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L'Italia che frana

di Enea Baldi - 25/02/2010

C’è da dire che ormai gli scandali legati agli appalti per la ricostruzione edilizia per cause inerenti a smottamenti e frane, vanno di pari passo con il “business” dei terremoti.
Mentre gli organi di stampa e televisivi continuano a mettere in primo piano le prestazioni sessuali di Bertolaso, con o senza preservativo, l’Italia frana.
In questo momento ci sono paesi come San Fratello, un gruppo di case aggrappate alle pendici dei monti Nebrodi, e Maierato in provincia di Vibo Valenzia, che sono stati travolti dalla discesa inesorabile della montagna.
Paesi a cui è toccata la stessa sorte di Scaletta Marina, Giampilieri, Briga e Scaletta Zanclea, nel messinese, abbandonati senza aiuto dall’inizio di ottobre.
Questo è il vero scandalo, complici i media embedded, che continuano ad eludere l’informazione creando ad oc nuovi personaggi pronti a divenire Vip, ballerine brasiliane, fisioterapiste confuse e magari, sotto sotto, scavando nel “fango”, potrebbe uscire anche l’ennesimo trans, con cui ama sollazzarsi il politico o l’imprenditore di turno.
Eludendo appunto, notizie riguardanti miliardi di euro spesi in grandi opere inutili, spesso in rovina prima o subito dopo l’inaugurazione, dagli stadi del nuoto ai megaimpianti della Maddalena.
Una ridicola conseguenza dell’assurdo organo della Protezione civile, una struttura prevista per le emergenze naturali,  impegnata invece a programmare eventi di ogni genere e di nessuna utilità, come il giubileo del 2000 o la beatificazione di padre Pio.
E tutto questo mentre l’Italia frana. Quando basterebbe, invece di aspettare i disastri, per poi rattoppare alla meglio centri storici cinquecenteschi, agire in maniera sistematica e preventiva così da evitare  situazioni del genere e con una spesa sicuramente più contenuta.
Riforestare, com’erano in origine, i costoni franosi come quello che si è visto in movimento a Maierato; rinforzare e alzare gli argini; pulire i corsi d’acqua da tutto quello che sistematicamente ostruisce e ritarda il deflusso dei fiumi; ripulire i boschi prima che il caldo dell’estate, o il dolo, faciliti gli incendi; demolire le case costruite (anche se con tanto di autorizzazione comunale…) sui greti dei torrenti, che li trasformano in fiumare devastanti e incontrollabili alla prima pioggia prolungata, come è accaduto a Giampilieri, nel messinese; avviare opere urgenti di risanamento strutturale antisismico degli edifici abbandonati e fatiscenti, ed adibirli a civili abitazioni rurali.
Tutto ciò avrebbe un impatto positivo anche dal punto di vista occupazionale e comporterebbe un risparmio economico notevole.
Molte frane si sono susseguite in Italia dopo quella di Sarno del 5 maggio del ‘98, tra le più rilevanti quella che si è abbattuta nel messinese nell’ottobre del 2009 e quelle di questi ultimi giorni in Calabria… le chiamano frane assassine.
Ma in Italia le carte che delimitano le aree a rischio esistono da diversi anni, e la Protezione civile sembra avere in queste occasioni, a parte la tempestività esecutiva e mediatica dell’intervento acuto, soltanto un potere di “monitoraggio tecnico”, che tradotto significa “segnalazione di zona ad alto rischio geologico”.
Il vero ed unico fatto immorale di tutta questa storia sono i soldi utilizzati per le ricostruzioni “selvagge”, sempre più copiose, come le piogge (anche loro assassine), le vere responsabili, a quanto pare, di questa Italia che frana.