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Bye bye Obama

di Alessandro Farulli - 17/02/2010

 

 

Se i film d'azione ci hanno insegnato qualcosa, questa è che arriva sempre la resa dei conti. I buoni e i cattivi, però, nella vita reale non sono categorie così nette e prevale quasi sempre il grigio. Affogati nella nostra quotidiana gelatina in una società sempre più poltiglia, salire su un albero per gridare al cielo tutta la nostra delusione contro Obama, sembra davvero puro amarcord, ma trascende da ogni nostro controllo.

La pancia stavolta vince di gran lunga sulla testa di fronte a tutto quello che il neopresidente Usa aveva promesso e che non ha mantenuto. Non è solo l'ultima calata di braghe nei confronti della lobby nuclearista a farci dare degli illusi davanti allo specchio, ma l'elenco dei vorrei ma non posso (ma posso fare altro) che stanno costellando questo suo primo anno alla Casa Bianca.

Vogliamo parlare dell'Iraq? Vogliamo parlare di Copenhagen? Vogliamo parlare delle mine antiuomo? Vogliamo parlare appunto dell'energia? Ci scuseranno gli americani in attesa della riforma sanitaria, ma questa per il pianeta è una manovra - buona e giusta per carità - ma di ben poco peso specifico rispetto alle emergenze vere e le sfide che pesano sull'umanità tutta.

Ci abbiamo creduto, lo abbiamo scritto in tutte le salse e sarebbe piuttosto incoerente oggi far finta di nulla. Siamo un giornale con un punto di vista preciso (condivisibile o meno che sia), ma che di certo non fa mistero di come la pensa. Oggi, però, è la resa dei conti. E questi non tornano affatto per l'economia ecologica.

Puntare sull'auto elettrica e sul nucleare e a contorno le rinnovabili, è troppo poco. Non prendere in mano la situazione a Copenhagen per far diventare l'accordo vincolante è stata una sciagura. Ha permesso a chiunque di sparare sul global warming e sull'Ipcc.

La rivoluzione verde è partita anche grazie alle affermazioni di Obama che di fatto ha lanciato il concetto di "green economy" urbi et orbi, ma non si è andati molto più avanti di così. La crisi, dicono, e la difficoltà di governare un Paese così complicato hanno impedito all'uomo del cambiamento di cambiare davvero gli Usa. Che invece avrebbero potuto aprire la strada a un cambiamento della politica mondiale tanto da poterla forse trainare verso un'economia più sostenibile ambientalmente e socialmente. Ma nulla di tutto questo è accaduto.

Accadrà più avanti? Stavolta non ci sbilanciamo più. Ci lecchiamo, quindi, le ferite e se guardiamo in casa nostra ci servirebbe una farmacia intera a disposizione... Dal nazionale al regionale al locale, le battaglie degli ambientalisti - anche di quelli che hanno superato il protezionismo sic et simpliciter come ci riteniamo noi - sono alla mercé degli umori dei politici e non, come dovrebbe essere, della politica. Destra o sinistra si confondono sui territori (basta leggere le rassegne stampa) e non è antipolitica, è fredda cronaca.

Con il che non siamo alla condivisione dell'economia ecologica come a un certo punto abbiamo anche noi sperato, ma alla triturazione delle questioni ecologiche ai fini meramente propagandistici che si rivelano solo tema di discussioni e indecisioni infinite. Nessuna pratica della programmazione (quando c'è), insomma. Esattamente l'opposto di quello che pretenderebbero le crisi in atto (ecologica, economica, sociale e alimentare).

Così di fronte alla delusione generale e al comunque "bellissimo spreco di tempo" per dirla alla Lorenzo Cherubini, che ci ha permesso di guardare a un domani finalmente migliore, oggi incassiamo il colpo.