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Non sposare mai la cugina

di Silvia Ronchey - 23/02/2010

    
 
Silvia Ronchey recensisce il libro di Maurizio Bettini, Affari di famiglia, un saggio di antropologia che esamina la concezione dei legami parentali nel mondo romano.
Il libro di Bettini mette in evidenza come la struttura della famiglia romana fosse incentrata sul ruolo del
pater familias, ma soprattutto come essa si basasse sulla costruzione di legami parentali attraverso l’incentivazione di matrimoni esterni alla famiglia (esogamia). Nella Roma classica, infatti, i matrimoni tra consanguinei erano condannati, a differenza di quanto avveniva presso altre culture coeve o successive. Ciò era determinato dalla preoccupazione di estendere i legami di sangue in modo da creare un gruppo parentale il più ampio possibile.

«Occorrono troppe vite per farne una», scriveva Montale. Se consideriamo le società un organismo vitale, come fa l’antropologia strutturale, possiamo dire che «le innumerevoli vite che si sono succedute sommandosi, incrociandosi, separandosi all’interno diun gruppo umano» formano la struttura prima della vita di una società. Questa tessitura è la «parentela». Un grande affectus umano è profuso da Maurizio Bettini, che in Affari di famiglia raccoglie e rielabora un trentennio di studi sotto il segno di quella colta figlia dell’antropologia strutturale che è l’antropologia del mondo antico. Applicare i suoi metodi di studio all’antica società che chiamiamo «classica», e nelle cui tensioni mitiche, espressioni narrative, linee speculative e forme associative riconosciamo le nostre radici, è stato ed è fondamentale per capire meglio, attraverso il passato, anche il presente. Ma riandare alla spola originaria della tessitura sociale, decifrare, attraverso il codice della parentela, la singolarità della struttura profonda da cui la società antica si genera, analizzando, sul «terreno» della filologia, le forme della parentela, il modo in cui in quella società si entrava e ci si sentiva affini, è ciò che fa, come direbbero gli americani, la differenza: è duro, è minuzioso, può anche apparire gravoso, ma ci fa compiere il vero salto conoscitivo sull’antichità classica. Dall’esame della terminologia latina delle parentele ordinate in senso verticale, orizzontale e trasversale fino alla determinazione del «grado», possiamo verificare, tramite una semantica tutta vegetale (tronco - ceppo - stirpe - pollone), il ruolo fondamentale del pater come determinante la natura e l’origine — ecco lo sviluppo di una società patriarcale a Roma. Oppure, chiamando a testimone Agostino, possiamo osservare che condannando l’unione non solo tra fratelli ma anche tra cugini si intende non tanto e non solo evitare l’incesto ma anche estendere i legami tra il maggior numero di famiglie — ciò che per Agostino è l’allargarsi di una comunità religiosa ma per la cultura latina il rendere più coesa la società civile. «Da Roma arcaica a Grazia Deledda - commenta Bettini - noi siamo quelli che non sposano la cugina». […] Nella struttura della parentela romana vediamo che fin dalle origini, attraverso la cognazione, la coppia generatrice delega il potere generante ad altri nuclei cui affida le proprie donne, costruendo così gradualmente una serie molteplice e sempre più ampia di relazioni destinate a formare una società. L’ostacolo principale a questa tessitura è proprio l’incesto, che per questo, oltre che per motivi naturali divenuti anche religiosi, viene condannato nel mondo grecoromano, a differenza che in quello egizio, dove i faraoni sposavano le proprie sorelle. Se le famiglie del potere assoluto in Europa tendevano a incrementare la parentela con i consanguinei, alla base delle democrazie c’è invece l’intento di trasferire i «semi liquidi». Il che, in un mondo globalizzato, dovrebbe essere motivo non di timore, ma di speranza, oltre che di conferma delle tradizioni grecoromane.

Maurizio Bettini, Affari di famiglia. La parentela nella letteratura e nella cultura antica, Il Mulino, 2009.