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70 anni di memoria in musica

di Valerio Zecchini - 15/02/2010

Italia: ultima atto

La band nata nel 2005, che ha radici neo-folk, offre un’elaborazione neorealista arricchita da un incedere epico

“Italia: ultimo atto”, la decadenza di un Paese secondo gli Ianva

Inghilterra, inizio anni Ottanta: in piena epoca thatcheriana e new wave, irrompe sulla scena musicale un gruppo dall’aspetto inquietante e dalle sonorità cupe; si chiama Death in june, ha come simbolo un teschio che sorride e i testi delle loro malinconiche canzoni sono palesemente ispirati da idee nazional-rivoluzionarie. L’ostracismo nei loro confronti è immediato, ma riescono comunque a costruirsi una forte nicchia cultural-musicale che verrà etichettata come neo-folk e che nel tempo conoscerà multiformi contaminazioni (in particolare con la cosiddetta musica industrial).
I Death in june, guidati dal cantante e chitarrista Douglas Pearce (che non fa mistero della propria omosessualità), sconvolgono ogni stereotipo: portano alle estreme conseguenze il romanticismo dei Joy Division, introducono il feticismo per le divise militari e trasformano il gusto della provocazione ereditato dal punk in rivalutazione delle idee antimoderne, esoteriche, neopagane. Questa linea sarà poi seguita da gruppi come gli americani Blood axis, gli austriaci Der Blutharsch e Novy svet, i francesi Dernière volonté, i più celebri Current 93 ed evolverà da neo-folk a folk apocalittico.
In Italia, verso la fine degli anni Settanta, dagli ambienti militanti della destra non-conformista scaturisce un movimento musicale che si autodefinirà “Musica alternativa”: nonostante l’etichetta altisonante, neanche i gruppi più conosciuti come La compagnia dell’anello o Gli amici del vento riusciranno ad uscire dai canoni della musica militante. Troppo propagandistici i testi e troppo evidente la dipendenza da modelli musicali come Alan Stivell o Francesco Guccini. Eppure, quell’ambiente culturale aveva nel suo dna il rumorismo futurista di Luigi Russolo…
A sorpresa, da questo background italiano così poco ambizioso, emergono nel 2005 gli Ianva (nome arcaico di Genova); il loro album d’esordio “Disobbedisco” è una vera e propria rivelazione.
Si tratta di un concept album sull’impresa di Fiume che narra, con una potenza non comune, la bellezza, l’entusiasmo e il dramma di una stagione influenzata dagli ideali delle avanguardie, contemplando di queste una trasmutazione soprattutto sul piano lirico e sonoro. Le loro radici musicali sono decisamente neo-folk, nell’accezione più spiritualista del termine; l’elaborazione “neorealista” della canzone tradizionale italiana è arricchita dall’incedere epico degli interventi di tromba e da avvolgenti atmosfere di stampo morriconiano.
Nel 2007 esce il mini-cd “L’occidente”, decisamente meno incisivo, ma che è servito come trait-d’union con il nuovo disco uscito qualche mese fa.
Parliamo di “Italia: ultimo atto”, un altro concept-album, ma ancora più ambizioso del precedente, in quanto il tema affrontato è la storia d’Italia dall’8 settembre (inizio della decadenza secondo gli Ianva) fino ai giorni nostri. Il gruppo ha ulteriormente levigato, affinato e perfezionato il proprio stile musicale, tanto che ci sentiamo di affermare che questo è uno dei migliori cd apparsi sul mercato italiano negli ultimi anni; ma anche i testi sono all’altezza del titanico impegno letterario di raccontare quasi settant’anni di storia italiana in tredici canzoni. Il prologo è affidato all’esattezza oracolare di Pier Paolo Pasolini ed è un brano musicato tratto da Lettere luterane letto in maniera solenne da Enrico Silvestrin, potrebbe in realtà servire anche da epilogo tanto attuale è la sua sferzante invettiva contro l’inarrestabile decadenza italiana mascherata da progresso, sviluppo, tolleranza, liberalizzazioni. Il futuro è imminente e apocalittico…
Gli Ianva esaltano l’unicità eroica del ribelle come unica alternativa possibile a tale situazione; ma è proprio a causa di questa loro ostentata attitudine aristocratica che vengono tenuti a distanza di sicurezza dal circuito ufficiale della musica e dei media.
Perché l’italiano contemporaneo detesta profondamente l’unicità, l’eroismo, l’aristocrazia. E poi, difficilmente un gruppo che fa canzoni sulle foibe, su Luisa Ferida, sulla guerra civile strisciante degli anni Settanta verrà invitato al festival di Sanremo…
Valerio Zecchini