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Filippani… la scienza e le guerre indolori

di Claudio Lanzi - 28/02/2010

Fonte: simmetria

 

 

Questo titolo, pur richiamandosi al celebre orientalista recentemente scomparso, non parlerà affatto di lui. Solo per elencare la bibliografia che lo riguarda, tra testi, articoli, conferenze, lezioni universitarie, ecc., ci vorrebbero una cinquantina di pagine. Per cui parleremo del modo con cui la cultura ufficiale fa lo slalom per evitare gli argomenti scomodi.

Due anni fa pubblicammo una serie di interventi dei nostri lettori sul CERN, sul famoso “Bosone” e… sui soldi spesi per la cosiddetta ricerca del medesimo.  Cio’ ci ha gratificati, di alcune sporadiche accuse di superficialità, di qualunquismo scientifico, ecc.. Eppure coloro che intervennero a suo tempo su tale tema non erano proprio delle persone scientificamente sprovvedute, anzi, alcuni erano stati “ricercatori” istituzionali, e gli interventi non erano “contro” la scienza o la ricerca in sé, ma solo contro un certo modo di intendere scienza e ricerca.

E’ sempre stupido chiedere ad una massaia “Lei che ne pensa del nucleare”. Ma non è stupido accettare le paure della massaia ed eventualmente spiegare, ad esempio, perché il carbone può essere pericoloso quanto e più del nucleare. Ancora più interessante è spiegare perché la “scienza” è diventato un termine su cui può discettare Cecchi Paone insieme a Veronesi ma non può parlarne il Papa oppure il filosofo non “evoluzionista”.

Proprio per tale ragione l’appiattimento scientista (non scientifico) sulla assoluta priorità dell’indagine galileiana rispetto a problemi d’ordine etico o religioso, ci ha sempre infastiditi; forse proprio perché, nel nostro piccolo, un po’ di ricerca in ambito istituzionale (quella che viene “finanziata” dagli appositi organismi e che usa mezzi tecnologici a profusione), l’abbiamo fatta anche noi a suo tempo, e conosciamo il problema e i suoi “bachi” “dal di dentro”.

L’autoreferenza che buona parte del mondo scientifico usa di fronte a tali problemi (gli “ipse dixit” della Hack o di simili nature) sono, come più volte da noi proposto, l’espressione del massimo fideismo “laico” che si esercita benignamente “ex cathedra”. 

In seguito, e la cosa potrebbe sembrare priva di relazione con il capoverso precedente, pubblicammo un commento sulla posizione di Giovanni XXIII in merito all’uso della lingua latina; e ciò ci provocò delle ovvie accuse di oscurantismo.

Perché?

Perché “non si può tornare indietro”, perché il “progresso va avanti”, ecc., perché “il latino è una lingua morta”, perché “tutti devono capire le cose”, perchè ci vuole la…democrazia per tutti, dalla tecnologia, allo spirito…ecc.. Come se i “misteri” diventassero laicamente meno “misteriosi” se accompagnati da una chiacchierata in italiano.

Insomma: mentre per alcuni è lecito che di fronte al magistero “scientifico” gli unici autorizzati ad esprimere giudizi siano i sedicenti scienziati (o i loro fan mediatici più o meno progressisti), non è altrettanto lecito che, di fronte al magistero spirituale, gli addetti ai lavori (nel caso specifico, il Papa) siano abbastanza qualificati per esprimere il loro giudizio. Invece Elton John può ragionevolmente dire che Gesù Cristo era gay. E nessuno se ne preoccupa più di tanto. Ma perché?

Un ulteriore esempio di come la comprensione di un atto semplice come l’estremo saluto ad una persona scomparsa, possa essere pesantemente condizionato da una prevenzione politicamente “democratica”, lo abbiamo avuto recentemente, quando abbiamo pubblicato un brevissimo necrologio, in seguito alla scomparsa del Prof. Pio Filippani Ronconi.

Sembra impossibile ma alcuni lettori hanno visto, in tale necrologio, un ideologismo politico, nonostante la nostra dichiarata e convintissima estraneità da qualsiasi formazione politica o settaria. A fronte di quest’ultimo episodio, dobbiamo purtroppo rilevare che, ad esclusione dei siti fortemente “ideologizzati” e schierati dal punto di vista politico, ben pochi si sono occupati di Filippani e della sua scomparsa.

Il fatto che sia stato un monumento di sapienza orientalistica e che buona parte dei docenti (di sinistra o di destra) che oggi esplorano tali settori abbiano pedissequamente studiato sulle sue lezioni, passa… sotto un farisaico silenzio.

Il marchio “infamante” di aver combattuto, e per di più convintamente, per il “male assoluto” costringe professori ed allievi a leggerlo di…nascosto. Ma si può essere più ipocriti?

Insomma, è difficilissimo parlare di personaggi o situazioni senza che il mondo si divida in due: Quello dei “nostalgici” a mano tesa che magari, senza capire molto della parte culturale, scientifica e spirituale delle ricerche del loro “maestro”, ne esaltano ciecamente la appartenenza “politica” o lo schieramento ideologico, e quello dei “progressisti” che assai spesso hanno studiato (e a volte scopiazzato) sui suoi libri, ma… se ne vergognano e non lo mettono neanche nei riferimenti bibliografici.

A quanto pare c’è una assoluta incapacità, a livello collettivo, di apprezzare il valore delle idee o della vera ricerca, senza essere condizionati dalla “appartenenza politica” di una persona. Noi ci abbiamo speso un mucchio di editoriali ma, a quanto pare, o non vengono letti (cosa probabile e lecita) o non vengono compresi, oppure (e anche questo è possibile) diciamo un sacco di corbellerie e non ce ne rendiamo conto.

Il che dimostra comunque che la pre-venzione o il pre-giudizio, condizionano qualsiasi avventura umana.

E ciò, purtroppo è inevitabile.

Durante la nostra ormai lontana giovinezza, Mazzini e Garibaldi venivano considerati, insieme a Cavour, “padri della patria” e guai a metterlo in dubbio.

Eppure gli assassinii a loro afferenti (e le vere e proprie stragi, nel caso di Garibaldi) non sono davvero pochi. Questo non vuol dire che quella cosa che oggi chiamiamo Italia, non sia nata anche per la loro opera.

I carbonari, i bombaroli ottocenteschi che compivano stragi, alimentati da una massoneria tuttaltro che deviata compaiono nei libri di storia come eroi. Ma magari quelli che morirono per causa loro, non gradirono affatto il loro eroismo.

I Russi Bianchi massacrati dai Rossi sono sempre stati considerati dei traditori nella storia vista in chiave Leninista. Ma vale anche il viceversa.

Il pilota americano che ha tirato la bomba su Hiroshima ed ha ucciso centinaia di migliaia di persone è stato considerato un eroe, anche se con enorme imbarazzo, ma forse i superstiti di Hiroscima la pensano in modo diverso.

Giulio Cesare impose ai Galli (donne e bambini) supplizi inenarrabili, eppure Cesare è considerato un colosso della storia politica e militare. Ed è indubbio che lo sia stato realmente; ma forse Vercingetorige non la vedeva allo stesso modo.

Non ci sembra che ci sia qualcuno, che abbia lasciato una impronta, piccolissima o grandissima, sulla storia politica dell’umanità, che non abbia sulle spalle un po’ di sangue o di sofferenza di qualcun altro, a partire da coloro che hanno “liberato qualcuno da qualcosa… per renderlo schiavo di qualcosa d’altro”.

Agire vuol dire prender parte, vuol dire combattere (altri preferiscono l’ipnotico termine “dialogare” o “confrontarsi”), vuol dire guerra più o meno cruenta, di parole o di fatti, alla faccia di tutti coloro che quando lanciano i missili intelligenti dicono di farlo per la pace.

Scegliere vuol dire che qualcuno sarà felice della nostra scelta ed altri si incavoleranno come bisce. Non scegliere ottiene esattamente lo stesso risultato, ed è comunque…una scelta.

E allora che facciamo? Gli equilibristi?

Prendiamo atto che la scelta o la non scelta avranno comunque delle conseguenze. Questo è comprensibile. Ma bisogna anche accettare che sia il rancore, l’odio di parte, come l’acquiescenza verso il politically correct, portano ugualmente a disconoscere il contributo immenso di personaggi scomodi, pericolosi, a volte anche “estremi” come il Filippani stesso.

Eppure chi non ha fatto nulla, né di buono né di “cattivo”, o ha fatto poco…anche se non crea rancore, Dante lo sbatte nel girone degli ignavi, in quanto i danni prodotti dalla ignavia non sono minori di quelli prodotti dall’ira o dagli altri vizi capitali.

Rendere onore a chi è morto e che ha lasciato una enorme traccia nella cultura di questo mondo è un atto dovuto, quanto meno un atto di rispetto per l’intelligenza.

E dedicare tale rispetto soltanto a coloro che presupponiamo che non abbiano ombre o equivoci nella loro esistenza, vuol dire alimentare la presunzione di coloro che sono certi di militare perennemente dalla parte della ragione e della chiarezza.

E senza voler avallare facili filosofie relativiste, è ovvio che un mondo senza ombre vuol dire un mondo senza luci. L’uomo è fatto di luci ed ombre e quelle che per alcuni a volte sono ombre, per altri sono luci. E quelli che presumono di essere sempre nella luce vuol dire che hanno… dei gravi problemi alla vista… e, per non sviluppare fotofobie, è bene che si mettano gli occhiali scuri.

Questa è una cosa difficilissima da capire per gli esportatori di democrazie, ma anche per i “buoni” di ogni età, religione, etnia.

Spesso si uccide per uccidere il Male (che magari, colui che è ucciso, considerava Bene) oppure si presume di essere buoni per “pacifismo ad oltranza” e ci si nasconde dietro le “leggi” o l’etica sociale del momento. Chi sono i buoni? E qual’è “l’etica assoluta”. I secoli passano e la storia rivoluziona, condanna ed assolve continuamente i ricordi, stravolge i campi, sposta coloro che erano buoni nel campo dei cattivi e viceversa.

Ci sembra bene che le stragi dei turchi sugli armeni, dei russi sui ceceni, dei ceceni sui russi, degli ebrei sui palestinesi, dei palestinesi sugli ebrei, dei cinesi sui tibetani, ecc. ecc. siano state tutte contrassegnate da migliaia di episodi di fede, a volte consapevole, a volte acefala in un ideale; da eroismi, da crudeltà inaudite, da vigliaccherie, da coraggio, da violenza. Tutte valenze dell’animo umano, supportate spesso dall’istinto ed altre dalla ragione.

E poiché tutti sostengono di aver ragione viene il sospetto che la ragione non può essere avvalorata dalla statistica delle maggioranze.

Non ci sembra che in questi, come in tanti altri casi, siano mai state le idee a combattersi fra loro, ma gli uomini.

Sono gli uomini a decidere chi sono gli eroi, chi sono i mostri e… perfino chi sono i santi. E se dal nostro punto di vista alcuni eroi ci sembrano mostri e alcuni mostri ci sembrano santi, potrebbe anche essere che alcuni santi non siano poi così eroi, e alcuni eroi non siano mostri.

La violenza è nella natura dell’uomo e la storia umana ci insegna come la violenza organizzata in diplomazia o in “dialogo”, esploda spesso in forme di crudeltà assai peggiori e subdole della guerra stessa.

Eraclito ci racconta che, sotto questo profilo, la guerra è solo un aspetto, se non una ragione, della vita. A volte si può far morire molta più gente con una legge, con un intervento “pacifico”, con un “non intervento”, con una “indifferenza”, che con mille battaglie cruente.

L’orrore, l’abominio, la crudeltà gratuita, iniziano realmente solo quando inizia la mancanza di rispetto per l’avversario.

L’odio per la parte avversa, a nostro avviso, quello che non riesce mai a trasformarsi in rispetto, è causa del conflitto permanente nell’animo umano. E’ un aspetto dell’odio contro sé stessi. L’unico vero odio implacabile, perché se invece del “nemico”,  tentiamo di uccidere l’ombra del nemico (o quella che ci sembra tale), saremo sempre sconfitti dalla nostra di ombra, che non si staccherà mai dai nostri piedi e non ci consentirà di comprendere il messaggio della scritta dell’oracolo di Delfi, dove è contenuta l’unica soluzione in grado di spegnere ogni guerra.

Il conflitto implacabile con le nostre ombre alimenta giudizi spropositati, alimenta il rifiuto di vedere se stessi nelle miserie dell’altro, alimenta il desiderio dell’io prepotente; e alimenta anche le ombre che danno luogo… al Mulino di Amleto.

Ed ora mi permetto di raccontare un piccolo episodio che fa parte delle mie esperienze lontane e che spero possa essere utile come materia di riflessione complementare a quanto esposto in questo editoriale.

Tra le persone a me più care e vicine ci sono stati due uomini che nel 1943, si trovarono schierati in due fronti opposti. Erano due uomini in totale buona fede, generosi, coraggiosi e idealisti, vittime entrambi degli orrori della guerra civile, entrambi finiti nelle durissime prigioni di guerra (uno però in quelle partigiane ed uno in quelle fasciste). Questi due uomini, finita la guerra, ebbero modo di rivedere molte delle reciproche posizioni ideologiche, più che ideali. Uno dei due stracciò le tessere del partito, l’altro litigò con quasi tutti coloro che erano stati suoi compagni di lotta e che ora, con vari trasformismi, trovava aggrappati a qualche brandello di potere politico. Questi due uomini si conobbero nel 1957 e scoprirono di esser stati molto vicini, nel 1942, ad uccidersi, uno con l’altro proprio perché sul fronte di due opposti schieramenti. Si raccontarono le loro vite e si stimarono sempre, fino alla morte. Uno era mio padre, l’altro era il mio insegnante d’Italiano nel liceo. Qualcuno trova che ciò sia strano?

Per tale ragione, per gli occasionali lettori che hanno bisogno di vederci “schierati” “contro” l’ombra di qualcuno, dobbiamo purtroppo confermare che non sarà mai la storia politica a determinare il nostro rispetto verso un uomo (soprattutto se morto).

Quello che ci interessa è l’uomo stesso, la profondità della sua ricerca spirituale, dell’indagine storica o metastorica, della scienza tradizionalmente intesa e vissuta (semiologicamente da “scio”, scelgo e discrimino). Seguiteremo perciò ad ospitare esponenti di qualsiasi esperienza (purché, a nostro avviso, risulti tradizionalmente tracciabile e significativa) indipendentemente dalla loro vita vissuta, dalle idee o dalle azioni politiche… e dalla volubile “etica giudicante” dei nostri tempi.

E a conclusione di tali considerazioni ci sembra particolarmente provvida, questa splendida poesia di Trilussa, vecchio amico di famiglia il cui lontano ricordo ci riempie di commozione, e grandioso osservatore delle contraddizioni dell’animo umano:

Un Gatto Bianco, ch’era presidente
Der Circolo der Libero Pensiero,
sentì che un Gatto Nero,
libbero pensatore come lui,
je faceva la critica
riguardo a la politica
ch’era contraria a li principi sui.
-Giacché nun badi a li fattacci tui,
-je disse er Gatto Bianco inviperito-
rassegnerai le proprie dimissione
e uscirai da le file der partito;
che qui la poi pensà libberamente
come te pare a te, ma a condizione
che t’associ a l’idee der presidente
e a le proposte de la commissione.
-E’ vero, ho torto, ho agito malamente-
rispose er Gatto Nero.
E per restà ner Libero Pensiero
da quela vorta nun pensò più gnente.

Grande, Trilussa, grande!