricorse a quei settori politici - ugualmente invischiati nella gestione del potere, ma soprattutto a livello subnazionale e locale - “tempestivamente” scesi dal loro tradizionale carro ideologico e dimostratisi disponibili a modificare la propria mission secolare per aderire alle esigenze del monocentrismo americano.

Nacque in breve, dopo un provvidenziale cambio di denominazione sociale, la gioiosa macchina da guerra occhettiana (PDS) la quale doveva prepararsi a raccogliere i frutti avvelenati di “Mani Pulite”. Sul pool che gestì le indagini e colpì quasi unilateralmente c'è poco da dire. Questa magistratura era non politicizzata ma deviata per scopi politici. I rapporti intrattenuti da uno dei suoi Pm di spicco, con uomini dei servizi segreti interni e stranieri, confermano le congetture di chi non crede ad uno scatto d'orgoglio di un potere costituzionale che per anni aveva avuto gli occhi bendati e la bilancia “calamitata”.

Ma il diavolo fa le pentole dimenticandosi spesso i coperchi...

Questi disegni occulti e meno occulti non potevano andare a vantaggio di un personaggio che in quella fase non esisteva politicamente e faceva solo l'imprenditore, benché in un settore (televisioni ed editoria) che può dare molta visibilità ed essere sfruttato per la promozione di sé stesso anche in sede elettorale

Berlusconi è costretto a scendere in campo perché perde i suoi referenti socialisti, quasi tutti invischiati (con qualche dovuta eccezione, vedi Amato, uomo di vertice del Psi che “non sapeva nulla”) nel malaffare tangentizio. Il Cavaliere teme, in virtù della sua vicinanza a Craxi, di essere colpito e danneggiato (e di chiudere la sua carriera in galera), dovendo subire la stessa onta del suo mentore e garante, in quanto facente parte di quel contesto privatistico imprenditoriale sul quale il segretario socialista aveva puntato per costruire il suo consenso. Per questo predispone una rapida strategia di controffensiva (nascita di FI) ma tenta pure fino all'ultimo momento di non essere coinvolto direttamente. Tuttavia, per la mancanza di nomi presentabili e di uomini coraggiosi disposti a rompere gli argini dei poteri forti economico-finanziari (GF e ID), tutti ancora al loro posto di comando, deve cedere e metterci la faccia. Insomma, si produce quella variabile non prevista che raccoglie i voti della diaspora socialista e democristiana, cioè di quei settori sociali che mai si sarebbero associati ai progressisti per quanto ne restavano distanti culturalmente e politicamente, facendo così fallire i piani della sinistra e dei suoi sponsor nazionali ed internazionali.

Berlusconi riesce a vincere le elezioni del '94 ma si scatena contro di lui il solito accanimento giudiziario, strascico di una strategia dura a morire, inaugurata con le indagini “a salamandra” del Pool (sempre attento a non toccare i leader della sinistra se non liminarmente), ed, infine, si registra la defezione della Lega, molto meno rivoluzionaria dei suoi esordi comunitario-localistici e già ricattabile politicamente, per via di qualche ingenuità come la tangente incassata dall'Enimont. Bossi in quell'occasione, con i sindacati in piazza che protestano per la riforma del sistema pensionistico e la sua base che recalcitra per via del disattendimento della revisione federalista degli assetti nazionali, decide la fine della prima esperienza di Berlusconi accordandosi (è il famoso patto delle sardine) con D'Alema sul futuro dell'Italia (Governo tecnico del “rospo” Dini).

Da qui in poi, fino al 2001, tra governi fintamente tecnici ed esplicitamente di centro-sinistra, sarà quest'ultima compagine (con l'appoggio volubile e “desistenziale” dei cespugli vetero-comunisti) ad avere in mano le redini del Paese. Nel 2006 l'Ulivo tornerà ancora alla guida dell'esecutivo e ci resterà fino al 2008 con Romano Prodi. Quindi, come si può vedere dalla cronistoria degli eventi, è assolutamente sbagliato affermare che sia stato Berlusconi ad avvantaggiarsi di tangentopoli.

Passiamo ora all'aspetto delle privatizzazioni. E' vero, di modificare le basi statalistiche della nostra economia se ne parlava già a partire dagli anni '80. Ma privatizzare e liberalizzare, in assoluto, non significa svendere, depotenziare ed affidare allo straniero tout court, secondo una visione del mondo che non ci apparteneva, come è invece stato fatto dal 1992 a seguire.

Chiariamo innanzitutto un punto teorico. Abbiamo detto, forse migliaia di volte, che non si deve cadere nell'errore della dicotomia pubblico-privato sostenendo impropriamente che il primo fa esclusivamente gli interessi della collettività ed il secondo solo quegli egoistici dei proprietari o degli azionisti. Non saprei a quanti scritti di La Grassa rimandarvi per questa faccenda ma ne indico uno disponibile sul sito: Privato e Pubblico: Ideologia e Forma del Conflitto tra Dominanti.

Tornando alle questioni di ieri e di oggi sono ponto a scommettere che la defunta classe dirigente DC-PSI non avrebbe mai autorizzato il sacco delle risorse nazionali (perché di questo si è trattato, altro che privatizzazione!) così come avveratosi dal 1992 (incontro sul panfilo Britannia del 2 giugno tra grand commis d'etat, esponenti politici, banchieri, finanzieri e quant'altri) a proseguire, secondo linee d'intervento che danneggiavano la nostra già flebile economia. Pochi mesi dopo, in settembre, si registrò anche un attacco speculativo sulla lira ed, infine, creato l'humus adatto, partirono le fantomatiche privatizzazioni con l'alternanza al governo di due uomini (Ciampi e Dini) i quali erano stati  Governatore e Direttore Generale di Bankitalia (all'epoca nessuno si azzardò a parlare di conflitto d'interessi). Furono loro i “tecnici” incaricati di liquidare i tesori nazionali e i principali responsabili della politica di privatizzazione, nonché di quella dei tagli alla spesa pubblica per far rientrare l'Italia nei parametri di Maastricht. L'evento del panfilo regale rappresenta una coupure che apre uno squarcio nel regolare scorrimento degli eventi, modificando in tal modo la linea del futuro. A Partire da questo accadimento tutto si trasforma ed anche il passato viene costantemente inghiottito dalla nuova situazione per essere rivomitato nell'attualità storica completamente reinterpretato in maniera tendenziosa. Del resto è lo stesso Craxi da Hammamet, nel 1997, che in una intervista rifiutata da molti giornali e televisioni (anche amiche, tipo mediaset) dice esplicitamente “Io non sono uno statalista ma non credo neanche che l'industria di Stato meritasse la sorte che sta meritando, tenuta in scacco per anni e poi praticamente privatizzata obbligatoriamente a condizioni molto spesso discutibili”.

Ma ora devo fermarmi per non appesantire troppo la lettura su uno strumento non adatto alle lunghe analisi. Vorrei però, dopo quanto qui riassunto, che compulsaste almeno l'intervista a Rino Formica, tratta da dagospia di ieri. Non abbiamo adombrato le stesse ipotesi in questi anni?

ESPLOSIVA INTERVISTA ALL'EX MINISTRO

SOCIALISTA RINO FORMICA

«E se non fossero state rosse?». Prego? «Dico, le toghe. Sui genitori di questa cosiddetta Seconda Repubblica, c'è una vulgata che parla di golpe, magistratura politicizzata, toghe rosse, appunto». Invece? «Si comincia a capire che non furono rosse, le toghe. La cena Contrada-Di Pietro, di cui voi del Corriere avete pubblicato le foto, e ciò che avvenne poi, ci può autorizzare a parlare semmai di magistrati deviati».

Nella bella casa in centro, accanto a Palazzo Valentini, Rino Formica non riesce a stare seduto cinque minuti di fila. Soffre di sciatica. Ma la verve polemica di un tempo è intatta. Come il gusto dell'iperbole (suo il copyright di «nani e ballerine», per dire). Come il filo di rasoio delle «erre», arrotate dei suoi ragionamenti «ampi». Come, in effetti, una certa dose di sassolini nelle scarpe. Sugli scaffali, Nenni e Plutarco, Spriano e Acton («Gli ultimi Borboni di Napoli»). Tra i vecchi sodali d'un tempo, quasi solo Cirino Pomicino («ne ammiro l'intelligenza»)

Socialisti L'ex ministro alle Finanze Rino Formica (83 anni) con il segretario psi Bettino Craxi. Secondo Formica, i socialisti non hanno «mai sostenuto che bisognasse fare leggi per salvarsi dai processi». Quanto al premier, «nel '92 gli importava solo delle tv»

Cosa avvenne, secondo lei, tra l'89 e il '94?
«Una crisi sistemica, di panico, tra le classi dirigenti nel triennio '89/'92. Nel caos si inserirono contrastanti agenzie di Paesi alleati ed ex comunisti".

Alla fine di tutta questa fase vinse Berlusconi
«Appunto. Come può essere una rivoluzione di toghe rosse?».

Ha saltato un passaggio: il Paese non reggeva più il sistema delle tangenti.
«Aspetti, ragioniamo. I soggetti politici si sono moltiplicati nel frattempo: una pluralità di soggetti visibili e identificabili e, spesso, invisibili e sfuggenti».

Siamo ai «misteri d'Italia»?
«Beh, c'è chi non vuole o non può disvelare le sorgenti di un'azione politica, che tanto occulte non sono».

Si spieghi meglio.
«Se si può parlare di servizi deviati, dico io, perché è così indecente parlare di interventi di agenzie estere deviate, lobby sommerse, informazioni manipolate e giustizia mirata?».

Perché bisogna dimostrare quello che si dice, forse.
«Io dico: vediamo questa foto di Contrada e Di Pietro. Al congresso Idv, Di Pietro, con la solita miscela di furbizia e ingenuità, ha detto: chiedete al generale Vitagliano, il padrone di casa... ma quella sera, Contrada era già sospeso dal Sisde».

Di Pietro poteva non saperlo.
«Il problema è un altro. Di Pietro non era il titolare di Mani pulite. Lo era il pool. Quella era la riunione dei carabinieri di supporto alla polizia giudiziaria. Perché non fu investito il pool?».

E le pare sufficiente a sostenere che Di Pietro fu un magistrato «deviato»?
«No. C'è un altro tassello grazie al presidente Cossiga. Due anni fa su Libero, attraverso il suo pseudonimo di Franco Mauri, ha sostenuto che nel '90-91 l'Fbi venne in Italia per orientare la magistratura contro Andreotti e Craxi, e fece pressioni su un presidente con la K nel cognome. Lui si dimise».

Che la classe politica italiana prendesse tangenti era oggetto di barzellette da anni. C'era bisogno dell'Fbi?
«No, qui sta il vostro errore! Nella Prima Repubblica la politica nobilitò la funzione dello sterco del diavolo come mezzo di raggiungimento di fini politici! Adesso il danaro da mezzo è diventato fine della politica: cioè il rapporto è rovesciato».

Non è colpa anche del lavoro di delegittimazione della magistratura cominciato forse proprio da voi socialisti?
«Nooo! Noi non abbiamo mai sostenuto che bisognasse fare leggi per salvarsi dai processi. Noi abbiamo detto che il nostro sistema aveva deviazioni individuali che andavano punite penalmente e un accomodamento sistemico che andava valutato sul superamento di una soglia».

Larini, Manzi, Troielli, Mach di Palmstein... quanti superarono la soglia, e per conto di chi?
«Lei continua a confondere ciò che è sistemico con ciò che è deviato, non ci capiamo».

Craxi, comunque, scappò.
«Craxi si avvalse del diritto alla resistenza teorizzato anche da alcuni padri costituenti».

Craxi era un uomo dello Stato.
«Io sto a quello che ha detto Napolitano parlando di Craxi: "Durezza senza eguali sulla sua persona...". E le dico che allora si usarono metodi rivoluzionari senza fini rivoluzionari. Agenti parapolitici internazionali...».

... senta, persino le televisioni di Berlusconi nel '92 appoggiavano l'inchiesta di Milano.
«Guardi, ho per le mani un libro di Veltri, c'è un'intervista di allora del Cavaliere. Beh, gli importava solo delle tv. Diceva: "Il sistema è crollato e noi siamo più liberi". Berlusconi era un opportunista».

Lo dice lei. Molti «eredi» politici di Craxi oggi lo adorano.
«Vede, ad agosto '92 erano usciti già i corsivi di Craxi contro Mani pulite. E ancora a settembre i comunisti, il Pds, facevano la coda dietro la porta di Bettino, perché si discuteva la loro ammissione nell'Internazionale socialista. Io ho ancora una lettera di Fassino in cui si dice: mi raccomando, sosteneteci, cambieranno tutti i rapporti. Al rientro da Berlino, dove Craxi era intervenuto in loro favore, Occhetto fece un intervento di pura aggressione contro di lui. Capisce perché tanti sono andati con Forza Italia? Il... nemico minore».

Dica, dopo tanti anni, la politica è sempre «sangue e merda»?
«Beh, adesso c'è una bella differenza».

Quale?
«Il mix. Non bisogna esagerare con il secondo ingrediente».