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Dubai Confidential

di Christian Elia - 18/02/2010





Gli assassini del leader di Hamas hanno un volto: tutto indica i servizi segreti israeliani come gli esecutori materiali

Paul si alza presto, come ogni mattina. Ieri, però, non è stato per lui un giorno come gli altri. Nell'edicola dove compra il giornale, quando arriva, lo guardano come un alieno. Gli basta comprare la sua copia del suo quotidiano di fiducia per capire il perché. E per farsi andare di traverso il caffè.

Una brutta sorpresa. La polizia di Dubai, in una conferenza stampa tenuta ieri mattina, ha pubblicato i nomi, le foto e i passaporti degli undici componenti del commando che, il 20 gennaio scorso, ha assassinato nell'emirato del Golfo Mahmoud al-Mabhouh, esponente di spicco di Hamas. Tutti passaporti europei, tutti falsi. Uno di questi porta il nome di Paul John Keeley.
"Sono sconvolto...non riesco a capire come possa essere accaduta una cosa come questa", racconta Paul a giornali e televisioni israeliane. Nato in Gran Bretagna 43 anni fa, Paul ha compiuto dieci anni fa la sua aliyah, l'immigrazione verso Israele. Con la moglie e i tre figli vive nel kibbutz di Nahsholim. "Da quando ho saputo di questa storia sono terrorizzato, per me e la mia famiglia", racconta Paul, che mai come oggi avrà rimpianto i suoi due passaporti. "Adesso credo di aver diritto a una spiegazione: aspetto che qualcuno del governo israeliano o dell'ambasciata britannica mi dica qualcosa". Stesse spiegazioni che attendono Sthepen Daniel Hodes, Melvyn Adam Mildiner, Michael Lawrence Barney e Michael Bodenheimer. I nomi di tutti questi ignari cittadini israeliani, con doppio passaporto, sono stati utilizzati dai killer di al-Mabhouh. Stesso stupore per il giornalista di Ha'aretz Or Kashti che, in un articolo molto divertente pubblicato oggi sul suo giornale, racconta lo stupore quando ha visto che la foto di uno dei killer, che usava il nome Kevin Daveron, era praticamente un suo ritratto.

La prova video. La conferenza stampa, in stile lezione universitaria con tanto di maxi schermo, di Dhafi Khalfan Tamim, capo della polizia di Dubai, ha lasciato tutti di stucco. Il funzionario ha ricostruito, attimo per attimo, le ore che gli undici membri del commando hanno passato a Dubai. I passaporti, come detto, erano tutti europei: tre irlandesi, sei britannici, uno francese e uno tedesco. Il commando, una donna e dieci uomini, è giunto a Dubai in ordine sparso, con voli provenienti da località diverse. Hanno anche alloggiato in hotel diversi. Hanno usato sim locali, pagato sempre in contanti e fatto vita da turisti. Le videocamere dell'hotel al-Bustana Rotana di Dubai, nel quale il giorno prima era arrivato l'esponente di Hamas, hanno ripreso i pedinamenti ad al-Mabhouh e hanno mostrato come l'unica donna avesse la camera di fronte alla 230, quella dove alloggiava la vittima. Tamim ha confermato le indiscrezioni delle prime ore: l'esponente di Hamas è morto soffocato, dopo essere stato reso innocuo da una forte scossa elettrica. Resta da stabilire se è stato strangolato, soffocato con un cuscino o avvelenato. Altro aspetto ancora da chiarire è anche come i killer siano entrati nella stanza. Il video, in compenso, fissa la cronologia dell'omicidio. Al-Mabhouh torna in camera, presumibilmente dopo cena, alle 20.24 del 19 gennaio scorso. Alle 20.46 il video mostra due degli assassini che escono dall'hotel, gli stessi due che alle 22.30 sono in aeroporto e lasciano Dubai.

Israele si divide. Tamim ha annunciato che mandati di cattura internazionali sono stati spiccati contro gli undici killer, spiegando che si conta sull'aiuto di Interpol e degli stati coinvolti. Due palestinesi, dei quali non è stato reso noto il nome, sono stati arrestati ad Amman e consegnati alle autorità degli Emirati Arabi Uniti. Sono sospettati di aver fornito appoggio logistico al commando, segnalando gli spostamenti di al-Mabhouh. "Qualcuno ha collaborato sicuramente al suo omicidio", ha commentato Tamim. "Al-Mabhouh non era entrato con il suo vero nome a Dubai, altri lo avranno segnalato al commando". Rispetto ai mandanti Tamim non si sbilancia. "Non abbiamo, fino a questo momento, elementi probanti per ritenere i servizi segreti israeliani coinvolti nella vicenda", ha risposto Tamim alle domande dei giornalisti, "ma non ne abbiamo neanche per escluderlo. Israele ha ucciso molti suoi nemici all'estero, anche in paesi ritenuti alleati". Il governo israeliano non ha, ancora una volta, commentato l'accaduto. Solo il ministro degli Esteri Lieberman ha negato in modo esplicito il coinvolgimento di Tel Aviv. La stampa israeliana, invece, si è scatenata sull'argomento. Alcune testate, come il Jerusalem Post, hanno preso una posizione decisa, ritenendo l'omicidio di al-Mabhouh un ''duro colpo inferto all'asse del male''. Yossi Melman, editorialista di Ha'aretz, scrive che "Israele non avrebbe nulla di cui vergognarsi nell'aver eliminato al-Mabhouh" che, come confermato da fonti di Hamas, si trovava a Dubai per acquistare armi iraniane per le Brigate Izz Al-Din al-Qassam, ala militare di Hamas. Altre firme sono più caute, ma in molti si pongono domande sulle tecniche del Mossad, l'intelligence israeliana.

Mossad globetrotter. L'imbarazzo suscitato a Londra, Dublino, Berlino e Parigi per il fatto che siano stati usati passaporti contraffatti non è stato espresso da nessuno dei governi interessati, ma non ha fatto certo piacere. La storia del Mossad è fatta di operazioni all'estero. Basta pensare all'operazione Ira di Dio, che il premier israeliano Golda Meir ordinò per vendicare il massacro degli atleti d'Israele a Monaco durante le Olimpiadi del 1972, raccontata nel film di Steven Spielberg Munich. Un modus operandi che anche l'Italia conosce bene, come racconta l'ottimo libro di Eric Salerno Mossad-Base Italia pubblicato in questi giorni per i tipi del Saggiatore. Nel nostro Paese, con una dinamica non degna 'dell'unica democrazia del Medio Oriente', venne rapito e riportato in Israele l'ingegnere nucleare israeliano Mordechai Vanunu, accusato di violazione del segreto di Stato in quanto si era voluto sottrarre al programma nucleare d'Israele denunciandone l'esistenza. Al di là dell'etica delle missioni all'estero, è finita nel mirino della stampa d'Israele anche l'affidabilità di quello che per anni è stato ritenuto il miglior servizio segreto del mondo. "Ormai anche i bambini sanno che ci sono telecamere dappertutto", scrive Amir Oren su Ha'aretz, "se sono loro, possibile farsi inquadrare tutti? E usare nomi di cittadini israeliani realmente esistenti?".
Inoltre le tecniche sono note a tutti. In un racconto pubblicato tempo fa, dal titolo Duet in Beirut, l'ex agente segreto israeliano Mishka Ben-David sembra raccontare per filo e per segno l'omicidio di al-Mabhouh. Alla faccia della segretezza. Sul banco degli imputati il capo del Mossad, Meir Degan, del quale molti chiedono la testa, ma che continua a godere dell'appoggio del premier israeliano Netanyahu.

Scenari complessi. Adesso, sepolto al-Mabhouh nel cimitero del campo profughi palestinese di Yormuk in Siria, acclamato da migliaia di persone e accompagnato dalle promesse di vendetta di Hamas, restano molte pagine da scrivere sugli intrecci di questa vicenda.
I primo luogo i due palestinesi arrestati. Hamas e Fatah hanno cominciato subito a coprirsi d'insulti. Per il movimento islamista che tiene il potere a Gaza sono due agenti della polizia del Fatah, per gli uomini di Abu Mazen invece si tratta di traditori interni ad Hamas. Di sicuro, però, la soffiata arriva da Damasco, dove al-Mabhouh viveva da anni assieme alla leadership di Hamas in esilio. Damasco è ancora un posto sicuro per loro, dopo che il regime di Assad si avvicina sempre più all'Occidente?
Dubai, poi, è sempre meno quel paradiso turistico che si racconta, ma il più grande hub mondiale di traffici illeciti. Uccidere al-Mabhouh proprio a Dubai, per alcuni, è un messaggioo agli emiri: basta far transitare le armi e i soldi iraniani verso Hamas, Hezbollah e verso i gruppi sciiti in Yemen e in Iraq. Inoltre, perché al-Mabhouh viaggiava solo? Secondo la sua famiglia, sei mesi fa a Beirut, avevano tentato di avvelenarlo, lasciandolo il coma per trenta ore. Viaggiava sempre con una scorta numerosa, mentre questa volta viaggiava solo, come conferma lo stesso Tamim.
La partita del grande gioco in Medio Oriente non è finita.