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La filosofia come cura: Karl Jaspers filosofo e medico

di Alessandra Granito - 16/02/2010

Il saggio di Giovanna Borrello, La filosofia come cura. Karl Jaspers filosofo e medico, si presenta come un’analisi impegnata del pensiero di Karl Jaspers nella sua evoluzione da ricerca medica a riflessione etico-politica, passando attraverso la filosofia dell’esistenza (Existenz-Philosophie). Mediante una lettura convincente e puntuale, Borrello ha senz’altro messo in luce la straordinaria attualità di Jaspers, la sua critica per molti aspetti pionieristica e profondamente attuale della società repressiva, omologante e apatica, caratterizzata da profonde lacerazioni, incomunicabilità e indifferenza. Con la sensibilità dell’uomo, con la finezza intellettuale dello specialista e del filosofo Jaspers vive pienamente la “tempesta del Novecento”, ne ha indagato i limiti, ne ha assunto le negatività nella prospettiva di un’apertura alla “trascendenza”: “pensare oltre” le scissioni ontologiche; “superare” le dicotomie intellettuali; non arrendersi di fronte al “naufragio e allo scacco” dell’uomo moderno e di fronte alle costrizioni politiche e sociali del tempo; “ripensare” radicalmente la psichiatria tradizionale in nome del valore della libertà e della soggettività umana. Sono queste le componenti ermeneutiche che l’autrice mette in luce e che le permettono di presentare la riflessione di Jaspers non solo come un “abbraccio” dell’uomo nella sua totalità e singolarità irriducibile, nella sua complessa individualità e nella sua eccezionale alterità e storicità, ma anche come un rinnovato “strumento di Cura” di sé (del singolo individuo) e dell’Altro (nel senso dell’ordinamento politico mondiale), come rimedio a quella società e a quella politica che promuovono una atteggiamento nichilista, che restringono e condizionano un’autentica (auto-) realizzazione personale.

Nello studio di Borrello il complesso e peculiare itinerarium culturale, intellettuale e biografico del filosofo-medico tedesco è articolato in due parti distinte ma complementari e ben integrate in cui appaiono evidenti due nodi critici attorno a cui prende corpo l’intera riflessione: il carattere della filosofia come “cura” e l’apertura a un’etica della comunicazione duale in virtù della quale l’individuo è sempre aperto all’incontro con se stesso e con l’Altro.

Nella prima parte del testo (“La filosofia come cura dell’esser-ci”) Borrello sottolinea il carattere psicologico e psichiatrico dell’opera del giovane Jaspers (durante gli anni, dal 1908 al 1915, in cui lavora presso la clinica psichiatrica di Heidelberg) e ne mette in luce la critica che egli rivolge alla concezione distorta della psichiatria dell’epoca - secondo cui la “malattia mentale” è una malattia somatica, cioè una “malattia del cervello” (Griesinger) che ha un’origine e una causa fisiologica e organica - e il suo progressivo approdo alla fenomenologia. Secondo Jaspers la psichiatria tradizionale si basa su due presupposti che sono veri e propri fraintendimenti: anzitutto l’assunto secondo il quale la personalità sarebbe una totalità chiusa all’esterno e, in secondo luogo, che la malattia sarebbe un’“entità” precostituita. Per Jaspers - e in questo egli si rivela un pioniere dell’antipsichiatria degli anni ’60-‘70 (Jervis, Cooper, Laing, Marcuse, Gerassi, Carmichael, Basaglia) - la malattia mentale non è né un’essenza naturale o apriorica, né il mero postulato di una metapatologia, né qualcosa di riducibile a schemi astratti e definitori di normalità, né qualcosa di riconducibile ad un’alterazione della personalità. L’origine della malattia mentale va piuttosto ricercata all’interno di particolari rapporti di significazione tra le umane “visioni del mondo” (Weltanschauungen) e il mondo reale, e lo stesso sintomo della malattia dev’essere considerato come un “vissuto” dell’individuo (Erlebnis). In questa nuova prospettiva fenomenologica la malattia mentale non è più l’epi-fenomeno di una disfunzione biologica ma è piuttosto una differente modalità con cui l’essere umano si relaziona con il suo contesto storico-sociale e ambientale. Più in generale: lo statuto della psichiatria viene inteso come un “metodo di comprensione” che eccede l’oggettività del “dato” e supera i limiti dell’“evidenza” per inoltrarsi negli abissi inesplorati dell’esistenza e nelle ragioni nascoste dell’essere dell’uomo (Binswanger e Foucault). In altri termini: la psichiatria - che Jaspers designa col termine “psicopatologia” (Psychopathologie) - diviene “metodo di comprensione” dell’uomo (specificamente della sua coscienza malata) nella sua totalità, nella sua personalità e in ciò che egli stesso è interiormente.

Questo primo nodo ermeneutico dell’analisi di Borrello trova ampio respiro e approfondimenti chiarificatori in tutto l’impianto della prima parte, soprattutto laddove l’autrice sviluppa un’interessante riflessione sul rapporto (jaspersiano) tra malattia mentale ed esistenza accostando le nozioni di “follia” (positiva) a quelle di “creatività artistica”, di “libertà dello spirito”, di “perfettibilità dell’essere umano” e di “trascendenza”. In particolare, ciò su cui Borrello insiste con convincente sensibilità filosofica è che l’analisi jaspersiana dei fenomeni psichici affonda nella profondità dei vissuti esperienziali, nell’atteggiamento “differente” con cui l’individuo si rapporta al mondo, nel superamento delle tradizionali dicotomie qualitative tra cui quelle di “normalità-patologia”, “normatività-differenza” (Minkowski), “malattia-anormalità (anti-)sociale”, ovvero quelle dicotomie solitamente accompagnate da un giudizio di valore (l’esser-sano) o di dis-valore (l’essere-malato).

Seguendo l’itinerario filosofico-ermeneutico proposto da Borrello, emerge infatti che la malattia mentale è stata sempre legata ad una “non-volontà soggettiva di essere attivi” e all’intenzione di lasciare passare alcuni fraintendimenti culturali di fondo: l’uso indistinto dei termini “anomalia” e “anormalità”, la coincidenza di “media” e “norma” (il malato mentale sarebbe tale perché ‘a-normale’) e, in particolare, la stretta dipendenza tra la concezione di “norma” in campo psichiatrico e quella di “norma” in campo sociale al punto che non solo si considera la “devianza” un problema politico (e non più strettamente psicologico), ma le stesse diversità tra gli opposti (salute e malattia, norma e devianza) sono esasperate nel contesto di una vera e propria “ideologia del conformismo” che promuove un sistema valoriale in cui l’uguaglianza è sinonimo di livellamento e le differenze divengono devianze da contenere ed eliminare in nome di un’astratta idea di normalità (tanto che le personalità psicopatiche sono considerate come violatrici delle norme sociali e pericolose per la società tanto da dover essere inserite in strutture segreganti come il “manicomio”).

Le principali categorie dell’antropologia filosofica jaspersiana sono la “singolarità” (il vissuto, la storicità e la personalità) e la “differenza” dell’individuo (la sua irripetibilità e la sua peculiarità) e soprattutto, i concetti di “naufragio” e di “situazione-limite” (Grenzsituation). Questi concetti non sono solo alla base della sua visione medico-psichiatrica, ma costituiscono altresì i pilastri della successiva riflessione filosofica e della sua polemica socio-politica.

Secondo Jaspers, per ogni “limite” (Grenze) e per ogni “scacco” dell’esistenza umana c’è la possibilità del suo superamento. Questo vale soprattutto per le “situazioni-limite” (dolore, morte, lotta, colpa, naufragio) ovvero per quelle situazioni che rappresentano l’essenza della natura umana nel suo limite strutturale e nella sua impotenza ma, allo stesso tempo, anche nel suo oltrepassamento (“trascendenza”), apertura, comunicazione e “chiarificazione d’esistenza”. Tale dicotomia dialettica di “positivo” e “negativo” (“giorno” e “notte”) del limite costituisce anche il carattere “tragico” dell’esistenza. L’angustia del limite (finitezza) spinge verso l’essere-aperto e diviene quel “salto originario” (Sprung) che dall’esserci (Dasein) - cioè la realtà strettamente sensibile dell’uomo - conduce all’esistenza (Existenz), ossia all’esserci che dal piano del bisogno e della necessità sensibile è passato a quello della possibilità e della libertà divenendo così capace di decisione, di vita autentica e di sviluppo storico. Nell’accettazione del limite l’esserci passa dalla pura immanenza all’esistenza come “trascendenza”, cioè come qualcosa che “va-oltre” la datità immediata e che scuote nell’individuo lo slancio del proprio essere tanto che, secondo Jaspers, “sperimentare le situazioni-limite equivale a esistere”. Questa contraddittorietà problematica è presente nell’approccio fenomenologico-psichiatrico jaspersiano alla malattia mentale - laddove afferma che la malattia mentale non è una variazione della dimensione della salute, ma una nuova dimensione della vita - e la si ritrova anche in questa più matura riflessione filosofica: il “limite” mette in comunicazione profonda l’uomo con se stesso e con l’Altro.

Quello della “comunicazione” è un altro nodo ermeneutico e problematico a cui Borrello dedica ampia trattazione proprio per rimarcare il fatto che secondo Jaspers l’individuo è tale nella sua singolarità e unicità non in quanto ab-soluto, sciolto dall’alterità, ma perché, pur essendo libero, è legato all’Altro. La comunicazione è relazione duale, è relazione tra due esistenze “in carne e ossa”, è comunicazione esistenziale, è un riconoscimento reciproco, è una necessità intrinseca alla realizzazione dell’esistenza stessa che è incompletezza, è una conquista, un processo lento che prevede la dialettica “solitudine-comunicazione”, cioè la consapevolezza della propria singolarità in una relazione con l’altro. Per questo la comunicazione esistenziale è qualitativamente differente dalla “comunicazione mondana” che invece promuove una massificazione della singolarità, un’eclissi del sé troppo condizionato dalla pressione sociale, e un mero scambio utilitaristico e programmatico con l’altro.

Individuo, singolarità, soggettività, esistenza, comunicazione esistenziale: sono questi i termini-chiave attraverso cui Borrello riflette sul pensiero e sull’opera di Karl Jaspers medico-filosofo e introduce alla sua visione etico-politica, una visione fondata sul rapporto tra verità (libertà) e politica, sui concetti di “politica nuova” e senso della storia, sul trittico autorità-libertà-responsabilità. Ed è proprio sul significato di “comunicazione duale” che l’autrice traccia le coordinate della riflessione etico-politica di Jaspers: sebbene la comunicazione esistenziale sia una relazione duale che disdegna l’uso della strumentalizzazione, del potere e dell’astuzia, tuttavia non tutte le relazioni duali sono positive. L’interazione politica è per esempio, secondo Jaspers, una forma duale negativa perché agisce nell’ambito dell’insincerità e ricorre a specifici mezzi di lotta e di inganno per ottenere prestigio, denaro e successo. Dunque: se gli indici della “comunicazione esistenziale duale” sono la “ragione” - intesa come la dimensione dell’esistenza per cui questa si apre alla comprensione dell’essere e in primo luogo del proprio essere -, l’“amore” - ossia quella “lotta” amorosa e quell’“urto” che ha una funzione unificatrice e attraverso cui avviene il riconoscimento di un sincero legame tra due esistenze e della convivenza dei popoli - e “l’esigenza della verità”, allora essi non sono affatto categorie astratte, ma categorie intrise di senso vissuto che permeano l’esistenza dell’uomo e il suo senso di libertà, e che si configurano come sfere dell’umano.

Nella seconda parte del testo (“La filosofia come cura dell’ordinamento mondiale”) Borrello riprende proprio dal sostrato medico-filosofico i concetti jaspersiani di “singolarità” e “differenza”, di “coscienza del limite e trascendenza”, di “libertà” e “verità” sottolineandone lo spessore etico-politico, spessore che testimonia una svolta nel suo pensiero critico che dal piano medico-filosofico si spinge sul terreno della politica. È questa una dimensione inedita della sua riflessione teorica all’interno della quale la filosofia dell’esistenza compare come uno strumento capace non solo di curare il “singolo” ma anche di sanare l’ordinamento mondiale che accusa una progressiva perdita di senso. Jaspers conduce una critica radicale alla società di massa; all’avvento dei totalitarismi alla tecnicizzazione dell’esistenza; alla strumentalizzazione delle emozioni e degli affetti (Scuola di Francoforte); all’ambiguità della scienza nella sua duplice funzione di ‘progresso’ e ‘regresso’; alle ideologie (le superstizioni scientifiche e spirituali) della opulenta società borghese che conducono alla lenta e inesorabile perdita della soggettività e della libertà; al pericolo della bomba atomica; alla reificazione dell’uomo. Jaspers compie queste riflessioni estremamente attuali sotto l’urto di avvenimenti cruciali e drammatici della storia del Novecento successivi al primo grande conflitto mondiale (gli anni drammatici e inquieti dell’assestamento della Germania e dell’Europa): l’avvento del nazismo, il dibattito sulla “colpa della Germania”, la “guerra fredda”, la costruzione del muro di Berlino; eventi che costellano la vita dell’uomo-Jaspers e che sono determinanti per lo sviluppo del suo interesse etico-politico verso il proprio tempo.

La visione jaspersiana della politica risente profondamente della sua concezione della pratica medica da cui egli attinge soprattutto due concetti: “singolarità” e “differenza”. La concezione della medicina come “cura” del soggetto nella sua interezza e nella sua irripetibile peculiarità viene trasferita nella visione politica intesa né come pura amministrazione e gestione delle cose, né come ciò che si appella a leggi universalistiche (sotto l’egida della “comunità d’interessi”), ma come quella dimensione che, elevata ai ranghi dell’etica e della filosofia, si manifesta come una possibilità autentica dell’esistenza, come espressione dell’universale che è insito dentro l’uomo, come un itinerario di ricerca della verità e del senso della vita che sostiene l’agire umano in tutte le sue forme in maniera equilibrata e responsabile. Di qui la ferma condanna di Jaspers alle tendenze disgregatrici presenti nella società del tempo (lo smodato uso dell’aborto, del divorzio, del suicidio e della mercificazione della donna); all’abuso della tecnica e della scienza; alla deresponsabilizzazione dell’uomo moderno che tenta continuamente di rifugiarsi nella mondanità per cercare rassicurazioni alla sua lacerante inquietudine e alla sua angoscia esistenziale anziché avere “cura di sé” (sicurezza come sine-cura) nella ricerca di una “significazione esistenziale”.

Dunque: se per il giovane Jaspers ‘medico’ la malattia mentale va compresa come una dimensione “altra” della vita, e se la “cura” va intesa come una “chiarificazione d’esistenza” (di qui la concezione del rapporto medico-paziente come “immedesimazione”, Einfühlung), lo Jaspers ‘maturo’ non fa che coniugare questo nuovo e profondo significato di cura con la sua concezione politica. Questa trasposizione è la vera originalità della seconda fase del pensiero di Jaspers: ora la “cura” si sposta nell’ambito pubblico e dell’ordinamento mondiale, e questo appare evidente soprattutto nel concetto jaspersiano di democrazia. “Democrazia” è il termine-chiave attorno a cui Borrello sviluppa la seconda parte del saggio nella quale ella mostra chiaramente la curvatura antropologica e politica del concetto di “trascendenza” e la specifica valenza “pratica” della filosofia del pensatore tedesco. Secondo Jaspers “democrazia” vuol dire che ogni singolo individuo, come facente parte del popolo, deve agire avendo cura del tutto, cioè compiendo scelte ben precise e assumendosi le proprie responsabilità non solo nell’applicazione solipsistica della sua libertà individuale, ma anche a livello meta-storico.

Individuo e società, democrazia e libertà, “uomo politico” (che manipola il consenso della massa umana affinché l’obbedisca) e “uomo di Stato” (che usa il suo potere non come fine ma per adempiere al suo alto compito di educare il popolo alla ragione e alla libertà) divengono le principali discriminanti per valutare la differenza tra le forme di democrazia apparenti e quelle vere. L’idea autentica di democrazia rischia di andare perduta in una società in cui la democrazia stessa diventa formale fino a decadere a mero strumento di manipolazione della singolarità. Le forme oggettive della democrazia (garanzie costituzionali, leggi) sono necessarie ma non sufficienti, perché non c’è vita democratica che non si fondi sulle scelte soggettive degli individui e dei popoli e che non affondi le sue radici in un ethos della vita democratica e comunitaria. Jaspers non crede nella realizzazione della democrazia come forma di governo del popolo (perché ormai il popolo è degradato a “massa” informe e omologata), ma confida in una comunità aperta di spiriti liberi che siano legati da affinità elettiva e dalla consapevolezza di svolgere un compito in vista di un “bene comune” dell’umanità. Riconoscimento e accettazione del limite e tendenza alla trascendenza sono le coordinate principali di questo compito: l’atto del trascendere non produce conoscenza, ma un mutamento di pensiero, una metanoia, una conversione, un cambio di prospettiva che non solo trasforma il rapporto che l’uomo ha con il mondo e con l’Altro, ma cambia anche il rapporto che egli ha con se stesso e con la propria esistenza, il rapporto che egli ha con la propria finitezza, con la lacerazione che la coscienza della propria contraddizione comporta. La filosofia dell’esistenza può aiutare l’uomo in virtù della sua capacità di chiarificare le situazioni(-limite) e di convertire il negativo - cioè la mortificazione e il disagio esistenziale che può sorgere in seguito alla drammatica presa di coscienza del limite e della finitezza - in positivo, ovvero in un “andare-oltre”, in un ampliamento del proprio orizzonte di senso ontologico ed esistenziale, in un processo di autorivelazione e di autentico “divenire-se-stesso”

Questo è il notevole portato della filosofia di Karl Jaspers (che per certi aspetti rimanda ad una chiara matrice filosofica greca) e che Borrello valorizza soprattutto all’interno di quella pratica che si chiama “consulenza filosofica”, ossia quella relazione d’aiuto che usa la filosofia come strumento di cura del disagio esistenziale, che intende la filosofia anzitutto nel suo valore psicagogico, come guida dell’animo e come “cura” del proprio se stesso e come autentica fondazione di libertà.

Il punto principale del pensiero di Jaspers è proprio il rapporto dell’uomo con quella “lacerazione” da cui egli stesso ha origine (la lacerazione natura-logos) e da cui la sua stessa esistenza è costantemente sottesa e attraversata. La sofferenza che deriva dalla coscienza di questa strutturale fragilità non va rimossa ma affrontata e superata attraverso quello che Jaspers definisce il “sapere tragico”: nell’esperienza tragica del naufragio dell’esserci, tra il nulla e Dio, c’è un impulso alla redenzione che lascia scorgere l’aprirsi dell’uomo al suo autentico essere come libertà e trascendimento. Il tragico non sta nella prostrazione di fronte alla sventura e alla rovina, ma nell’assunzione su di sé del pericolo e dell’ineludibilità della colpa, nell’accoglimento della rovina e nella coscienza del proprio limite in vista di un atto della realizzazione. Questo è il compito della filosofia e questo è altresì il compito di una “politica nuova”, ovvero di una politica che operi una radicale trasvalutazione dei valori in direzione di una restituzione di senso della vita e di un rinnovato agire.

Borrello, Giovanna, La filosofia come cura: Karl Jaspers filosofo e medico. Dall’antipsichiatria alla politica attraverso una filosofia dell’esistenza.
Napoli, Liguori, 2009, pp. 192, € 15,90, ISBN 9788820748432.